L’Italia perde competitività
L’edizione 2019 dell’analisi triennale della Commissione Europea evidenza la progressiva perdita di competitività delle regioni italiane, che risultano tutte inferiori alla media europea.
Giovanni Caraffini
Socio e proboviro ALDAI-Federmanager
La diversa colorazione dei paesi e delle regioni europee mette in evidenza i territori più competitivi, evidenziati in verde, rispetto a quelli meno competitivi, di colore viola.
La competitività, che nell’analisi è intesa come la capacità di una regione di offrire ad imprese e abitanti un ambiente più favorevole alla vita e al lavoro, è misurata sulla base di 74 parametri che riguardano fattori come la qualità delle istituzioni, la stabilità macroeconomica, le infrastrutture, la sanità, la qualità del sistema educativo di base e superiore, l’efficienza del mercato del lavoro, la dimensione di mercato, l’accesso alle tecnologie e la capacità di innovazione.
L’indagine evidenzia una netta caduta di competitività delle regioni italiane, che si riflette sull'andamento del reddito pro-capite non solo al Sud, ma anche al Centro e Nord d’Italia.
Solo la sanità italiana risulta migliore della media europea, tutti gli altri indici di valutazione risultano inferiori.
Tutti i parametri lombardi risultano superiori alla media italiana, salute e sofisticazione del business sono anche migliori della media europea, e molti altri indici sono allineati all’Europa, mentre risultano carenti le istituzioni, la stabilità macroeconomica, la formazione e l’accesso alle tecnologie.
In termini di competitività, la classifica delle regioni italiane vede la Lombardia in prima posizione seguita da: provincia autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Lazio, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, provincia autonoma di Bolzano e Umbria. Sotto la media della competitività italiana: Marche, Valle d'Aosta, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia e Calabria.
Preoccupa in particolare la perdita di competitività nel tempo delle regioni italiane ed il crescente divario con la Germania e i Paesi del Nord Europa, perché la minore competitività implica il rallentamento della crescita del PIL pro-capite e il rischio recessione.
Perché aumenta la differenza competitiva fra Germania e Italia?
Perché aumentano le differenze fra:
- i costi dell’energia elettrica;
- i costi dei carburanti e del riscaldamento;
- i costi dei pedaggi autostradali, che in Germania non si pagano;
- i costi del debito pubblico: 65 miliardi l’anno dell’Italia rispetto ai 18 della Germania, che rappresentano un costo annuo di oltre 1.050 euro per ciascun italiano e meno di 250 euro per un tedesco, oltre 800 € di tasse in più che gli italiani pagano solo di interessi sul debito, o meglio 1.600 € che metà degli italiani pagano, perché solo il 50% paga almeno 1 euro di tasse IRPEF;
- la qualità della formazione tecnica e la quantità di tecnici preparati ogni anno: 800mila in Germania contro 8mila in Italia;
- i tempi e le incertezze della giustizia;
- la meritocrazia italiana peggiore d’Europa, secondo il Meritometro;
- la strategia di lungo termine della Germania contro i governi italiani che durano in media un anno e dedicano il maggior impegno a modificare quanto costruito in precedenza, creando instabilità, incertezza e mancanza di fiducia nel futuro;
Il “gap” di competitività diventa motivo per molti giovani e manager per trasferirsi all’estero, così l’investimento di 300mila euro ciascuno, per formarli, diventa un vantaggio per i Paesi più competitivi. Il costo di tale formazione che non produce reddito è circa l’1% del PIL italiano, secondo il commento di Giacomo Franchini al Convegno ANIMP sui trend di mercato per il settore impiantistico che comprende 5.000 imprese e 190 miliardi di fatturato.
La perdita di competitività trova riscontro nella produzione industriale scesa del 2,2% in un anno. La relazione fra competitività e prospettive di crescita del PIL sono evidenti ed è utile analizzare il posizionamento rispetto alle regioni europee.
Cliccando "European Regional Competitiveness Index" è possibile accedere all'indagine europea.
Non bisogna tuttavia dimenticare che la consapevolezza della perdita di competitività rappresenta il primo passo per sostenere il rilancio economico e sociale con iniziative concrete e coraggiose per aumentare l’efficacia delle politiche nazionali, soprattutto se rivolte a sostenere il lavoro e ridurre l’emigrazione di risorse preziose per lo sviluppo del Paese.
3 commenti
CCA :
Non posso che condividere il commento di VDD relativo alla proposta di tassazione delle auto aziendali. Non altro che un modo di fare bancomat attingendo ancora ad una delle categorie più vessate, invece di recuperare fondi dall'evasione o di lavorare seriamente sugli sprechi. Si tratterebbe di un incremento di oltre il 300% con un carico sul singolo fino ad oltre 3000 euro annui che per un quadro o un dirigente giovane potrebbero rappresentare il 10% del reddito netto. Potrei anche capire l'ipotesi di un aumento parziale, peraltro già avvenuto nel 2018 con la rivalutazione dei costi chilometrici ACI, ma si può davvero pensare di triplicare una tassa, come se per una certa categoria di prodotti portassimo l'IVA al 70%? E che senso avrebbe limitarla ai veicoli non inquinanti? Bisogna considerare che molte delle aziende non sono state ancora in grado di attrezzarsi per consentire l'uso di veicoli ibridi o elettrici, che la disponibilità di modelli non è ancora tale da soddisfare i diversi fabbisogni e che chi ha un contratto di leasing appena avviato non avrebbe alcuna possibilità per sottrarsi alla tassazione fino a scadenza dello stesso. Bisogna evitare che questa proposta si realizzi, opponendosi in ogni modo, anche eventualmente con una manifestazione pubblica.venerdì 01 novembre 2019 12:00
M. P. :
Ho letto il documentato articolo con vivo interesse! Purtroppo è vero quanto messo in evidenza. Mi congratulo per il testo e per i dati riportati che, per certi aspetti sono impietosi. Concordo con l’analisi a cui avrei forse aggiunto una carenza di delega ai Manager. La mia passata esperienza in USA e poi in giro per l'Europa, mi ha sempre convinto di questa carenza anche associata ad una "paga", spesso molto inferiore a quella dei casi a cui ci confrontiamo, in UE per i manager. A parità di mansioni, i manager Italiani sono sotto-pagati, specie all'inizio della loro carriera, rispetto ai colleghi degli altri paesi. Ho proprio adesso un esempio in "famiglia" con due laureati alla Bocconi, che avevano entrambi un impiego a Milano in imprese private di meccanica/elettronica per impianti di controllo di processi di produzione, molto validi e avanzati. Contenti del lavoro ma non della paga, adesso sono entrambi a Berlino, dove sono pagati molto meglio. Così va la vita. È triste che i giovani debbano emigrare per trovare condizioni di vita migliori. Ma questo non era lo scopo dell’ottimo articolo che -lo ripeto- ho veramente apprezzato. M. P.martedì 10 dicembre 2019 12:00
VDD :
Leggo oggi sul Corriere che il governo vuole triplicare le tasse sulle auto aziendali. È l'ennesima riprova che si vogliono colpire sempre i soliti noti perché non si è capaci o non si vuole perseguire seriamente l'evasione fiscale e ridurre gli sprechi. Evitiamo che una misura di questo genere si realizzi in quanto colpirebbe senz'altro e in larga misura i lavoratori che pagano regolarmente e pienamente le tasse, oltre ad essere profondamente iniqua perché i veicoli aziendali sono strumenti di lavoro; incrementare l'aliquota significa non riconoscere questo principio e aumentare le tasse sul lavoro, altro che riduzione del cuneo fiscale.giovedì 31 ottobre 2019 12:00