Il licenziamento dei dirigenti
Anche per la Corte d’Appello di Roma il blocco dei licenziamenti in periodo Covid si applica ai dirigenti
Avv. Alberto Sbarra
Studio Legale Associati Sbarra Besi
Lo scorso anno, nelle colonne di questa rivista, avevamo commentato la sentenza del Tribunale di Roma dell’11 febbraio 2021 che, con decisione coraggiosa, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento del dirigente in periodo di blocco a seguito della nota pandemia; poco dopo avevamo del pari commentato che lo stesso Tribunale aveva mutato orientamento con la sentenza del 19 aprile 2021 in cui statuiva esattamente l’opposto: non poteva valere la disciplina emergenziale sul blocco dei licenziamenti nei confronti dei dirigenti.
Ora la Corte d’Appello di Roma, dando seguito ad una precedente sentenza del Tribunale di Milano del 10 novembre 2021, accoglie il ricorso di un dirigente licenziato per giustificato motivo oggettivo durante il periodo di vigenza del cosiddetto blocco dei licenziamenti e ne ordina la reintegrazione nel posto di lavoro. Secondo la sentenza l’art. 46 del D.L. 18/2020 rinvia al solo art. 3 e non all’intera legge 604/1966, mostrando così di voler includere nell’ambito di applicazione della norma anche i dirigenti, essendo l’obiettivo della norma quello di vietare i licenziamenti “economici”. Sembra quindi che si stia delineando un robusto orientamento favorevole a riconoscere il diritto del dirigente ad essere ricompreso nell’ambito applicativo del c.d. blocco dei licenziamenti.
La Corte valorizza alcune argomentazioni già elaborate dai precedenti citati, che paiono molto interessanti in quanto delineano un’interpretazione della norma in senso teleologico, ossia ricercando il suo scopo, in modo tale che la sua applicazione sia conforme alle finalità per cui essa è stata emanata (interpretazione c.d. teleologica), anziché seguire il testo letterale che può essere incompleto o poco chiaro. E ciò per tutelare una categoria di lavoratori esclusi da una protezione sociale.
In particolare la Corte elabora tre argomentazioni a sostegno del blocco dei licenziamenti a favore dei dirigenti.
In primo luogo come già accennato il riferimento al “giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/66” inserito dopo aver disciplinato il blocco dei licenziamenti collettivi secondo la Corte è un modo per identificare la natura della ragione posta a fondamento del recesso e non un modo per delimitare la platea di soggetti a cui applicare il divieto.
In sostanza, secondo la Corte, appare logico con un’interpretazione più aderente alla ratio della norma che il riferimento al giustificato motivo oggettivo sia per individuare i licenziamenti economici che coinvolgono anche i dirigenti e non un modo per escluderli.
In secondo luogo la Corte replica alla tesi sostenuta dal Tribunale in primo grado secondo cui non avendo i dirigenti l’ammortizzatore della Cassa Integrazione, gli effetti della pandemia si sarebbero scaricati sull’impresa che avrebbe dovuto mantenerli in servizio accollandosene il costo, ritenendo, invece, che proprio la debolezza della posizione del dirigente che non ha le stesse tutele rispetto ai lavoratori dipendenti in materia di licenziamenti autorizzi, a maggior ragione, la tutela del divieto di licenziamento.
In ogni caso poi questa situazione è venuta meno nelle disposizioni successive che hanno poi esteso le protezioni sociali a favore dei dirigenti, ragion per cui la paventata compressione della libertà di iniziativa privata del datore di lavoro è venuta definitivamente meno.
Infine la Corte osserva come sia irragionevole proteggere i dirigenti con il blocco dei licenziamenti, in caso di licenziamento collettivo e non anche per licenziamenti individuali. Sotto questo profilo la Corte ritiene che l’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti avrebbe determinato una disparità di trattamento inaccettabile.
Alla luce di questa motivazione non si può che provare soddisfazione che le osservazioni fatte a sostegno della sentenza di primo grado pubblicate in questa rivista l’anno scorso, abbiano poi trovato l’autorevole avvallo nella decisione della Corte d’Appello e di altri giudici di merito come il Tribunale di Milano.
Dall’esperienza del blocco dei licenziamenti che poi successivamente, come noto, è venuta meno con conseguente diminuzione di casi, si può desumere, altresì, come la giurisprudenza abbia saputo cogliere la peculiarità del rapporto dirigenziale, tanto dal “proteggerlo” da licenziamenti poco trasparenti che approfittavano della mancanza di tutela durante la pandemia.
La Corte infatti nel ritenere necessaria una protezione a favore del dirigente nei licenziamenti nel frangente della pandemia, ha sottolineato come tali lavoratori “sono i più esposti a tale rischio in quanto la disciplina del sindacato di legittimità sul loro licenziamento (la c.d. indagine sulla giustificatezza) è ben diversa da quella (il sindacato sulla sussistenza del giustificato motivo) del personale non avente qualifica dirigenziale”, riconoscendo, quindi, come la disciplina dei licenziamenti sia di gran lunga meno protettiva nei confronti dei dirigenti rispetto alle altre categorie di lavoratori dipendenti.
Ciò significa che la Corte prende atto e sottolinea la debolezza del rapporto dirigenziale e ciò dovrebbe far riflettere e spingere a ripensare il sistema di tutele per cercare di incrementarle.
Ormai si è tornati – per fortuna – alla quasi normalità post pandemia e quindi i casi di licenziamento illegittimi per violazione del blocco andranno ad esaurirsi.
Tuttavia la giurisprudenza ha a mio avviso dato un segnale molto importante a favore della categoria, riconoscendo una particolare attenzione alle sue esigenze e facendo ben sperare in futuro che l’esame circa la legittimità dei licenziamenti venga affrontata con lo stesso scrupolo manifestato dalla Corte d’Appello di Roma.
La sentenza è disponibile su richiesta