Il licenziamento del dirigente all’epoca del Covid
Il Tribunale di Roma prende posizione in una recente decisione ordinando la reintegra nel posto di lavoro di un dirigente per violazione del divieto di licenziamento prevista dalla normativa emergenziale
Alberto Sbarra
Studio Legale Associato Sbarra Besi
Il divieto di licenziamento si applica anche ai dirigenti
Pubblichiamo qui di seguito una nota dell’avv. Alberto Sbarra in merito a una decisione del Tribunale di Roma dell’11/02/2021 che ha disposto la reintegra nel posto di lavoro di un dirigente per violazione del divieto di licenziamento prevista dalla normativi anti-Covid. Il giudicante ha ritenuto che malgrado il divieto faccia riferimento ai licenziamenti di tipo economico (art. 3 legge 604) che non è applicabile ai dirigenti, come espressamente previsto dall’art. 10 legge 604/66, pur tuttavia la normativa di emergenza non può penalizzare la categoria dei dirigenti per i motivi che peraltro sono ben illustrati nell’articolo del legale. Il testo integrale della sentenza è comunque disponibile su richiesta.
A cura della Redazione
Il diritto del lavoro è un diritto vivente perché si fonda non solo su leggi e contratti collettivi spesso molto complessi, ma anche su un lavoro continuo della magistratura specializzata nella materia, che è chiamata costantemente ad applicare le norme tenendo conto della realtà sociale ed economica dove il lavoratore e le imprese sono chiamate ad operare. Pertanto nel nostro ordinamento, fondato sul diritto scritto, l’interpretazione giudiziale assume fondamentale importanza per il fatto che con essa l’astratta previsione normativa si concretizza in quanto viene applicata al caso concreto.
Sono note a tal proposito come pietre miliari le sentenze n. 95 del 1976 e n. 34 del 1977 della Corte costituzionale, secondo le quali “le norme vivono nell’ordinamento nel contenuto risultante dall’applicazione fattane dal giudice”.
Questa opera di interpretazione delle norme in funzione della realtà in cui viviamo è ben presente nella decisione del Tribunale di Roma del 26 febbraio 2021.
Un dirigente viene licenziato per motivi economici legati ad un calo dell’attività aziendale conseguente alla pandemia da Covid-19. Impugna il licenziamento sostenendo la violazione della normativa emergenziale (art. 46 del d.l. n. 18/2020 conv. con legge n. 27/2020 c.m. dall’art. 80 del d.l. n. 34/2020 conv. in legge n. 77/2020) che prevede – come noto – il divieto di licenziare per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 legge n. 604/66 per motivi economici, indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati dal datore di lavoro. Rileva pertanto che la violazione della normativa che vieta i licenziamenti in epoca emergenziale comporti la nullità del licenziamento con l’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav., e conseguente reintegra nel posto di lavoro.
Il Tribunale di Roma accoglie il ricorso del dirigente ritenendo che malgrado il divieto di licenziamento faccia riferimento ai licenziamenti di tipo economico disciplinati dall’art. 3 della legge n. 604/66 che non è applicabile ai dirigenti (come previsto dal successivo art. 10), tuttavia la normativa emergenziale non può andare a scapito di una categoria di lavoratori e ciò, secondo la decisione, per due ordini di motivi.
Da un lato il “blocco” dei licenziamenti ha lo scopo di evitare che le conseguenze economiche della pandemia vengano scaricate sui lavoratori dipendenti e tale esigenza sarebbe ancor più stringente nei confronti dei dirigenti che sono esposti più di altri alle conseguenze della situazione economica causata dal Covid-19, in quanto hanno un regime contrattuale/collettivo meno garantista rispetto ai licenziamenti arbitrari poiché poggiato solo sulla cosiddetta “giustificatezza” a differenza del regime di tutele accordato dall’art. 3 cit. per tutti gli altri dipendenti.
Tra l’altro la decisione sottolinea come per paradosso i dirigenti sono protetti nel caso di licenziamento collettivo, in quanto la normativa relativa ad essi è soggetta al divieto di recesso per effetto della normativa emergenziale.
Pertanto se apparirebbe difficile comprendere perché i dirigenti dovrebbero essere esclusi dal blocco dei licenziamenti improntato a ragioni economiche, ancor più difficile comprendere la ragione per cui costoro in caso di licenziamento collettivo siano protetti con il divieto di recesso.
In definitiva sul punto la decisione rileva che appare incomprensibile che la diversa giustificazione del recesso che per i dirigenti si fonda sulla cosiddetta giustificatezza e per gli altri lavoratori sul cosiddetto giustificato motivo oggettivo possa venir trattato in modo diverso, considerato che la preclusione prevista dalla normativa emergenziale mira proprio ad evitare licenziamenti dovuti alla situazione economica provocata dalla pandemia.
Come secondo motivo a base della decisione che ci occupa, il Tribunale di Roma evidenza che il concetto di giustificatezza che consente il licenziamento dei dirigenti è sostanzialmente sovrapponibile a quello di giustificato motivo oggettivo anche se in una forma più attenuata, ma, comunque, riconducibile sempre all’essenza dei motivi economici del recesso, ragion per cui il riferimento della normativa emergenziale all’art. 3 della Legge 604/66 tra le tipologie di licenziamenti vietata si deve intendere alla natura del recesso e non come delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione del divieto.
