Risoluzione del rapporto di lavoro: due aspetti rilevanti
Corte di Cassazione Sentenza n. 23503 del 9 ottobre 2017
Agostino D'Arco
Avvocato e Consigliere ALDAI
Rifiuto di ricevere la comunicazione di licenziamento nella sede di lavoro
Il fatto
Il dirigente viene licenziato per ristrutturazione aziendale e per mancanza di altre posizioni dirigenziali da ricoprire (licenziamento oggettivo). Il provvedimento, prima di essergli comunicato per iscritto, gli viene letto dal rappresentante dell'azienda nella sede di lavoro, ma il dirigente si rifiuta di ritirare la lettera, adducendo poi in causa, di non avere alcun obbligo di ricevere la comunicazione di licenziamento in azienda. Si rivolge quindi all'autorità giudiziaria perché venga dichiarata l'inefficacia del licenziamento verbale/orale effettuato con la semplice lettura in sua presenza.
Il caso non è isolato. È sempre più frequente che il datore di lavoro ricorra alla lettura preventiva del provvedimento d'espulsione ed invii successivamente la comunicazione al domicilio dell'interessato, se non altro per neutralizzare gli effetti di qualsiasi evento sospensivo (malattia, infortunio, ecc.) che dovesse intervenire fra la data della lettura del licenziamento e quella dell'arrivo del provvedimento al domicilio dell'interessato. Esaminiamo cosa succede se il dirigente si rifiuta di ritirare la lettera di licenziamento di cui ha dato lettura il rappresentante dell'Azienda.
La Cassazione con sentenza 9 ottobre 2017 n. 23503 ha affermato che il rifiuto di ricevere una comunicazione nella sede di lavoro "equivale a ricezione effettiva" della stessa. La Suprema Corte rileva che da tempo in giurisprudenza è stato affermato che anche "nell'ambito del diritto sostanziale il rifiuto del destinatario di un atto unilaterale ricettizio di ricevere l'atto stesso non esclude che la comunicazione debba ritenersi regolarmente avvenuta" (Cassazione n. 12571/1999).
In relazione al rapporto di lavoro, in particolare "si è configurato in linea di massima l'obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro, in dipendenza dal potere direttivo e disciplinare al quale egli è sottoposto (Cassazione n. 7620/2001).
La Corte richiama altre due sentenze di Cassazione del 2008 e 2009 che ribadiscono il principio secondo cui il rifiuto del destinatario di ricevere l'atto di licenziamento non può risolversi a danno dell'obbligato e sfuggire alla regola della presunzione della conoscenza dell'atto desumibile dall'Art. 1335 Codice Civile.
La motivazione per ristrutturazione aziendale e per mancanza di altre posizioni deve corrispondere alla realtà effettiva ed essere provata dal datore di lavoro
Quanto alla motivazione del licenziamento per ristrutturazione aziendale, la Corte Suprema, dopo avere premesso che "per consolidato insegnamento della Corte stessa, il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla legge n. 604/1966 e la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dalla stessa legge; che per altrettanto consolidato insegnamento in caso di licenziamento del dirigente per esigenze di ristrutturazione aziendale, è esclusa la possibilità del repechage in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, puntualizza che la concreta giustificazione addotta nel provvedimento di licenziamento deve corrispondere alla realtà effettiva e che l'impossibilità di assegnare al dirigente altro incarico dirigenziale, ovvero di impiegare il dirigente in posizioni dirigenziali per le quale costui avesse maturato specifiche competenze, deve essere integralmente provata dal datore di lavoro".
Nella fattispecie in esame la circostanza dell'assenza di altre posizioni dirigenziali, che potessero essere ricoperte, non è stata provata, per cui il licenziamento è stato dichiarato ingiustificato e l'azienda condannata a pagare l'indennità supplementare nella misura massima.