C’è bisogno di sindacato, vero?
Qualche riflessione sui fatti sindacali più recenti
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Salvare l’occupazione: a discutere ci siamo anche noi
Gli sviluppi di alcune recenti vicende industriali fanno molto pensare. Assistiamo a delocalizzazioni “selvagge” a cui i lavoratori si oppongono con tutti i mezzi tradizionali, scendendo in piazza, chiedendo l’intervento e la mediazione del governo. Ma i risultati che scaturiscono da queste azioni rimangono problematici.
In almeno due vicende, quelle recenti dell’Ilva di Taranto e della fiorentina GKN, persino i dirigenti e quadri aziendali si sono sforzati di portare il loro contributo strategico e di presenza. Qualcuno all’inizio li avrà magari guardati con perplessità e sconcerto, perché molti vivono ancora di vecchi stereotipi e la presenza sindacale dei manager è sconosciuta. Invece è un fatto importante, da apprezzare e da sottolineare.
Di converso, sono davvero molte le vicende in cui i dirigenti, più o meno organizzati nel loro sindacato, brillano per la loro totale assenza.
Noi dove eravamo?
Tra i casi più eclatanti vi è forse quello della ex compagnia aerea di bandiera: da più di trent’anni quella azienda è passata di crisi in crisi, fino alla sua attuale liquidazione finale, con un conto totale che supererebbe la decina di miliardi di euro per il contribuente italiano. Nel frattempo l’occupazione nella compagnia è passata da oltre 22mila dipendenti ad una previsione di 2800 per la nuova compagine che dovrebbe prenderne la funzione. Passato a miglior vita forse l’unico manager che seppe portare l’impresa all’utile, ci si è mai sentiti proporre dai suoi colleghi tuttora attivi un credibile piano di rilancio? A memoria di chi scrive, non sembra proprio.
In un’altra azienda, tra le maggiori aziende italiane di trasporto urbano, ormai nota più che altro per l’adozione di un nuovo tipo di mezzo di trasporto, il “flambus”, ovvero l’autobus che piglia fuoco, qualche anno fa un certo numero di dirigenti fu accompagnato alla porta con la mediazione utile della nostra organizzazione federale, ma anche in questo caso non risulta che si siano poi avanzate proposte costruttive sull’organizzazione del servizio, che sarebbero tuttora quanto mai necessarie per uscire dall’incubo di un sempre più prossimo collasso finale.
Sempre nell’ambito del trasporto pubblico, in tempi in cui è diventata di grande attualità la parola “sostenibilità”, è forse sostenibile che la nostra azienda ferroviaria abbia un’occupazione per km di linea gestita che è la metà di quella della consorella svizzera, e che ne derivi l’evidente degrado di un vastissimo patrimonio infrastrutturale e di quel servizio ferroviario “universale”, ormai dimenticato, che univa un tempo tutte le medie città italiane?
Non è sostenibile concentrarsi prevalentemente sull’investimento in nuove linee ad alta velocità nel mezzo del nulla e sull’acquisto compulsivo di nuovi mezzi, magari ad idrogeno, tanto per rimanere “alla moda”…
I mezzi e le linee poi, per compiere degnamente le loro funzioni, dovrebbero essere manutenuti quanto occorre: così anche se ne ritarderebbe l’obsolescenza.
Parlando un momento di manifattura: possibile che nessuno intervenga sull’idea, bizzarra, che il secondo marchio automobilistico italiano, il più riconosciuto dopo Ferrari, imposti la sua produzione “on demand”, ovvero producendo solo le auto già prenotate? Tutto ciò rischia di suonare davvero come una liquidazione!
Avere un punto di vista sulle strategie industriali
Ma il problema è forse più generale e ruota attorno a un semplice interrogativo: un sindacato dei lavoratori (ivi compresi i dirigenti, che sono pur sempre lavoratori dipendenti, e che proprio per la peculiarità della loro funzione hanno difficoltà a esporsi, e dunque potrebbero delegare il compito ai loro pensionati), un sindacato si diceva, non ha tra i suoi compiti essenziali quello della tutela strategica delle proprie aziende e del loro sviluppo?
Alla fine del secondo conflitto mondiale grandi lodi vennero da più parti, inclusa quella confindustriale che pure non era esente da pesantissime responsabilità politiche, ai lavoratori che “difesero le fabbriche”, impedendone la distruzione da parte degli occupanti tedeschi in ritirata.
Perché solo allora il mondo del lavoro seppe svolgere quella primaria funzione civica?
Ora, nel nuovo secolo XXI, si è discusso a lungo sulla “crisi dei corpi intermedi”: il livello di partecipazione dei lavoratori alle attività sindacali è ai minimi storici, e le principali organizzazioni si sono ritagliate strumenti di sopravvivenza che spaziano dalla previdenza integrativa all’assistenza fiscale e alla formazione.
Da militante a burocrate?
Ma così, alla figura del “militante” sindacale ormai fuori dalla storia, si è sostituita quella del burocrate: in qualche caso e in particolare in certe aree del Paese, le più critiche, è spesso giunta voce di comportamenti anomali quando non addirittura penalmente rilevanti da parte di “sindacalisti” forse più propensi al nepotismo e alla collusione che alla seria azione di tutela dei loro rappresentati.
Se questo è il quadro generale, forse c’è davvero necessità di esempi virtuosi e la nostra organizzazione nazionale, Federmanager, talvolta non esente dal rischio di sfiorare le situazioni sopra richiamate, dovrebbe cimentarsi in questo compito.
Forse ci vorrà ancora del tempo, perché la realtà che ci appare non evidenzia questo tipo di evoluzione virtuosa. Siamo alla vigilia di un congresso che si celebrerà quando questo numero della rivista arriverà ai suoi lettori: in quella circostanza parole chiare e scelte conseguenti potrebbero essere molto importanti. Per esempio, nel dare finalmente vita ad un serio organismo di analisi e proposta sui vari settori industriali e produttivi, nel rimettere al centro la tutela del dirigente nella sua azione di “motore dell’attività industriale”, nel suo essere elemento catalizzatore di sviluppo piuttosto che esubero da liquidare con quattro baiocchi, magari indorando l’uscita con certificazioni e accesso ad improbabili strumenti di ricollocazione. E nel limitare gli accenti autoreferenziali e tutti concentrati sulle dinamiche interne all’organizzazione…
Dobbiamo ritrovare questo tipo di ispirazione, altrimenti il declino sarebbe dietro l’angolo, rendiamocene conto tutti, a partire dai nostri vertici. E, verificata la nostra capacità di convergere e supportare l’organizzazione confindustriale, riscopriamo anche la capacità e la forza di dire qualche necessario no a interlocutori non sempre molto propensi al confronto.
In conclusione
In conclusione, occorre ritornare al titolo di queste righe, per eliminarne la virgola e il punto interrogativo finale: abbiamo davvero bisogno di un sindacato vero, e dobbiamo lavorare a costruirlo.