Dalla riforma fiscale poca luce sul buio demografico

I vincoli ISEE al varo dell'Assegno unico rischiano di diventare più un intervento assistenziale piuttosto che una misura corretta fiscalmente e determinante per evitare il suicidio demografico

Giorgio de Varda 

Socio ALDAI-Federmanager Coordinatore del CADD (Centro Analisi Dati Dirigenti) - giorgio.devarda@gmail.com
La riforma della tassazione IRPEF e le nuove norme che regolano l'Assegno unico sono solo un piccolo passo verso l’obiettivo di rischiarare il buio demografico in cui il nostro paese sta da tempo sprofondando.
Non è un fatto nuovo né solo italiano: più di tre anni fa su questa rivista è apparso l’articolo "Europa 2050: Suicidio Demografico"  (https://dirigentindustria.it/notizie/economia/europa-2050-suicidio-demografico.html) che evidenziava le nefaste conseguenze economiche se l’Unione Europea non avesse preso misure adeguate per contrastare il calo demografico nei paesi membri. 

Secondo gli autorevoli economisti della Fondazione Robert Schuman citati nell’articolo, infatti, un calo demografico comporta un decremento del PIL potenziale. Opinione condivisa anche dal professor Gian Carlo Blangiardo, esimio demografo e attuale presidente dell’Istat, che a questo proposito ha introdotto il nuovo termine “Pil demografico” per evidenziare la sua stretta correlazione con la struttura della popolazione, in particolare con la quota di persone in età attiva. 

Il rapporto Istat sulla dinamica delle nascite nel 2020 (https://www.istat.it/it/files//2021/12/REPORT-NATALITA-2020.pdf) ha purtroppo confermato il trend negativo della popolazione italiana. Lo stesso prof. Blangiardo, in una sua importante conversazione tenuta il 3 ottobre scorso con il Sole 24-Ore (https://www.ilsole24ore.com/art/istat-con-400mila-nascite-all-anno-siamo-paese-30-milioni-abitanti-AEfClTl) ha fatto un quadro che non lascia dubbi sulla necessità di intervenire in questo campo con politiche a lungo termine ed ha anticipato che nel 2021 si registreranno solo 385.000-395.000 nuovi nati, scendendo così per la prima volta nella storia sotto il tetto di 400.000 nuovi nati e provocando un ulteriore sostanziale calo della popolazione.

Certo, c’è di mezzo anche il Covid-19, con i forti decrementi dei concepimenti che sempre si verificano nei momenti di crisi, la chiusura delle attività decretata per contenere il diffondersi della pandemia e l’aumento del numero totale dei morti. Tuttavia sembra chiaro che la tendenza al calo della popolazione sul lungo periodo diventerà inarrestabile se non si condurranno sostanziali politiche demografiche sulla linea di quello che hanno fatto e stanno facendo altri paesi.

L'Assegno unico universale appena introdotto insieme con la riforma dell’IRPEF sembrava un provvedimento promettente. Ma, a conti fatti, il messaggio finale è contraddittorio, perché ci sono addirittura fasce di famiglie che riceveranno per i figli meno di prima, mentre i vantaggi della riforma fiscale, secondo il semplice modello messo a punto dal Centro Analisi Dati Dirigenza di ALDAI (CADD) e non smentito da quello che compare sui giornali, vanno ai redditi medio-elevati, attorno ai 50.000 euro/anno, e anche se questo è un fatto positivo almeno per i dirigenti pensionati, ha ben poco a che fare con il problema demografico.

Dalla figura pubblicata dall’Istat, che presenta le fasce di popolazione secondo l'età all’inizio del 2020, emerge con grande chiarezza che il grafico, che in teoria dovrebbe assomigliare a una piramide, nella parte della popolazione più giovane ha invece la forma di un cono rovesciato. Ciò ha un forte influsso negativo sulla natalità futura, perché avremo via via generazioni più giovani sempre meno numerose per cui, anche se rimanessero costanti i coefficienti di natalità attuali per le donne in età fertile, avremo una decrescita consistente. Come stimato nel modello demografico del CADD, costruito appositamente sui parametri dell’Istat (Istat non comunica i suoi modelli demografici, ma solo alcuni risultati di questi), questo fatto porterebbe a una diminuzione progressiva di un quarto delle donne in età fertile nel 2040, ossia di 1,4% all’anno (e su questo non si può fare più niente), e di conseguenza della natalità e, a più lungo termine, della popolazione, e quindi anche del PIL potenziale.
Naturalmente si prescinde qui dal fenomeno dell’immigrazione, i cui effetti però, positivi all’inizio, si stanno attenuando sempre più.

