Longevità e valorizzazione dei Senior

Riflessioni sulla longevità con il Prof. Alessandro Rosina

per valutarne i rischi per l’equilibrio del sistema di welfare e delineare un percorso di vita più coerente alla realtà di oggi, abbandonando la rigida organizzazione nelle tre fasi del passato: educazione, lavoro, pensione.

Giovanni Caraffini

Vice Coordinatore Gruppo Progetto Innovazione giovanni.caraffini@fastwebnet.it

Alessandro Rosina, docente di Demografia presso l’Università Cattolica di Milano, è intervenuto mercoledì 19 ottobre 2016 alla riunione del Gruppo Progetto Innovazione ALDAI, per presentare un quadro documentato degli aspetti e delle conseguenze della grande “transizione demografica” iniziata circa due secoli fa in tutto il mondo.
Per millenni in qualunque Paese del mondo la metà dei nati moriva prima di compiere 15 anni e solo una minoranza dei sopravvissuti arrivava ai 60-65 anni, la durata media della vita non superava di molto i 30 anni e gli over 70 erano rari come gli ultracentenari di oggi.
Nell’arco di soli due secoli il rapido progresso tecnologico ha fatto sì che oggi gli 80 anni siano alla portata di più della metà degli uomini e di oltre due terzi delle donne del mondo. E forse per la prima volta nella storia potrebbe essere apparsa sulla terra la generazione che vedrà la maggior parte dei suoi membri superare i 100 anni.
Una conseguenza ovvia, ma per questo non meno importante di questo radicale cambiamento, è la progressiva inversione del rapporto quantitativo giovani/anziani. In particolare in Italia gli under 25 sono oggi circa 14 milioni e tali resteranno nei prossimi decenni, mentre gli over 65, che hanno superato recentemente i 13 milioni, cresceranno fino a superare i 20 milioni entro il 2050. È evidente che uno squilibrio di tali dimensioni mette inevitabilmente in crisi l’intero sistema socio-economico del Paese.
Rosina fa notare che pur essendo questo fenomeno largamente prevedibile da almeno vent’anni, in Italia non è stata né discussa né tanto meno messa in atto alcuna politica organica correttiva.
Per contro la Germania, che ha una dinamica demografica del tutto simile alla nostra, ha sviluppato una politica da un lato di contenimento dello squilibrio generazionale (ad esempio mediante incentivi alle nascite e controllo dei movimenti migratori), dall’altro di valorizzazione delle potenzialità produttive anche nell’età più matura. Risultato? Oggi in Italia il tasso di attività degli ultracinquantenni è molto più basso rispetto alla media europea, mentre è sensibilmente più elevato in Germania.
Ciò rappresenta peraltro anche un’opportunità: nei prossimi anni l’Italia sarà uno dei Paesi con il maggior margine potenziale di partecipazione dei senior al mercato del lavoro: entro il 2030 passeremo infatti da un lavoratore over 55 su sette ad uno su quattro: un cambiamento enorme, un impatto molto forte e, di conseguenza, una sfida di grande portata.
A questo proposito Alessandro Rosina rimanda al suo recente libro “Il futuro che (non) c’è”, scritto insieme a Sergio Sorgi, in cui vengono esplorati a fondo i principali aspetti di questa sfida epocale e dove si mostra come, per vincere questa sfida, occorra una rigorosa pianificazione di interventi volti a valorizzare tutte le fasce d’età, in modo da evitare, ad esempio, un insostenibile squilibrio fra contributi e spesa nel sistema di welfare.
Secondo gli studi più recenti ed ipotizzando riforme strutturali simili a quelle tedesche, è infatti verosimile che da qui al 2030 avremo almeno 2,5 milioni di over 55 aggiuntivi al lavoro.
E se riusciremo a valorizzarli al meglio, l’Italia potrà essere non solo un Paese in crescita, ma anche una società capace di trasformare in un’opportunità il vivere a lungo e bene. In caso contrario, purtroppo, non potremo che subire le conseguenze di una popolazione che invecchia in una economia in declino e con costi sociali in aumento.
Accettare la sfida comporterà certamente superare ostacoli come l’obsolescenza delle competenze, la minore produttività, la necessità di rivedere radicalmente il sistema di assistenza. Ma ad un primo esame non sembra che manchino i mezzi per farlo: fra le possibili vie da percorrere per vincere la sfida, Rosina indica ad esempio:
  • maggior flessibilità dell’orario lavorativo;
  • programmazione ad hoc delle carriere,
  • transizione progressiva al pensionamento;
  • sviluppo e diffusione delle tecnologie di sostegno alle attività;
  • forme di collaborazione tra lavoratori senior e nuovi entrati;
  • politiche di conciliazione tra lavoro ed esigenze familiari.
Dal dibattito con i colleghi è emerso che i pur numerosi interventi legislativi che si sono susseguiti in Italia per modificare le regole di pensionamento siano stati pensati e decisi con una visione rigida del sistema e con finalità elettorali piuttosto che con lungimiranza, cioè senza tener conto né dell’evolversi delle reali capacità operative delle varie fasce di età né delle possibili ricadute positive sulla qualità della vita delle persone, sulla produttività e competitività delle imprese, sulla crescita e sul benessere dell’intero Paese.
Si è continuato a “governare” con l’unico riferimento della vita organizzata nelle tradizionali tre fasi: educazione, lavoro, vecchiaia/pensione, senza tener conto della longevità e dell’età di invecchiamento, che è diversa per ciascuno di noi, e non è più strettamente legata all’età (60-65 anni) o al fatto di diventare nonni, ma piuttosto a quell’ultima fase della propria vita in cui vengono a mancare gli stimoli, i progetti e le energie per continuare ad essere attivi. La longevità impone un ripensamento del welfare, in particolare previdenziale, basato su schemi rigidi, per restituire quanto risparmiato quando effettivamente è necessario, nella vecchiaia e anche prima, quando le avverse vicende della vita lo richiedono.
Il collega Isidoro Schachter, a sostegno di quanto discusso e attingendo alla sua personale esperienza, ha ricordato le vicende che dopo la grande crisi occupazionale della Volkswagen del 1995 hanno portato la Germania a programmare e realizzare una serie di leggi aventi il dichiarato obiettivo di influire in modo sostanziale e coerente sulla struttura sociale e produttiva del Paese.
Ci si chiede come mai nulla di simile è avvenuto in Italia. Il motivo è probabilmente da ricercare nella radicata e diffusa convinzione che in Italia si riesca comunque a superare qualsiasi crisi. È però crescente il timore che si stia sottovalutando la gravità degli effetti della longevità e sia necessario intervenire con iniziative di innovazione radicale del sistema, che permettano di generare maggiore occupazione per tutti. Un’occupazione sempre più svincolata da rigidi orari e sedi lavorative e più orientata alla produttività e realizzazione personale, perché smettere completamente di lavorare, per legge, è sempre più paradossale; c’è sempre tempo per invecchiare. La priorità è generare maggiori opportunità di lavoro per tutti: giovani e senior. 
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