Il miracolo

Nel nostro strano paese, realizzare un’opera nel rispetto dei tempi e dei costi attesi è cosa inconsueta.

Il nuovo ponte di Genova: un modello innovativo di costruzione

Giuseppe Colombi

Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del comitato di redazione Dirigenti Industria

Il crollo: un disastro nazionale

Quando crollò il ponte di Genova, nell’agosto 2018, dopo il cordoglio per la tragedia, una delle prime domande che l’estensore di queste note si pose, fu: “Quanto tempo ci vorrà per la ricostruzione?”.

Tentai anche di abbozzare una risposta, pensando che, per analogia con i progetti petrolchimici di cui mi ero da sempre occupato, il tempo “tecnico” minimo attribuibile all’opera fosse valutabile a 15-18 mesi. 

Di qui a valutare il tempo reale di ricostruzione ce ne correva, anzi: non era ipotizzabile nessuna correlazione tra quel tempo tecnico ed il tempo finale che ne sarebbe risultato a consuntivo.

Ci si poteva immaginare che complicazioni burocratiche, conflitti di competenza e discussioni inutili sullo “stile” nella ricostruzione, avrebbero prolungato all’infinito il tempo di lavoro.
 
E poi: quanto sarebbe costata quella ricostruzione? Nessuno, nel nostro Paese, sembra interessarsi della preventiva valutazione dei costi di un’opera. Si parte senza preoccuparsene, si ipotizzano cifre con grande larghezza ma con scarse valutazioni professionali serie, e ci si aspetta un consuntivo finale che ecceda anche di tre-quattro volte quanto eventualmente preventivato. 

I soldi di Pantalone non sono di nessuno e, anche quando si realizza un’opera prestigiosa, nessuno si cura di valutare se la qualità dei materiali non lasci intendere che nel giro di pochi anni quell’opera sarà da buttare. La scuola elementare degli anni Trenta che ho frequentato in un quartiere romano, tra poco raggiungerà il secolo e continua a svolgere egregiamente le sue funzioni: persino gli infissi (ahimé) sono ancora originali… Altri tempi, rispetto allo stato di conservazione di altre ben più gloriose opere di recente realizzazione, che nella stessa città, a pochi anni dall’inaugurazione, già garantiscono ai soliti noti contratti manutentivi tanto ricchi quanto discussi.

Nel caso di Genova però da subito risultava chiaro che i costi di ricostruzione sarebbero stati sostenuti dal concessionario autostradale. E, col senno di poi, forse questo ha aiutato …

E così si è partiti, con un primo inaspettato prodigio: i responsabili politici, indipendentemente dalla loro collocazione ideologica, sono riusciti a litigare meno del solito. Cambiavano i leaders nazionali, ma il giornalista a capo della regione, l’ex manager a capo del comune e tutti gli altri sono riusciti a contenere conflittualità, ambizioni personali, contrasti.

Certamente un contributo essenziale lo ha dato anche l’architetto genovese Renzo Piano, che in poche settimane se ne è uscito con un progetto lineare, senza records da battere, se non quello della semplicità e rapidità della costruzione, modernissimo nel coniugare forme e strutture tipiche dell’ingegneria navale (l’impalcato metallico concavo a forma di chiglia) con quelle tradizionali dell’ingegneria infrastrutturale (le pile ellittiche in cemento armato), una sfida anche tecnologica alla notoria aggressività dell’ambiente marino nei confronti delle strutture metalliche.

Un progetto di impatto visivo limitato grazie alla forma dell’impalcato e alle campate di grande luce (50m con l’eccezione dell’attraversamento del Polcevera e delle aree ferroviarie mediante 3 campate di 100 m) modernissimo ma realizzabile in fretta, e a costi non eccessivi.
Tutt’altra storia rispetto al progetto precedente dove gli “stralli in calcestruzzo precompresso” avevano fatto discutere gli specialisti per decenni, rendendone travagliata l’esistenza, fino al crollo.

Quanto costa un ponte?

Appunto: quanto costa?
Rispondere a questa domanda diretta è probabilmente la questione che suscita le maggiori resistenze negli “esperti” del settore, di qualunque settore, potremmo aggiungere.

Di solito quegli esperti obiettano che all’analoga domanda per un’auto, la risposta dipende dal fatto che si tratti di una “500” o di una Ferrari: evidentemente il risultato è molto variabile. Ma in realtà quella è una risposta di perfida ritrosia professionale, guidata dalla necessità di non scoprirsi troppo.

Una risposta c’è, e anche solo scartabellando qualche sito su Internet, potremmo trovare che un ponte autostradale di media complessità “viaggia” a consuntivo tra i 4000 ed i 6000 € per metro quadro di impalcato. Cifre indicative, per carità: qui c’era anche da demolire, rimuovere e smaltire macerie con amianto, si operava in area urbana ed industriale e mille potevano essere le motivazioni per richiedere variazioni in corso d’opera, non ultima la ristrettezza dei tempi che non favoriva la definizione di un contratto con tutti i dettagli. Ma partire con un’idea è meglio che partire senza. Facendo il conto grossolano, comunque, 1100 metri di lunghezza per 30 di larghezza portavano a 33000 metri quadri di impalcato, per una cifra totale tra 130 e 200 milioni di Euro.

