Elogio dell’anidride carbonica
Peggiore del Covid-19, un nuovo nemico globale incombe su di noi: la CO2. Ma è proprio così?
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Tutti ce l’hanno con la CO2, l’anidride carbonica, principale prodotto delle combustioni ma anche della respirazione umana. È una molecola che non sarebbe nemmeno velenosa come il suo parente monossido di carbonio, ma a cui oggi si ascrive il contributo prevalente all’effetto serra che causa il riscaldamento globale del pianeta Terra.
Siamo al punto che a breve possiamo aspettarci che chi fosse individuato con un bicchiere di frizzante acqua minerale venga poi additato al pubblico ludibrio, e magari sanzionato, per aver contribuito alla diffusione nell’ambiente della sostanza incriminata...
Del resto, il riscaldamento globale prende sempre più le sembianze di un fatto inoppugnabile, tanto che anche la politica a tutti i livelli, da quello europeo comunitario a quello cittadino, ha fatto propria la tematica e mette virtuosamente a disposizione risorse crescenti per contrastare il fenomeno: la parola d’ordine è “decarbonizzazione”. Bisogna ridurre i “gas serra” (essenzialmente CO2, metano e NOx), occorre fare presto, siamo in ritardo, e il minimo è perseguire emissioni zero per il 2050.
Basta combustioni, basta carbone e basta idrocarburi fossili: è invece diventata popolarissima un’eterea sostanza piuttosto esplosiva, l’idrogeno, perché bruciando non produce CO2, al contrario dei cattivi idrocarburi, siano essi il metano, quasi altrettanto etereo, o quelli con qualche atomino di carbonio in più nella molecola, la cui presenza fa sì che li conosciamo come benzine e gasoli, liquidi già a temperatura ambiente. E questo fatto che siano liquidi non sarebbe poi così negativo, visto che ne deriva che la loro densità energetica (l’energia per unità di volume) cresce di centinaia di volte.
Ci si è messo anche il degrado della scuola, come lamenta il prof. Galli della Loggia1: e chi studia più la chimica? È trascurata persino la geografia, nessuno identifica più regioni e province italiane, figuriamoci se ci si possa interessare di questa materia astrusa a base di atomi, molecole e stechiometria…
Ma in questo modo infinocchiare i somari diventa ancora più facile, a livello generale.
Forse è il caso di dare qualche numero globale, perché avere le dimensioni di un fenomeno dovrebbe essere essenziale per discuterne seriamente.
Vediamo dunque quanta CO2 e/o altri gas serra si producono annualmente nel mondo, introducendo come unità di misura il miliardo di tonnellate, o Gt.
- Produzione annuale di petrolio 4,5 Gt.
- Produzione annuale di metano 3,3 Gt.
- Produzione annuale di carbone 4 Gt.
- In totale la produzione annuale di CO2 di origine industriale vale attorno alle 35 Gt. Poiché la conversione in CO2 delle sopracitate sostanze avviene mediamente con un fattore attorno al 3, tra le cifre citate è rispettata una ragionevole corrispondenza.
- Non è finita però: qualcuno chiama in causa le emissioni vulcaniche, ma in realtà esse emettono annualmente CO2 “solo” per 0,2–0,5 Gt.
- Gli allevamenti – e più in generale le attività agricole non comprese nei precedenti consumi – si stimano emettere annualmente gas serra per una decina di Gt.
- Ma anche la semplice respirazione degli 8 miliardi esseri umani emette annualmente circa 3 Gt di CO2…
- Una cifra equivalente è ascrivibile al contributo degli incendi incontrollati, almeno 2 Gt all’anno.
- Stimiamo alla fine una produzione annuale globale di gas serra, costituita essenzialmente oltre alla CO2 da metano e NOx, di oltre 50 Gt equivalenti di CO2, con la CO2 stessa che pesa per il 75% mentre metano, ossidi nitrici e altri gas valgono il restante 25%.
- L’Europa non incide ormai per più dell’8% di queste cifre globali, a cui USA e Cina apportano contributi molte volte maggiori.
