Il manager, la politica e il futuro.

È necessario rendersi conto della reale situazione del Paese e aprire un grande dibattito, coinvolgendo prima di tutto le associazioni di categoria e tutte le rappresentanze del Paese, per delineare il percorso di sviluppo; un piano operativo nel quale ciascuna componente si riconosca e contribuisca per la sua parte. Per dirla con le parole di un grande Presidente americano, è l’ora in cui ciascuno deve chiedersi cosa può fare per la società e non aspettare quello che la società può fare per lui.

Gianni Di Quattro

Socio ALDAI co-fondatore dell’associazione Nel Futuro (www.nelfuturo.com)
Lo scenario nazionale si presenta molto offuscato. La conseguenza di tanti anni senza una visione del futuro da parte delle istituzioni, senza investimenti nella scuola e quindi favorendo il degrado culturale del Paese, sottovalutando l’impatto della tecnologia con tutte le sue conseguenze tra cui la globalizzazione, con politiche sociali ed economiche spesso in contraddizione, con una classe politica o ancorata ad ideologie mutuate o prigioniera di azioni a breve e coinvolta in politiche assistenzialistiche e di promozione che hanno indebitato il paese sfasciandone il bilancio per tanti anni.
Peraltro anche lo scenario internazionale si comincia a intravedere fosco con gli americani di Trump che combattono il multilateralismo a favore del bilateralismo cancellando decenni di sforzi per creare sistemi di collaborazione tra le nazioni per la pace e per il commercio, con la concentrazione della tecnologia di avanguardia nelle mani di poche aziende, con la supremazia sempre più evidente di tre grandi Paesi (USA, Russia e Cina) sul resto del mondo, con la disgregazione di fatto della Unione Europea, l’acuirsi della crisi mediorientale e la vigenza di tante guerre sparpagliate qua e là che producono migliaia di morti giornalmente, il fenomeno destinato a crescere nel mondo della migrazione di intere masse di popoli logorati da guerre, carestie, sopraffazioni alla ricerca di qualsiasi posto dove vivere. E come conseguenza lo sviluppo di fenomeni di razzismo, di odio che avvelena tutte le comunità e ne impedisce una evoluzione verso forme più alte di civiltà e di cultura.
Gli scenari nazionale e internazionale evidentemente condizionano il modo di vivere del futuro da molti punti di vista a cominciare da quello economico perché allargano di poco l’elite dei ricchi che sono sempre più ricchi e dilatano di molto invece le masse dei poveri che sono sempre più poveri e con una parte di essi per i quali si può parlare più propriamente di miseria. 
Le incertezze economiche e sociali spingono verso il possesso di cose e non verso la proprietà delle stesse liberando così risorse per eventualmente investire nel mondo finanziario e speculativo (considerato l’unico per raggiungere traguardi significativi) a scapito di quello industriale (costretto ad operare con forte automazione, e quindi alta intensità di investimenti, per ridurre i costi e su mercati diversi per la accesa competitività e la necessità di distribuire molto prodotto), e cambia di conseguenza anche il modo di vivere. Per esempio prevalgono sempre di più i servizi e l’uso in sharing di qualunque cosa, dalla casa all’auto, a qualsiasi altro strumento sia di lavoro che domestico. Si tende a vivere sempre di più fuori casa per mangiare, per incontrare, per divertirsi. Cambia il consumo e soprattutto il modo di consumare, il ruolo delle banche, il lavoro e la sua organizzazione.
La classe politica, sempre più improvvisata, senza esperienza e spesso senza cultura, fatica a progettare un piano che porti un Paese come l’Italia verso il cambiamento epocale che è in atto e che ormai è irreversibile e, salvo situazioni dittatoriali che peraltro si stanno diffondendo nel mondo, la responsabilità di guidare la politica economica e sociale del Paese è e sarà sempre di più, direttamente o indirettamente, nelle mani delle aziende e degli uomini delle aziende e cioè dei manager. Mai nel passato si è verificata questa situazione che è quasi completamente spogliata di qualsiasi ideologia e che è anche provocata dalla complicazione che ormai domina gli affari del mondo.
Queste considerazioni sui cambiamenti che stanno galoppando cambiano evidentemente il ruolo dei manager, certamente dei top manager e di tutti quelli che hanno responsabilità nelle aziende in merito ai comportamenti e alle relazioni con il mercato, il territorio, la comunità tutta. Il problema è se i manager sono pronti a questo cambiamento e se le aziende lo sono altrettanto.
La risposta è evidentemente negativa, così come non è pronto tutto il Paese. Perché sono necessarie sensibilità, senso di responsabilità, norme giuridiche coerenti, consapevolezza degli azionisti e soprattutto dei media (che tanto ruolo hanno nella creazione del pensiero pubblico) e dei corpi intermedi: dai sindacati alle organizzazioni confindustriali, dalle associazioni di categoria ai rappresentanti dei consumatori.
Il mondo che sta dunque arrivando con passi veloci tende a tagliare i ponti con il passato, si mette alla ricerca della categoria di persone, di professionalità, cui poter affidare da una parte i suggerimenti delle cose da fare e dall’altra la responsabilità di attuarli dopo che la classe politica li ha intravisti ed è riuscita a pescare quegli elementi che le servono per continuare a parlare al popolo e mantenere il potere almeno da un punto di vista formale. L’unica cosa cui è interessata!
Il manager è a questo punto inevitabilmente costretto non tanto a cambiare mestiere quanto ad ampliare i suoi compiti e soprattutto le sue responsabilità. Perché è lui e nessun altro quello che può indirizzare e gestire il Paese al posto di una classe politica racchiusa in se stessa e dedicata a combattersi senza esclusione di colpi e con totale distacco dai problemi veri del Paese.
È giunto il momento di aprire un grande dibattito nel quale tentare di coinvolgere prima di tutto le associazioni di categoria, ma anche sindacati e confederazioni che rappresentano i vari imprenditori e, se possibile, la classe intellettuale del Paese, di cui quella accademica fa parte, per cercare di dare loro coraggio e, soprattutto, di stanarla da un letargo che la porta all’adeguamento verso tutto, come il giunco di cui parla un noto detto siciliano.
È proprio giunto il momento in cui ogni protagonista che a qualsiasi titolo è presente sul mercato giochi la sua parte e contribuisca, facendosene carico, ideologicamente e praticamente alla evoluzione della società. Credo che la promozione di un grande dibattito, l’invito a tutti di partecipare, di provocare, di ideare è assolutamente necessario se si vuole avere un futuro tutti quanti. In altri termini per dirla con le parole di un grande Presidente americano è l’ora in cui ciascuno deve chiedersi cosa può fare per la società e non aspettare quello che la società può fare per lui. È l’ora in cui ciascuno giochi la sua parte per quel che sa e quel che può.
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