In questo poi, favoriti dalla necessità di procedere in fretta, i committenti hanno potuto rivolgersi ai nomi più gloriosi dell’impiantistica civile ed industriale, genovese e nazionale, dopo aver nominato un project manager individuato in una prestigiosa azienda cittadina, e valutato per confronto anche un progetto alternativo preparato da architetto altrettanto rinomato e capace (Calatrava). 

Nei progetti industriali in genere la capacità del project manager e la sua sintonia con le imprese costruttrici sono fattori essenziali di successo: in questo caso poi, gli occhi di tutti erano puntati su questi operatori, obbligandoli a dare il meglio delle proprie capacità.
In condizioni normali, sarebbe bastato un qualsiasi medio funzionario ministeriale, un concorrente perdente, un cittadino istruito da chissà chi, per fermare il progetto per mesi, o forse per anni. E’ la storia di quasi tutti i grandi progetti nazionali, e ciò da una parte rende quasi tutte le opere nazionali costose ed in ritardo, ma nello stesso tempo questo interessato bizantinismo in qualche caso ferma progetti inutili, sovradimensionati, a volte addirittura demenziali . (Com’è noto, a Giarre (CT) sopravvive incompiuto da più di trent’anni uno stadio del polo).
A Genova così non è stato, e dopo più o meno diciotto mesi dall’inizio dei lavori, il ponte nuovo è lì, bello e fatto.

Se il prezzo finale dell’opera , come riportato dal Corriere della Sera, sarà di 202 milioni di Euro, si direbbe che sia ipotizzabile una certa coerenza tra tutte le principali cifre del progetto. E, forse che il prezzo pattuito sia equo.

A pensar male, si potrebbe ipotizzare che, visto che a pagare dovrebbe essere il committente Autostrade Per l’Italia, non ci sia da stupirsi se il prezzo finale una volta tanto è contenuto nei limiti del ragionevole.

Preferiamo pensare che, in questo caso, necessità politica di rimediare a un disastro, urgenza, determinazione, competenza e capacità abbiano contribuito a un risultato di cui, quando il manufatto sarà davvero completato e messo in funzione, tutti non potremo che rallegrarci.

Un metodo per le infrastrutture a venire

Domanda delle Cento Pistole: ma perché non utilizzare lo stesso metodo in tutte le grandi, piccole e medie opere di cui questo Paese abbisogna sempre di più, identificando progettisti di buon senso (anche senza la rinomanza mondiale di Renzo Piano) e project managers capaci e non scalzacani, limitando le influenze di autorità locali non sempre proprio disinteressate e competenti?

Di questi tempi in Aldai stiamo utilizzando le competenze di un certo numero di colleghi per fare qualche valutazione su un progetto che ha calcato per decenni il palcoscenico nazionale e che, verrebbe da dire fortunatamente, è stato interrotto prima che incominciasse a fare danni sostanziali. 

Quei suoi padrini politici che tanto lo sostenevano e lo vorrebbero immutato anche oggi, farebbero meglio a domandarsi se si possa realizzare un progetto essenzialmente perché “si raddoppia il massimo tecnico esistente al mondo”, “costituisce un record”, “è il vessillo dell’ingegno italiano” e così via.

Se poi, tra qualche lustro, quel simbolo si trasformasse in tragedia, è vero che il problema riguarderebbe le generazioni future, ma per evitare che questo avvenga forse, guardando indietro, dovremmo reimparare a costruire “monumenta aere perenniora” (Più durevoli del bronzo), solidi, di bell’aspetto, razionali e a buon mercato. Proprio come facevano gli antichi romani e, in tempi a noi più vicini, ancora nella Roma di Michelangelo, Bernini e Borromini. La tradizione c’è: basterebbe seguirla.

Il ponte di Aulla

Per concludere terminiamo con un altro esempio: in aprile è crollato il ponte sul fiume Magra di Aulla.

Da anni si sollecitava l’intervento dell’Anas, ma quelli facevano orecchie da mercante. Secondo loro era “tutto a posto” e il sindaco non aveva di che preoccuparsi. Le crepe c’erano, ma erano irrilevanti.

Singolare che poi, quando una di quelle crepe irrilevanti ha fatto cedere una campata, siano crollate “per simpatia” anche tutte le altre, con un triste quanto inquietante effetto domino. E il ponte non c’è più.

Un tempo, in questi casi, interveniva il Genio Pontieri: in pochi giorni sarebbe stato gettato un Ponte “Bailey”, ovvero una struttura reticolare smontabile che avrebbe ricostituito subito un collegamento provvisorio ma robusto. Ricordo quel Genio Pontieri ed i suoi ponti Bailey che nelle esercitazioni apparivano e sparivano sull’Aniene, nella Roma degli anni ’50.

Che ne sarà del Genio Pontieri nel nuovo esercito professionale di 90 mila uomini, secondo il Gen. (Ris.) Marco Bertolini, professionisti validi, ma invecchiati e insufficienti ? (1). Di sicuro dopo un mese il ponte Bailey non è ancora apparso sul Magra, e chissà se comparirà nel prossimo futuro. Com’erano belli i tempi dell’esercito di leva …

(1) Italiaeilmondo.com : ISTITUZIONI E SOVRANITÀ - LA FUNZIONE DELL’ESERCITO ITALIANO 
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.