Dunque, se proprio volessimo darci delle priorità serie, da domani occorrerebbe partire con un accelerato programma di ricostituzione della biomassa vegetale che cattura CO2 attraverso la funzione clorofilliana, concordando opere immense di riforestazione e riformando a fondo l’agricoltura, anche attraverso lo sviluppo di colture adeguate e organizzando l’accumulo della biomassa che ne potrebbe derivare.
Poi, forse, sarebbe urgente la messa in operazione nei cinque continenti di ampie flotte di Canadair (o, per ascoltare un ingegnere aeronautico amico a veterano, di russi Beriev 200, che portano molta acqua in più) capaci di estinguere rapidamente incendi che, nella mancanza di mezzi aerei, possono durare settimane.
Il passaggio successivo sarebbe certamente quello di ridurre i consumi di energie fossili, tenendo conto tuttavia che per ora il contributo delle energie rinnovabili si aggira su poco più del 10% del consumo energetico globale, e che per aumentarlo occorre spendere molte energie (fossili). Dunque, diciamocelo con franchezza, il lungo periodo di riduzione dei consumi energetici che ci si prospetta implica un sostanziale ridimensionamento delle produzioni e dei consumi finali globali. Forse facile a prospettarsi nella “sazia” Europa, che ormai conta assai poco, assai meno facile nei grandi Paesi ancora in fase di sviluppo industriale. Solo partendo da questo tipo di considerazioni globali ci si può costruire una visione obiettiva del problema.
Non si tratta, come molti industrialisti arrabbiati amano fare, di prendersela con Greta Thunberg che ha correttamente posto un problema. Il fatto è che non possiamo lasciare le “soluzioni” a politici impreparati e propensi alla demagogia, che si limitano a farsi belli proponendoci di sostituire autobus a gasolio con costosissimi mezzi elettrici, e innocui vecchi treni diesel con innovativi mezzi a idrogeno (fuel cell) che magari costano il doppio di un treno normale.
A costo di sembrare politicamente scorretto, e di essere accusato di fare di ogni erba un fascio, considero che la definizione più adatta per queste proposte, ma anche per quelle a mia opinione non meno singolari della cattura della CO2 e del suo confinamento in pozzi geologici, sia quella di “fumo negli occhi”.
Le dimensioni del problema globale non trovano infatti risposta credibile in esse: gli ordini di grandezza rimangono incomparabili.
Un’ulteriore considerazione: la produzione di un’auto nuova, in termini di CO2 equivale mediamente a circa 20 tonnellate di emissioni.
In un anno con la mia vecchia diesel, una rispettabile Euro 5, percorro circa 20mila km consumando poco più di una tonnellata di gasolio, ovvero generando più o meno 4 tonnellate di emissioni di CO2. Naturalmente, evito di usarla in città, dove si concentrano i problemi di inquinamento, e dove si possono usare altri mezzi.
Ammettendo di anticipare la fine della sua vita utile e sostituirla con una virtuosa auto elettrica che produca la metà di CO2, visto che un’auto che funzioni esclusivamente con un pannello solare sul tetto non mi risulta ancora disponibile, per quanti anni il bilancio globale della CO2 rimarrebbe negativo?
Lavorerei a favore dell’ambiente o contro?
Sarò grato a chi saprà rispondere adeguatamente alla mia domanda, così da convincermi al nuovo acquisto…
Concludo con una pia leggenda: si narra che Sant’Agostino d’Ippona, camminando sulla riva del mare, assorto in pensieri sulla Trinità, vedesse il Santo Bambino che raccoglieva con un cucchiaio l’acqua del mare in una buca. Gli domandò: “Come puoi pensare di racchiudere il mare in una buca?”. E la risposta fu “E tu come puoi pensare di comprendere nel tuo cervello i Misteri della Trinità?”.
A questo verrebbe da pensare, quando si sente parlare di “Carbon Capture and Storage” (CCS)…
C’è qualcosa di sbagliato nella mia posizione? Chi sa intervenga, e mi dimostri che non è così: il dibattito è aperto.
(1) E. Galli della Loggia “L’aula vuota” – Ed. Marsilio 2019