Buon senso e preventivi
Mettiamo i dirigenti a lavorare alla riscoperta del buon senso
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager
Il trend è non solo europeo, ma addirittura mondiale: il mezzo
tramviario è tornato di moda. Dato che l’Unione Europea rende spesso disponibili fondi atti a favorire pratiche virtuose, e tra queste il recupero del trasporto pubblico su rotaia, una quindicina d’anni fa, in un’importante città costiera del sud, si decise che era necessario tornare al tram.
Anche in quella città, dunque, questo mezzo di trasporto, eliminato nel dopoguerra, tornava a configurarsi come il più adatto sul principale asse metropolitano, per capacità oraria, compatibilità ambientale e chi più ne ha più ne metta. Come detto, c’erano disponibili anche i fondi europei e dunque l’operazione sarebbe avvenuta con un supporto economico adeguato.
Detto fatto, che tram fosse, e tram fu.
Otto chilometri circa passanti, con una quindicina di mezzi forniti da un primario produttore nazionale. Per capirci e dare una dimensione all’investimento, il costo medio di costruzione di una tramvia in Europa si aggira sui 13-15 milioni di euro al Km, più il costo dei veicoli, dunque nel caso specifico probabilmente l’investimento complessivo si poteva valutare intorno ad almeno 150 milioni di euro, salvo sprechi od omissioni, che quasi certamente hanno aumentato il conto.
Incidentalmente, quel costo è l’equivalente dell’acquisto di circa 500 autobus a metano.
Adesso il tram c’è e funziona da quindici anni: abbastanza male, perché la manutenzione è quella che è, ed i pezzi di ricambio costano, mentre l’amministrazione comunale non ha un soldo.
Ecco che, nella scia di una tradizione di buona e sana amministrazione assai diffusa nell’autonoma regione in cui questi fatti avvengono, il nuovo sindaco appena eletto decide che, dopo neanche quindici anni di servizio, il tram va buttato via e, possibilmente, sostituito in futuro da… una monorotaia aerea.
In condizioni normali, qualcuno potrebbe pensare che nel caso si imponga il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio); invece a quanto pare, anche se nessuno crede seriamente al materializzarsi di simili deliri, il tram, già sospeso nei fine settimana, chiuderà definitivamente.
Dato che la vita media di una tramvia supera normalmente i cinquant’anni (pensiamo alle vetture di Milano del 1928 tuttora in servizio), c’è da domandarsi se situazioni simili siano ammissibili: la risposta è no.
Per tornare al costo medio europeo del km di tramvia, c’è da rilevare che, alle grosse, quella cifra (13-15 milioni €/Km) a Firenze è diventata 30-35, e a Roma, 25-30. Possibile?
Ci sarebbe poi anche da ricordare che non è opportuno che un Paese decida di dotarsi di un filobus qui, di un tram su ruote di gomma lì, di un veicolo senza ruote a levitazione magnetica (se esistesse) là, e magari di una metropolitana a vapore. Il concetto di economia di scala, di unificazione delle tipologie e del conseguente risparmio negli acquisti di mezzi e ricambi è così difficile da imporre? A buon bisogno, ci pensano le regioni a moltiplicare per venti le complicazioni.
Ugualmente, tutti sanno che l’Alta Velocità italiana è costata tre-cinque volte quella di Paesi a noi vicini.
Tutta colpa dell’orografia, come spesso si sente giudiziosamente dire?
La tesi qui esposta è invece un’altra, ovvero quella che, con la capacità progettuale e il suo più diretto corollario, ovvero l’abilità di produrre preventivi accurati e credibili, alla fine nelle amministrazioni sia venuto meno anche il buon senso.
Ritrovare dunque il buon senso, “vaste programme”, come direbbe De Gaulle, non può che essere un obiettivo di medio-periodo, che implica forse la morte del “politicamente corretto” e (orrore!) persino qualche buffetto ai bambini capricciosi. Ma senza arrivare a eccessi, pretendere che le grandi istituzioni ed enti nazionali tornino ad avere capacità proprie di progettazione, di unificazione, di valutazione e controllo delle opere, forse è un obiettivo immediatamente condivisibile.
C’è un altro tema urgente nel quale persino gli eurocrati di Bruxelles, ma non solo, giocano un ruolo fondamentale di “complicazione di pratiche semplici”: ormai tutto è codificato, normato, procedurato e non possono mancare le più formali certificazioni, estese anche all’aria che si respira.
Il risultato più evidente è che, moltiplicate le scartoffie, la qualità sostanziale di manufatti e opere non sempre ne trae giovamento, mentre il tempo di realizzazione e i costi peggiorano in modo evidente.
Si pensi alle rotonde stradali, tanto “care” al noto Sgarbi: a volte si ha l’impressione che il loro diametro risulti inversamente proporzionale al traffico che sopportano e che esse siano state disegnate senza criterio alcuno da uffici tecnici comunali popolati di ubriachi. C’è un comune del sud pavese in cui è stata realizzata una circonvallazione che a un certo punto si eleva di almeno tre metri per superare un innocuo fossetto presidiato da un tubo di sessanta centimetri. L’elevazione si ripete poi a forse sette metri sul piano di campagna per scavalcare una modesta ferrovia ad un binario. Ci sono almeno quattro metri sprecati, ed il disegno della rotonda appena seguente è degno di Salvador Dalì.
Queste offese al territorio sono la norma, per non parlare del vero e proprio disastro ambientale derivante da certe superstrade, autostrade e linee di alta velocità. Se poi si mette tutto assieme, come sulla Milano-Torino, il risultato è lì da vedere.
Nel contempo, qualunque opera infrastrutturale diventa oggetto di discussioni infinite e ci si divide tra il partito dei “cattivi” antimoderni che bloccano tutto e quello dei “virtuosi” innovatori che sfilano a manifestare per la pronta realizzazione delle opere.
Nel più recente caso di cui tutti parlano, un’opera ferroviaria concepita trent’anni fa è stata di recente riconsiderata per modificarne il tracciato e ridurne l’investimento. Della sottoutilizzata linea esistente nessuno sembra preoccuparsi, e tantomeno se ne è ipotizzato l’uso futuro.
Nel contempo tutti litigano e la questione è addirittura l’oggetto di una contesa tra i massimi partiti governativi, probabilmente senza che nessuno sappia realmente di che cosa stia parlando. La questione peraltro non è semplice, visto che anche nel gruppo di espertissimi di trasporto pubblico (in gran parte dirigenti o ex-dirigenti) che lo scrivente frequenta, le opinioni sono difformi. Ma proprio per questo, metodologicamente, bisognerebbe ripartire da una valutazione accurata dell’investimento e magari anche dal confronto sulle priorità.
Senza aspettarci miracoli, qualche buona idea potrà venire anche dal lavoro di valutazione costi-benefici in corso. Peccato che si sarebbe dovuto farla prima, senza affidare la progettazione dell’opera a coloro che operano esattamente come il Conte Dracula alla presidenza dell’Avis.
Alla fine il commento finale è che, come dirigenti, forse dovremmo avere l’ambizione di organizzarci, discutere, magari anche in modo acceso ma non ideologico, confrontare numeri e soluzioni, proporre strumenti di valutazione e controllo delle opere e far sentire la nostra voce, se mai pervenissimo a qualche risultato costruttivo.
È quello di cui nel prossimo futuro vorremmo farci promotori, in ambito ALDAI e non solo.