Capire il cambiamento
Tutti vedono il cambiamento, tutti ne parlano, tutti lo sostengono. Ma molti si comportano tuttavia come se non ci fosse, e se anche lo percepiscono lo considerano più o meno come un temporale estivo che passa rapidamente, lascia solo un po’ di bagnato per terra, le sue tracce si disperdono in un baleno.
Gianni Di Quattro
Socio ALDAI co-fondatore dell’associazione Nel Futuro
Perché si tende a sottovalutare questo fenomeno che si può considerare epocale?
Qualcuno, forse un po’ esagerando, lo ha persino paragonato al diluvio universale dell’era tecnologica. Pochi tuttavia si stanno dedicando a cercare, a investigare se per caso esiste da qualche parte un Noè che sta costruendo un’Arca che ci può aiutare a salvare l’umanità, per usare una simbologia che può essere appropriata alla situazione.
Certamente le resistenze sono da una parte psicologiche e cioè la paura dell’ignoto, di perdere posizioni di privilegio e di potere. Dall’altra sono conseguenti alla ignoranza diffusa che non consente una visione del futuro e neanche di potere valutare le conseguenze di un simile diluvio, di un cambiamento così radicale.
Tanti sono gli effetti di questo cambiamento, fra gli altri le accentuazioni delle diversificazioni tra generazioni, tra ceti sociali, tra aree geografiche, tra chi gode di benessere e chi vive per sopravvivere, tra chi ha coraggio e chi non riesce a trovarlo.
Se osserviamo in modo più specifico il panorama economico e il mondo delle imprese, cominciamo a renderci conto che la vittoria e il successo dipendono dalle idee e dal coraggio di affrontare il tema della innovazione. Dalle decisioni di cercare e trovare nuove vie per strutturare l’azienda, canali di distribuzioni, modi di comunicare, relazioni con il mercato in senso generale e quello potenziale in modo particolare.
Per tutto questo gli investimenti di base sono la formazione, la ricerca di talenti che possono fare da apripista ma non solo, la metodologia di lavoro, l’uso della tecnologia e la disponibilità di un team capace di collaborare nella sfida della trasformazione ed adeguamento dell’azienda, del business e del modo di farlo evolvere.
Le aziende italiane sono tante, ma la maggior parte sono piccole, un po’ sono medie e poche sono le grandi. Anzi le grandi sono sempre meno e questo è un problema non solo per i costi di molte aziende che potevano vendere a qualche grande oltre alle piccole con una media di costo di distribuzione pro capite più bassa, ma soprattutto per la ricerca per i settori tecnologici e in generale per quelli avanzati. Il nostro paese è un paese di trasformazione e di valore aggiunto tramite il quale sviluppa una esportazione che sostiene i conti del paese, oltre a quelli di tantissime aziende.
Il basso numero di grandi aziende è anche un problema per il mercato perché in genere queste sono delle fucine di risorse professionali valide e che poi possono esprimersi con maggiore autonomia e ad un maggior livello in tante altre aziende di dimensioni più ridotte. Questo svantaggio penalizza tutto il mercato rispetto ai principali mercati europei con i quali siamo in competizione e cioè la Francia e la Germania.
Il ruolo del manager italiano è quindi più difficile rispetto ai colleghi europei, perché spesso si trova ad assumere responsabilità senza avere una significativa esperienza pratica alle spalle e senza avere dei riferimenti culturali che possono essere rappresentati dai grandi gruppi del paese.
In queste condizioni per cercare di veramente perseguire una crescita significativa del paese e delle singole aziende, se si vogliono anche conservare tutte le imprese che operano sul territorio senza ulteriore pesanti perdite numeriche come negli ultimi anni con effetti dirompenti sul sistema economica e ovviamente sull’occupazione, due sono le strade: un potenziamento della struttura manageriale delle imprese medesime (pubbliche e private) e un investimento in formazione per equilibrare il ruolo che i grandi gruppi esercitano in questo specifico settore sugli altri mercati.
Credo che da parte dei corpi intermedi, della politica al di là di posizioni di potere di questo o quel partito, è necessario prendere coscienza di questa situazione per avviare un progetto nazionale di sgravi fiscali per tutti gli investimenti in formazione di tutte le aziende del territorio. Con l’effetto entro breve tempo di sviluppare una rete di iniziative e di professionalità nel settore e che possono davvero aiutare il mercato ad avere più forza e più professionalità che significa in definitiva competitività.
Comunque cominciare a parlare di questo stato di cose, aprire dibattiti, scrivere e sensibilizzare chi di dovere è un compito che ciascuno dovrebbe sentire nell’interesse di tutti, specie dei giovani e del futuro del paese.
01 aprile 2019