Politiche fiscali

I pensionati hanno qualcosa da dire. Tutte le categorie sociali hanno il dovere di comprendere che gli attuali sistemi tributari non trovano la loro base ideologica nel principio di neutralità fiscale, come descritto nel pensiero degli economisti classici. Gli attuali sistemi tributari non sono imparziali ai fini delle scelte politiche, in quanto utilizzati per sbrogliare la matassa dell’evasione fiscale, di cui si avvantaggiano “i soliti ignoti”, continuando ad addossare l’onere di maggior gettito su “i soliti noti”.

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager

Prime osservazioni sugli annunci di una nuova riforma dell’Irpef 

Non è confermata l’ipotesi formulata qualche anno fa. Non se ne parla nel Documento di Economia e Finanza (DEF) varato dal Governo il mese di aprile scorso. Fortunatamente. Perché abbiamo registrato con molte riserve l’idea attribuita, qualche anno fa, dai media a fonti governative, di una nuova struttura dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Il progetto, secondo le descrizioni di stampa, prevedeva, a partire dal 1° gennaio 2018, la riduzione degli scaglioni del reddito delle persone fisiche (Irpef), da 5 a 3 e l’applicazione ai redditi da 28mila euro in su dell’aliquota più alta, quella al 43%, che ora si applica ai redditi oltre 75.000 euro. 
Anche se non appare nei documenti ufficiali, il disegno di riforma fiscale, però, tiene banco e, siamo convinti, sarà protagonista nel dibattito pubblico dei prossimi mesi. Dibattito al quale sarà bene prendere parte, consapevoli di un insegnamento fondamentale: quanto più la struttura dell’imposta è piatta tanto più penalizza la fascia dei redditi medi. Esclusa l’area dell’assistenza, e quella per la quale, ai fini dell’imposta, operano detrazioni, una buona fascia di pensionati potrebbe essere interessata.

Nuovi parametri di riferimento

Senza nessuna presunzione di voler avanzare proposte di riforma fiscale sui redditi, che è materia complessa e bisognevole di studi di livello, ci sia consentito dire che le ipotesi che i media hanno messo in circolazione ci appaiono ancora legate alla concezione iniziale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Un impianto che, a nostro avviso, è molto prossimo al meccanismo di determinazione della base imponibile delle imposte reali con riferimento alle singole categorie reddituali (una specie di addizionale ai tributi diretti reali). I pensionati ne sanno qualcosa, perché hanno subito prelievi non sulla base di misure applicate a redditi equivalenti, ma solo in ragione della fonte dei loro redditi (esempio: sospensioni della perequazione, contributi di solidarietà).  
Eppure la politica, da ogni parte, si sbraccia nel proclamare che i cittadini dovrebbero essere chiamati alla contribuzione fiscale sulla base di nuovi parametri di riferimento. Sarebbe ragionevole allora intraprendere nuove strade e tenere conto anche di altre condizioni personali e sociali dei contribuenti. Quali emergono dal mutato contesto giuridico ed economico in cui si inserisce ora l’attività di lavoro e quella post attività produttiva; quali mostrano le nuove esigenze di vita familiare e sociale che la globalizzazione dell’economia e della tecnologia hanno determinato. E non secondaria dovrebbe essere la valutazione del rapporto tra le politiche fiscali con le mutate modalità di produzione; soprattutto in relazione all’incidenza che esse hanno sull’occupazione, sull’ambiente, sul benessere e la sopravvivenza delle attuali, ma soprattutto delle future generazioni.
 

Una nuova struttura fiscale 

I profondi rivolgimenti dell’attività economica e le più accentuate sensibilità sociali dei nostri giorni impongono una moderna struttura del sistema fiscale.  È un’incombenza che interpella l’urgente azione dei Governi. Mentre hanno il dovere di guardare a prospettive lontane, devono farsi carico, intanto, dei principali nodi che blocca la crescita economico-sociale del Paese. Le soluzioni possibili per rendere più moderne e competitive le nostre strutture produttive sono molteplici e ben note, ma la madre di tutte le riforme, quella davvero indispensabile per riattivare il motore della crescita è, come appena detto, la riforma del sistema fiscale. Una riforma che tenga conto del peso che ha l’imposta più rilevante del sistema tributario italiano, l’Irpef, il cui gettito supera l'11% del Pil risultando di circa due punti superiore a quello medio degli altri Paesi. Lo squilibrio che emerge da recenti indagini evidenzia che la progressività dell’imposizione è supportata principalmente dai percettori di redditi da lavoro e da pensioni. In 12 anni, dal 2003 al 2014, l'imposta pagata da queste due categorie è passata dal 75,59 all'80,94%, con un incremento di 5,3 punti percentuali. (V. Quarto Rapporto LEF, 2017).

