Il futuro dell’industria e l’industria del futuro

Le tecnologie e il ruolo futuro dei manager.

Dopo decenni di desertificazione industriale siamo ad un “Rinascimento” produttivo che permetterà di esprimere le vocazioni industriali italiane riconosciute in tutto il mondo per genialità, cultura, design, qualità di vita e benessere.

Sergio Terzi – sergio.terzi@polimi.it

Professore Associato, Politecnico di Milano, Manufacturing Group. Co-direttore dell’Osservatorio Smart Manufacturing e Direttore dell’Osservatorio sulla Gestione dei Processi di Progettazione Collaborativi della School of Management del Politecnico di Milano.

Forse ci siamo. Forse, i nostri leader (politici nazionali, burocrati europei) hanno capito che il mondo non può vivere senza l’impresa e in particolare quella industriale. La constatazione non è del tutto banale.
Al di là di ogni colore politico, non si può certo dire che in questi ultimi anni chi fa industria sia stato aiutato. Anzi, spesso è stato demonizzato, perché le fabbriche sono “sporche, brutte e cattive”. E chi ci lavora dentro è “grigio, noioso, tetro”, che sia un operaio, un progettista, un tecnico, un manager. Questa discriminazione non è solo italiana, ma è un fenomeno diffuso nei Paesi occidentali, dall’Inghilterra di inizio 2000 “Paese dei servizi”, agli Stati Uniti ridotti a meri consumatori globali. Solo la Germania si è in questi anni preservata e la sua competitività è oggi sotto gli occhi – invidiosi – di tutti.
Forse però il vento è cambiato. Gli inglesi sono tornati a essere orgogliosi della propria ingegneria, l’amministrazione Obama ha gestito un ampio programma di manufacturing re-shoring, l’Europa ha riportato l’industria nell’agenda dello sviluppo. Anche l’Italia forse ha smesso di sparare contro le imprese industriali, dopo essersi svegliata nel mezzo di una crisi economica, politica e valoriale. Non tutto è ancora a posto, in tanti – anche per bieco opportunismo – si ostinano a pensare che il nostro Paese e l’intera Europa possano fare a meno dell’ingegneria industriale, convinti che si possa far produrre tutto dall’altra parte del mondo, in posti dove non vigono le basilari regole di un’industria moderna e sostenibile.
In questo ultimo periodo si stanno diffondendo a macchia d’olio termini dal suono particolare: Industrie 4.0, Smart Manufacturing, Factory of the Future, Industrial Internet, ecc.
Conferenze, workshop e seminari si susseguono, con titoli fotocopia, in cui fanno capolino i termini di cui sopra, talvolta anche con evidenti forzature. Giornali quotati e trasmissioni radiofoniche popolari prospettano l’avvento di una nuova rivoluzione industriale, per qualcuno alla sua terza edizione, per altri già alla quarta. Anche le istituzioni, sia a livelli centrali sia regionali si stanno interrogando su tali termini. Ma di cosa stiamo parlando? Questi termini cosa comportano davvero? Provo a rispondere in ordine. Si tratta innanzitutto di iniziative politico-lobbistiche, promosse a seguito della crisi economica in Paesi industrialmente avanzati, Germania in primis (Industrie 4.0 è un’iniziativa del governo federale tedesco del 2011-2012, www.plattform-i40.de), e Stati Uniti in parallelo (Smart Manufacturing è un’iniziativa lobbistica di aziende e università americane, nata nel 2011 a latere della citata strategia di reshoring promossa dalla presidenza Obama, www.smartmanufacturing.com).
Altri Paesi – tra cui anche l’Italia – hanno seguito e stanno seguendo questi esempi, con modi e operatività diverse (es. in Italia è attivo il nazionale cluster Fabbrica Intelligente, www.fabbricaintelligente.it, mentre nuove iniziative si prospettano all’orizzonte).
Il focus di queste iniziative è sempre lo stesso: l’importanza del manufacturing per lo sviluppo e il progresso umano. Il cuore operativo è parimenti comune: le moderne tecnologie informatiche (dal software, all’automazione) sono oggi da un lato in grado di dare un’enorme spinta alla produttività umana, dall’altro possono anche trasformare i tradizionali modelli aziendali di memoria tayloristica in archetipi più customer-driven (ultra-personalizzazione dei prodotti, monitoring a distanza, servitizzazione, ecc.).
Tra le diverse iniziative ci sono alcune differenze, sia nei modelli di governance (pubblici vs. privati), sia nei contenuti (una maggiore considerazione delle tecnologie di Internet-of-Things, piuttosto che delle nuove frontiere dell’Additive Manufacturing e del 3D Printing).
Quale che sia la denominazione, è evidente come la repentina evoluzione delle tecnologie digitali stia oggigiorno ponendo tutti di fronte ad un potenziale cambio di paradigma, che permetterà alle aziende manifatturiere di realizzare una maggiore inter-connessione e cooperazione tra le proprie risorse (asset fisici, persone e informazioni, sia interne alla fabbrica sia distribuite lungo la catena del valore), fornendo la chiave per potenziali impatti sull’efficienza dei propri sistemi e sulla più generale competitività. La progressiva automazione degli impianti produttivi ridurrà l’impatto del costo della manodopera, aumentando la richiesta di capitale umano sempre più qualificato. Le aziende creative ed innovative potranno arricchire i propri prodotti e i servizi con funzionalità distintive, realizzabili con tecnologie ed infrastrutture digitali.
Dopo decenni di desertificazione industriale siamo prossimi ad un “Rinascimento” produttivo che permetterà di esprimere le vocazioni industriali italiane riconosciute in tutto il mondo per genialità, cultura, design, qualità di vita e benessere.
Certo, non bastano dei documenti politici e delle belle intenzioni per spingere le imprese alla digitalizzazione. Non bastano le belle parole per poi fare i progetti. Non bastano gli inglesismi o gli slogan germanici. Ma se è vero che il vento è cambiato – per me sì – forse c’è spazio per prendere l’onda giusta: le tecnologie esistono, le competenze non ci mancano, le esperienze di successo già cominciano ad apparire all’orizzonte (i nostri osservatori ne stanno collezionando diverse). Il vento è cambiato, sta a noi prendere la corda giusta per coglierlo. Parimenti – pensando a chi leggerà queste parole – sta a noi affrontare il peso della responsabilità. Più che in passato, per promuovere e sviluppare le opportunità di questa evoluzione e rivoluzione digitale, abbiamo la responsabilità di preparare la prossima generazione di tecnici, manager e imprenditori, in modo che siano in grado di trarre vantaggio dalle nuove tecnologie a favore di imprese sempre più competitive, creative e umane. Per preparare gli altri occorre conoscere, avere la curiosità del nuovo, avere la forza della visione. Questo è un compito da dirigenti, da dirigenti del futuro.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.

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