Orbene, l’ordinanza del Tribunale è stata sin da subito criticata sulla stampa specializzata di orientamento datoriale e sui social.
In realtà la decisone in esame è molto coraggiosa e tenta di dare una risposta ad un problema sociale molto delicato, ossia l’esclusione incomprensibile dei dirigenti dal divieto di licenziamento esteso a tutti, ma proprio tutti i lavoratori dipendenti, con eccezione dei soli lavoratori domestici che – e questo è il paradosso – sono stati messi sullo stesso piano da un legislatore a mio avviso molto distratto.
Certamente la decisione ha forzato il dato legislativo che è molto chiaro: il divieto di licenziamento è per il caso previsto dall’art. 3 cit., indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati; norma non applicabile ai dirigenti come prevede il successivo art. 10.
Tuttavia come ho accennato all’inizio di questo articolo il diritto del lavoro è un diritto vivente e il magistrato è chiamato ad applicare la legge in una realtà sociale molto più complessa di quanto possono prevedere due righe scritte in un decreto legge per regolare un caso che riguarda migliaia di lavoratori a seguito di una pandemia mondiale. Pertanto lo sforzo di interpretare la norma da parte del Tribunale di Roma, tenendo conto di questa situazione è da condividere. Non si comprende per quale ragione infatti non possa essere esteso il divieto ad una categoria di lavoratori come i dirigenti che l’art. 2095 cod. civ. indica tra quelle che sono a tutti gli effetti “prestatori di lavoro”, ossia dei soggetti che collaborano con l’imprenditore in un rapporto di dipendenza gerarchica uguale indipendentemente se siano quadri, impiegati od operai. È vero che i dirigenti hanno una storia ormai pluridecennale di trattamento economico e normativo diverso rispetto alle altre categorie di lavoratori appena citate; sono stati spesso definiti l’alter ego dell’imprenditore ed hanno sempre intrattenuto con lo stesso un rapporto di collaborazione molto stretto, caratterizzato dall’elemento fiduciario intenso e per questo facilmente incrinabile.
Infatti il rapporto di lavoro del dirigente è stato sempre caratterizzato dall’assunzione di forti responsabilità operative di gestione aziendale, ma nel contempo è sempre stato esposto al rischio di licenziamento in modo più ampio rispetto alle altre categorie di lavoratori dipendenti. È quindi un rapporto di collaborazione fragile come riconosciuto dal Tribunale di Roma e meritevole proprio per questo di essere tutelato come gli altri lavoratori e forse ancor di più. Infatti questa diversità ontologica del dirigente non giustifica la “dimenticanza” del legislatore emergenziale che non ha considerato i dirigenti alla stregua di lavoratori come gli altri, tanto che non ha previsto nei suoi confronti neppure un ammortizzatore sociale come la Cassa Integrazione in deroga.
Il merito della decisione del Tribunale di Roma è, quindi, quello di aver posto il problema e tentato di risolverlo, preferendo un’interpretazione teleologica della norma piuttosto che sistematica.
L’interpretazione sistematica ha lo scopo di determinare il significato della disposizione inserita nel sistema legislativo complessivo, ossia tenendo conto della disciplina vigente in cui si inserisce la norma da interpretare. Se il Tribunale avesse seguito solo questa strada è evidente che sarebbe prevalsa la tesi che il divieto del licenziamento non sarebbe applicabile ai dirigenti, visto il chiaro dettato normativo e la peculiarità del rapporto dirigenziale.
Invece il Tribunale ha seguito un criterio di interpretazione diverso, di tipo teleologico, comunque consentito dall’ordinamento, ossia pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite che l’interprete non può superare e deve rispettare, ha tenuto presente, da un lato, il fatto sociale che sta alla base della norma e che è regolato da essa; dall’altro a considerare le conseguenze che deriverebbero da una data interpretazione, per escludere quelle che non corrispondono allo scopo della disposizione. Infatti, per applicare la legge può essere necessario stabilire il suo scopo, in modo tale che la sua applicazione sia conforme alle finalità per cui essa è stata emanata (interpretazione cosiddetta teleologica).
Il Tribunale di Roma ha, quindi, fatto una scelta interpretativa sicuramente garantista cercando di seguire lo scopo della norma che era quella di limitare i licenziamenti per tutti i lavoratori, non apparendo logico escludere una categoria rispetto ad altre da un beneficio che tenta di evitare conseguenze economiche negative uguali per tutti.
È auspicabile che questa impostazione interpretativa possa trovare spazio anche in altre pronunce in modo che si consolidi un orientamento che colmi una lacuna di tutela a favore dei dirigenti.
E' recentemente pervenuta una Sentenza datata 19 aprile del Tribunale di Roma di diverso avviso rispetto all'Ordinanza qui commentata. In considerazione di come il tema sia sentito e controverso, prossimamente approfondiremo il contenuto di quest'ultimo provvedimento