Incertezza, big data e nuovo welfare

Coniugare performance e sostenibilità emotiva significa lavorare al meglio, crescere ed evolvere permettendo all’azienda di fare altrettanto

Roberto Ceccarelli

Socio ALDAI-Federmanager, temporary manager e formatore, componente e fondatore del team blisszone 
Sono tempi straordinari e imprevedibili che costringono tutti, imprese e famiglie a “navigare a vista” come testualmente scrive Confindustria, nei commenti ai dati del terzo trimestre 2020. Incertezza e precarietà sono sensazioni comuni a cui organizzazioni aziendali e persone reagiscono in modo differente. 

Proprio osservando cosa hanno messo in campo le aziende e cosa le persone, forse è possibile delineare efficaci forme di welfare aziendale per il futuro. 

Le organizzazioni aziendali sono organismi, spesso complessi, con inerzie decisionali e di execution, più o meno marcate, per questo chi le conduce cerca di pianificare il futuro in modo accurato, preparando scenari di business, sviluppando piani B e C, abbracciando il concetto di agilità nei processi aziendali in modo da aumentare al massimo la capacità di risposta a nuove situazioni. 

Anche prima del Covid, avere a che fare con l’incertezza è stata una condizione normale per moltissime aziende. Le imprese operano in un mondo sempre più interconnesso e mutevole, e si sono dovute adattare. Spesso in risposta al binomio maggiore complessità-maggiore incertezza hanno fatto propria la filosofia dei Big Data, decodificando la complessità ambientale con analisi sofisticate su grandi quantità di dati. Forse uno degli effetti della pandemia è stato proprio quello di aver messo in crisi alcuni algoritmi di analisi

Il Covid ha rimescolato, inevitabilmente e rapidamente, le carte, distribuendo incrementi e decrementi di fatturati anche in modo statisticamente difforme rispetto al passato, tra canali di vendita, tra mercati B2B e B2C e settori di appartenenza. 

Una delle sfide che vedo per chi analizza dati, sarà proprio quella di fornire le future analisi predittive scegliendo se considerare i dati 2020 come un’eccezione irripetibile nelle serie storiche oppure come la base di un profondo e stabile cambiamento dei trend futuri. 

Ma se vogliamo sintetizzare, possiamo dire che le aziende hanno reagito in modo tendenzialmente razionale, sia riducendo (fino alla chiusura) tutte le attività non strettamente necessarie che ripensando se stesse, i propri modelli di business ed organizzativo per essere maggiormente pronte a futuri repentini cambiamenti. 

Tutto ciò ha influenzato e influenzerà pesantemente le persone, che non possono riprogrammarsi con la stessa velocità di cambiamento imposta dalle organizzazioni e che temono inevitabilmente per la perdita del proprio posto di lavoro.  Gli psicologi del team blisszone mi riportano un panorama preoccupante di senso diffuso di precarietà, non solo economica. 

Come esseri umani non siamo a nostro agio nell’incertezza in quanto essa evoca istintivamente il timore dell’ignoto, di non poter controllare gli eventi, risvegliando preoccupazioni istintive circa la nostra stessa sopravvivenza. 

La pandemia ci ha reso consapevoli che alcuni presidi fondamentali della nostra esistenza, quali quello affettivo, professionale e biologico (salute e libertà di movimento) sono contemporaneamente sotto attacco o potenzialmente potrebbero esserlo. 

Quante volte abbiamo compensato con il lavoro situazioni personali faticose e quante volte ci siamo sentiti felici per le nostre relazioni affettive malgrado un’attiva lavorativa non soddisfacente? Giochiamo la nostra esistenza su più tavoli ma quando tutti questi tavoli ci vengono tolti o sono messi in potenziale pericolo (quasi nel medesimo istante) allora ci scopriamo vulnerabili

Fare i conti con i nostri limiti non è semplice perché viviamo immersi in un ambiente che spesso sembra privilegiare il controllo (dai device tecnologici comandati a voce, a gesti e a distanza a situazioni di lavoro più complesse) e il risultato. 

Un welfare aziendale è allora tanto più efficace quanto più sviluppa una cultura aziendale che accetti che le persone siano fallibili perché esiste il senso del limite. Sento già le obiezioni. Un’azienda deve fare profitto, non è un’associazione assistenziale… ma questo tipo di ragionamento deriva dall’intendere il mondo per opposti, dover sempre scegliere tra una cosa o l’altra, tra profitto o cura delle persone. Eppure già gli antichi con il loro in medio stat virtus sapevano che l’arte della vita e degli affari consiste nel conciliare opposte necessità, avere una forma mentale per mediare tra obiettivi contrapposti. Un efficace welfare aziendale dovrebbe permettere di coniugare razionalità (big data e procedure), performance (che sono indispensabili) con la sostenibilità emotiva

Certo Welfare è spesso sinonimo di risposte ad esigenze pratiche come asili e concierge aziendali, sicurezza, polizze sanitarie, ecc. Ma il Covid ha messo a nudo altre fragilità umane e allora è tempo di dare alla parola Welfare anche un altro significato ovvero quello di una nuova cultura lavorativa che consapevole delle nostre vulnerabilità, permetta e stimoli le persone ad: essere responsabili; capaci di mediare tra distinte esigenze; raggiungere risultati in un’ottica non solo di brevissimo termine; essere attente ai bisogni dei colleghi e collaboratori; considerare l’errore come una incredibile possibilità di miglioramento; venir ricompensate per avere a cuore non solo le proprie sorti professionali ma anche quelle dell’intera barca sulla quale lavorano ed infine che non si sentano o non gli venga richiesto di essere super-eroi solitari. In una parola di farle partecipare attivamente al progetto aziendale.

Personalmente sintetizzo tutto questo con coniugare performance e sostenibilità emotiva

Siamo adulti e sappiamo che nessuno può promettere che ci sarà sempre un posto di lavoro per noi o che un’azienda sarà eterna. Ma coniugare performance e sostenibilità emotiva significa lavorare al meglio, crescere ed evolvere permettendo all’azienda di fare altrettanto. È la classica situazione vincente per tutti; il Covid ci ha segnalato che occorre questo cambio di passo e il bello è che tutto ciò può essere fatto a costo (praticamente) zero, a differenza di qualsiasi altro progetto di Big Data o riorganizzativo.
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