Credo che il problema della natalità, sebbene sia forse il più importante della società italiana, sia ancora poco sentito e non si vedano ancora con chiarezza le nere prospettive di un declino demografico dell'intera nazione che potrebbe diventare inarrestabile. 

Molte sono le cause, ma ci sono interventi che alcune nazioni hanno fatto, come la Francia e ultimamente la Germania, che sembra abbiano portato o stiano portando risultati molto buoni.
Che la nostra classe politica non l'abbia capito risulta evidente anche leggendo la relazione congiunta che le Commissioni Finanze della Camera e del Senato hanno trasmesso al Governo, dopo una lunga ricerca, per rivedere la tassazione in Italia: mi ha colpito la considerazione che siccome il numero di donne che lavorano in Italia è molto inferiore a quello degli altri paesi, si raccomanda di fare di tutto per spingere le donne al lavoro, e soprattutto mi ha colpito il suggerimento limite di non fare troppe detrazioni sulle tasse per le donne con figli che non lavorano, evitando metodi di splitting della tassazione delle coppie come è possibile fare in Francia, con evidenti vantaggi fiscali; questa considerazione mi è parsa fuori luogo.
Certo, l'Assegno unico può essere visto come un progresso perché viene dato in maniera universale a tutti i figli in funzione dell’ISEE della famiglia, ma diminuisce rapidamente al crescere di questo, come indicato nella figura. Praticamente il contributo dagli iniziali 175 euro scende velocemente a 50 euro al mese superando i 40.000 euro di ISEE, contributo valido  per ogni figlio (600 euro annuali), mentre scompaiono tutte le altre detrazioni, compresi gli assegni familiari, per cui in questa zona di ISEE, facilmente raggiungibile da chi ha una o più case di proprietà che incidono molto sullo stesso, potrebbe esserci addirittura una perdita finanziaria rispetto alla situazione preesistente. Infatti, qualsiasi siano i redditi Irpef concorrenti all’ISEE dei genitori, l’Assegno unico praticamente compensa solo le detrazioni dell’Irpef o poco più, ma vengono persi completamente gli assegni familiari (anche se per tre anni questo non dovrebbe accadere per una clausola di salvaguardia). Personalmente sono d'accordo che l'ISEE è una buona valutazione della ricchezza di una famiglia, ma i dati oggi disponibili sono solo quelli delle famiglie che finora hanno fatto l'ISEE e che sono quasi tutte abbastanza bisognose. Ne risulta un'idea errata dell'ISEE mediano della nazione, perché non c'è una statistica totale né una banca dati relativa alla ricchezza delle famiglie, cosa che credo sia assolutamente da fare. Dai dati medi degli ISEE finora noti e che sono alla base dell’impostazione dell’Assegno unico, emerge infatti che la maggior parte delle famiglie avrebbe un ISEE inferiore ai 20.000 euro, cosa che non sta in piedi esaminando i redditi e la ricchezza delle persone in Italia. 

Il dato rilevato dall’Istat, che l’età del primo figlio tende a salire da parecchi anni (attualmente è di 31,4 anni) suggerisce chiaramente che alla base ci siano molteplici motivi, e la tassazione o la contribuzione statale, leva economica fondamentale per garantire un dignitoso livello di vita alle famiglie più numerose, non è certamente l'unica cosa su cui si può agire.

Bisogna costituire un ambiente favorevole ai giovani: dall’accessibilità ad una casa, alla disponibilità di asili nido (di cui la tassazione prevedeva una quasi completa indeducibilità contrariamente alle altre forme di assistenza scolastica), alla legislazione del lavoro che in pratica pone le donne in uno stato di grande inferiorità dopo la maternità: molte non possono riprendere a lavorare proprio perché ciò non è previsto per tutte le aziende, alla concessione obbligatoria, su richiesta delle stesse, del part-time obbligatorio, e così via. Le aziende, fatto ancora più grave, tendono a non concedere contratti a tempo indeterminato a donne che potrebbero avere dei figli.

Infine ci sono le normative che impongono ai genitori obblighi alcune volte eccessivi, quali quello di dover andare per tutte le elementari a prendere e ritirare figli, senza possibilità di deroga: se si guarda ad esempio il Giappone, si vedono lunghe fine di bambini anche piccolissimi che girano da soli nelle vie di Tokyo e che vanno a prendere la metropolitana... 

Concludendo, ci sono molti interventi che si possono fare per aumentare la natalità, purché si capisca che questo è il problema numero uno per la nostra società e che il problema demografico può innescare anche un problema di decadenza economica molto grave.
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