Il rilancio industriale del Friuli Venezia Giulia passa dalla produttività

Necessario favorire investimenti nel manifatturiero, la crescita dell’occupazione e lo sviluppo della managerialità

Nel primo semestre 2025 i dati afferenti il comparto manifatturiero del Friuli Venezia Giulia evidenziano importanti segnali di tenuta con un apprezzabile miglioramento dei livelli produttivi malgrado il difficilissimo contesto geopolitico internazionale. Ciò cui occorre tendere è il miglioramento della produzione industriale, una maggiore intensità produttiva e lo sviluppo dell’occupazione per la quale è improcrastinabile il rinnovo dei contratti di lavoro scaduti e il miglioramento delle proposte economiche per i lavoratori, welfare e smart working compresi.
Nell’ultimo quadrimestre 2025 necessita favorire un rafforzamento congiunturale in segmenti chiave come meccanica e legno-arredo che da sempre sostengono la dinamica complessiva del manifatturiero regionale. I manager industriali prevedono stabilità dei livelli produttivi nei prossimi mesi auspicando un’espansione e un’evoluzione del commercio internazionale, anche a seguito dell’inasprimento dei dazi Usa. Le imprese esportatrici verso gli USA devono, quindi, recuperare quote di mercato extra-States, possibile anche attraverso export manager opportunamente formati da Federmanager.
L’attuale volatilità del contesto commerciale internazionale rappresenta, infatti, un’opportunità, richiedendo alle imprese un rafforzamento della produttività, un consolidamento della competitività estera e una maggiore diversificazione dei mercati di sbocco. È evidente che una politica monetaria più accomodante della BCE costituirà un decisivo fattore di sostegno accanto all’integrazione con i Paesi emergenti che potranno costituire un motore dell’economia mondiale.
Le prospettive economiche globali, come accennato, devono essere inquadrate come opportunità. Investimenti in innovazione tecnologica e competenze delle risorse umane rafforzano la competitività e contribuiscono a rendere le imprese più forti. Il sistema produttivo regionale sta dando, da anni, prova di capacità di adattamento grazie a un manifatturiero solido. Lo sforzo di imprenditori e manager va, adesso, sostenuto dalla PA. É urgente una nuova politica industriale europea che sostenga la competitività del nostro sistema produttivo.
Solo in virtù di un patto europeo pubblico-privato potremo, infatti, raggiungere obiettivi che non riusciremo mai a conseguire da soli, in un mondo caratterizzato da superpotenze (ex o attuali) come Stati Uniti, Cina, Russia, India. Vi è la necessità immediata di una Europa, protagonista che punti alla politica industriale, all’energia condivisa e a costi contenuti e a ricerca e innovazione abbandonando il piano di riarmo.
Ciò anche in virtù della volontà di far crescere l’occupazione con riguardo ai nostri giovani, alle donne, ai disoccupati, ai disabili.
E se gli imprenditori continuano a segnalare difficoltà nel trovare operai specializzati è chiaro che occorra interrogarsi su come risolvere un tanto senza scordare che in Germania e in tanti altri Paesi dette figure sono pagate molto più che in Italia. Va da sé che formazione e adeguamenti salariali s’impongono come ricetta per detta esigenza.
Proponendo formazione di livello, paghe e welfare competitivi sarà certamente più facile reperire carpentieri, gruisti/escavatoristi, fresatori, saldatori, operatori di macchine a controllo numerico computerizzato, ponteggiatori, cartongessisti, stuccatori, pavimentatori/piastrellisti, palchettisti e ancora verniciatori, ebanisti, restauratori di mobili antichi, filettatori attrezzisti, modellisti, confezionisti, stampatori, tagliatori, orlatori, rifinitori, cucitori, tornitori, e tecnici di montaggio per l’assemblaggio dei componenti complessi che oggi le PMI affermano di non trovare sostenuti dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ha esaminato i report di Unioncamere-Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Sistema Informativo Excelsior del 2024 e del 2025. Le cause del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro sono molteplici e frequentemente interconnesse. La scuola deve opportunamente formare competenze tecniche e professionali richieste da imprenditori e manager nel settore manifatturiero. E se i giovani sono sempre più alla ricerca di occupazioni che offrano maggiori livelli di flessibilità, autonomia e tempo libero di ciò occorrerà tener conto organizzando il lavoro a livello generale in maniera differente rispetto agli schemi precedenti.

Un appello diretto ai parlamentari del Friuli Venezia Giulia arriva da Daniele Damele, presidente di Federmanager FVG, e da Francesco De Benedetto, consigliere regionale e responsabile del Gruppo Senior della sede di Udine. Il tema è la progressiva erosione del potere d’acquisto delle pensioni medio-alte, che negli ultimi quarant’anni ha determinato perdite ingenti per milioni di italiani. Secondo Federmanager, la mancata rivalutazione delle pensioni, iniziata con la legge del 1983 e proseguita con numerose modifiche nei decenni successivi, ha di fatto cancellato l’equivalente di un intero anno di reddito pensionistico. A pagarne il prezzo è il ceto medio, che oggi rischia di essere definitivamente impoverito. Dal 1997 al 2025, infatti, i Governi hanno variato il meccanismo di rivalutazione ben 15 volte, arrivando in alcuni casi ad azzerarlo. Gli ultimi dati evidenziano come il 21,9% dei pensionati, circa 3,5 milioni di persone con redditi superiori a quattro volte il minimo, abbiano subito un taglio stabile della perequazione, pur rappresentando la fascia che versa oltre il 60% dell’IRPEF sulle pensioni. Gli studi dell’Istituto Itinerari Previdenziali mostrano che, tra il 2012 e il 2025, un pensionato con reddito tra cinque e sei volte il minimo ha perso fino a 37.000 euro, pari al 16% di potere d’acquisto. Le perdite salgono a 178.000 euro per chi percepisce pensioni comprese tra 11 e 22 volte il minimo. Se le regole attuali resteranno invariate, tra il 2026 e il 2035 si prevedono ulteriori perdite fino a 11.000 euro annui per i redditi più alti. “Queste norme sono inique e discriminatorie – denunciano Damele e De Benedetto – perché colpiscono soprattutto chi ha sempre contribuito in misura maggiore al bilancio dello Stato. Il rischio è di minare la fiducia nel patto generazionale e alimentare l’emigrazione di giovani qualificati, con gravi conseguenze per i conti previdenziali”. Federmanager FVG chiede quindi al Parlamento di intervenire subito con una revisione delle aliquote IRPEF che includa anche chi supera i 60.000 euro lordi, con la separazione tra previdenza e assistenza, con un’anagrafe nazionale per contrastare gli abusi e con un sistema di perequazione stabile e non discriminatorio. “È indispensabile salvaguardare il ceto medio – concludono – perché senza il suo contributo l’intero sistema economico e sociale del Paese rischia di collassare”.