Contrastare la deriva fiscale 

Federmanager, nei diversi momenti della sua attività, ha prodotto iniziative e studi volti a orientare le pubbliche istituzioni verso politiche con forti ricadute sulla realtà economica e sociale del 
Paese. Studi e proposte che mantengono tutta intera la loro validità, pur se necessitano di revisione e adeguamento, come impongono i rapidi mutamenti economici e sociali della vita moderna. Peraltro la produzione di quelle iniziative e studi non è isolata.  Trova sostegno in una molteplicità di proposte, di provenienze diverse, ma che si muovono con lo stesso intento.  
Esigenze costituzionali di eguaglianza sostanziale impongono di tenere conto della fragilità economica complessiva delle famiglie: giovani e pensionati pagano lo scotto di essere lontani dalla maturità fiscale. Partendo da queste considerazioni, Federmanager, in accordo con Manageritalia, (elaborazione Università Luiss), fin dal 2011 ha avanzato specifiche proposte. In particolare, tra l’altro, ai fini del discorso che stiamo svolgendo: 
  1. promuovere la riduzione e la progressività della curva delle aliquote Irpef che, gravando prevalentemente sul reddito da lavoro dipendente, raggiungono velocemente le aliquote marginali più elevate; 
  2. introdurre il principio di flessibilità delle aliquote fiscali e contributive in rapporto alla maturità fiscale e contributiva, la cosiddetta curva delle aliquote a parabola.
(V. Introdurre il principio di flessibilità delle aliquote fiscali e contributive in rapporto alla maturità fiscale e contributiva, la cosiddetta curva delle aliquote a parabola” in “Professione Dirigente”, aprile 2013 / n. 41”).

L’età come parametro di riferimento ai fini fiscali 

Partendo dagli obiettivi appena accennati, particolare rilievo dovrebbe essere dato al parametro “età”. Le aliquote fiscali e contributive dovrebbero essere ridotte nell’età giovanile di avvio al lavoro per divenire piene nell’età matura e ridursi nell’anzianità. Ai fini della fiscalità relativa ai redditi delle persone ormai fuori dall’attività di lavoro, andrebbe considerato che le esigenze imposte dall’avanzare degli anni sono ben diverse da quelle dell’età giovanile e della maturità lavorativa. E, pertanto, sarebbe necessario introdurre discriminazioni benefiche a compensazione di quel particolare fattore di debolezza sociale rappresentato dalle nuove condizioni di vita imposte dall’età. Per riferirci ai redditi da pensione, pertanto, sarebbe utile introdurre una struttura Irpef con riferimento al principio di flessibilità delle aliquote fiscali e contributive.  Al riguardo è sulla già menzionata “curva delle aliquote a parabola” che occorrerebbe porre la necessaria attenzione, accompagnata da rinnovati approfondimenti.  

Altre ipotesi di imposizione fiscale sulle pensioni 

Non solo quella esposta, anche altre ipotesi d’intervento fiscale sui redditi da pensione vengono avanzate:
  1. l’idea di una fiscalità di vantaggio da attuarsi mediante l’introduzione di una franchigia sulla determinazione della base imponibile del solo reddito costituito dal trattamento pensionistico (non deduzione dal reddito complessivo). All’imposizione verrebbe sottratta solo una quota percentuale fissata tra un minimo e un massimo, ovvero in misura fissa. Ciò indipendentemente dall’entità dei redditi complessivamente percepiti;  
  2. in alternativa si ipotizza anche d’introdurre un sistema cedolare su una quota della pensione, vale a dire un’imposta, con aliquote fisse, in sostituzione dell’Irpef e le relative addizionali. La descrizione tecnica di questa proposta appare abbastanza complessa; la lasciamo da parte per farne oggetto di nuovo approfondimento, nel caso appaia concretamente praticabile. Va segnalato intanto che il sistema cedolare risulta discutibile sotto il profilo della parità di trattamento con il regime di tassazione previsto per le prestazioni pensionistiche pubbliche, ma si presenta sostenibile sotto il profilo della razionalità impositiva, in quanto introduce una fiscalità di vantaggio attenta ai bisogni dell’età avanzata.
(Cfr. Riforma fiscale e redditi di lavoro dipendente: per una fiscalità’ volta verso il nuovo millennio, Luiss, dicembre 2010).

Le obiezioni: i costi  

Sono prevedibili le obiezioni alle proposte di un diverso approccio al dispositivo tributario per le persone lontane dalla cosiddetta, “maturità fiscale” (i giovani, gli anziani). Una sicuramente non mancherebbe: l’attuale contingenza economica non consente l’adozione di misure di vantaggio fiscale per queste categorie sociali. 
In effetti rimodulare le aliquote fiscali o introdurre altre misure di prelievo con i criteri sopra tratteggiati impone una particolare attenzione ai costi. Ma la loro indispensabile valutazione non può giungere fino al punto di bloccare sempre tutto; specialmente quando è demerito della politica non aver messo in moto le leve essenziali per finanziare riforme fondamentali.
Come è avvenuto quando non è stata data esecuzione alla legge n. 80 del 2003 che delegava il Governo a fissare l’ultimo scaglione dell’Irpef sopra la soglia dei 100.000 euro; e, soprattutto, come è avvenuto con la delega contenuta nell’art.15 della legge 11 marzo 2014, n. 23, che avrebbe consentito un gettito destinato “prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro”. Riduzione estensibile, a nostro avviso, anche alla tassazione sulle pensioni, in quanto retribuzioni differite, in aderenza alla costante giurisprudenza costituzionale in materia.  
Prorogata fino al 26 giugno 2015, la delega si è esaurita senza esito, con conseguente severo richiamo della Commissione europea. Che ha bacchettato l’Italia per il ritardo nell'introdurre tasse modulate secondo il principio del "chi inquina paga”; ma soprattutto perché nel nostro Paese (citiamo), “rimangono lettera morta la revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle sovvenzioni dannose per l'ambiente”. Una rimodulazione fiscale coerente con le indicazioni europee intese a spostare gradualmente il prelievo dai fattori produttivi ai consumi ambientali e di sostenere per questa via crescita e occupazione. (V. Direttiva Europea 2003/96/CE e successive comunicazioni).  

Conclusioni

Non sono solo quelle esposte le possibili forme di fiscalità sui redditi.  Altre sono teorizzate nella letteratura della scienza delle finanze; altre ancora sono nei progetti di legge di iniziativa governativa, e nelle proposte di legge, anche d’iniziativa popolare: attendono di essere prese in esame nelle sedi parlamentari. La connotazione che le accomuna è che il fisco, come anche tutte le misure previdenziali, incidono profondamente nella vita delle persone. Appropriarsi, allora, di conoscenze su questi aspetti non è doveroso solo per esperti, operatori economici e finanziari, e neppure per le sole generazioni in attività produttiva. Ancor meno possono essere appannaggio di una particolare fase della vita.  Tutte le categorie sociali hanno il dovere di comprendere le conseguenze che i diversi sistemi d’imposizione fiscale hanno sui loro redditi.  Non solo: tutte le categorie sociali hanno il dovere di comprendere che gli attuali sistemi tributari non trovano la loro base ideologica nel principio di neutralità fiscale, come descritto nel pensiero degli economisti classici; gli attuali sistemi tributari non sono imparziali ai fini delle scelte politiche. In quanto strumenti di governo, implicano alleanze fra ceti sociali. Possono essere utilizzati con prudenza ma anche con spregiudicatezza. Possono sbrogliare la matassa imbrogliata dell’evasione fiscale, di cui si avvantaggiano “i soliti ignoti”, oppure continuare ad addossare l’onere di maggior gettito su “i soliti noti”. Proprio per questo occorre essere vigilanti rispetto all’interpretazione che i Governi danno delle deleghe che ricevono dal legislatore.    
Partendo da queste considerazioni, è importante prendere parte attiva all’evoluzione della politica fiscale. La partecipazione consente di contribuire alla costruzione di misure che guardino alle prospettive del futuro e indirizzarle verso obiettivi ben definiti: rendere meno aspre, quando non si riesca ad eliminarle del tutto, le disuguaglianze sociali, perseguire una più equa distribuzione delle risorse, realizzare una coesione intergenerazionale duratura, incentrata attorno ad un modello di sviluppo equo e sostenibile. In questa linea, le auspicate politiche ambientali trovano una loro coerenza e continuità nel concetto di “maturità fiscale” come sintesi di disposizioni tributarie legate all’età. Un più diffuso approfondimento delle tematiche esposte è l’auspicio che accompagna questo articolo.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.