Le aspettative della dirigenza
In vista del rinnovo contrattuale, che dovrebbe partire a fine anno, nell’ambito di Federmanager si è sviluppata un’indagine sulle principali attese dei colleghi in servizio rispetto a questa negoziazione.
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager
Nel frattempo, in alcune realtà locali, cominciavano a circolare documenti diversi, tutti incentrati sul tema del contratto. Alcuni testi, davvero bizzarri, quando non erano espressione di singoli personaggi, riflettevano un dibattito parziale e concentrato su tematiche specifiche. Qualcuno sembrava addirittura più ispirato alle esigenze della controparte che a quelle dei dirigenti ma, si sa, il fenomeno non è certo nuovo nel contesto.
In particolare alcuni, forse incoraggiati da chi auspicherebbe anche per i dirigenti l’adozione di due livelli contrattuali (nazionale e locale), così di moda tra gli altri sindacati, si lanciano a proporre questo modello anche per noi. Si tratta di ipotesi che sono state prese in considerazione e ragionevolmente respinte da più decenni. Capita a volte di spacciare per innovativa anche robaccia ripescata… nella pattumiera della storia.
Nel nostro ambito milanese, invece, la Commissione Sindacale e Lavoro, riunitasi più volte, aveva costruito proprie ipotesi abbastanza complessive sulla questione. Ci sembra un’eccezione nel panorama nazionale, cui forse si affianca soltanto il lodevole lavoro del sindacato di Genova.
Quello che è ora significativo è, tuttavia, che le principali risultanze dell’indagine nazionale di Federmanager tendono a coincidere con le priorità individuate da Milano, a dimostrazione che per percepire il “polso della categoria” è più importante agire da soggetto organizzativo categoriale, capace di ascolto e di interpretazione del “sentiment” dei colleghi, piuttosto che strologare e dividersi nella compilazione di lunghi elenchi di domande ai colleghi, a volte poste più per giustificare a posteriori le strategie già in corso.
La storia degli ultimi rinnovi è una storia di discussioni fumose e sterili, di imposizioni illogiche della controparte, di risultati deludenti, di una vera e propria crisi della rappresentanza. Questa linea di comportamento è ancora ben lungi dall'essere stata corretta.
Nei primi eventi propedeutici al futuro rinnovo la si può ritrovare immutata.
Veniamo ai risultati dell’indagine nazionale, a cui faremo seguire alcune considerazioni sviluppate a Milano. In sostanza la popolazione dirigenziale consultata dice:
- al 37% che occorre un adeguamento economico;
- al 31% che è opportuno concentrarsi sugli strumenti di welfare;
- al 26% che le politiche attive di reimpiego hanno assunto centralità.
Se confrontiamo queste esigenze con i principali “risultati” dell’ultimo rinnovo, ovvero:
- abolizione dei due livelli di TMCG, malgrado l’irrilevanza economica comprovata di quell'istituto e zero aumenti salariali;
- peggioramento delle condizioni di trattamento d’uscita anche oltre il jobs act;
- eliminazione del sostegno al reddito in uscita (GS Fasi);
- fallimento dell’obiettivo di accrescere il numero delle le nuove nomine…
Ci si può rendere conto quanto lungo e significativo sia il cammino da percorrere.
Noi a Milano stiamo dicendo che:
a) il dirigente è una persona che crede nel proprio lavoro, desidera farlo bene e vorrebbe essere utile a sé stesso, alla società, al Paese;
b) quindici anni di contratti in perdita lo portano a pensare che sia ora di vedere qualche miglioramento significativo dal rinnovo contrattuale;
c) il dirigente considera funzionali al proprio ruolo Fasi e Previndai e ritiene che questi istituti debbano essere tutelati, difesi e valorizzati, migliorandone la fruibilità e le condizioni, ove possibile;
d) il dirigente è molto preoccupato dall'ipotesi di fuoriuscita anticipata e di mancato collegamento col suo futuro pensionistico. Vorrebbe vedere strumenti reali di tutela in materia. Nella scorsa negoziazione si era individuato uno schema di “contratto di ricollocazione del dirigente in uscita”, che è stato preso in ben poca considerazione dalla nostra parte ancor prima che dagli interlocutori negoziali. Ora il problema si ripropone.
Parliamo ora dei soggetti coinvolti nel rinnovo contrattuale: cominciando dalla composizione delle delegazioni e dal capo delegazione. La composizione della delegazione trattante è fortemente sbilanciata verso “la protezione dell’apparato”, poiché predominano in essa figure istituzionali: un profondo rinnovamento della delegazione, più che auspicabile, è necessario.
Tra l’altro risulta poco comprensibile, ma è già confermato nelle prime occasioni d’incontro in vista del futuro rinnovo, lo spazio quasi esclusivo affidato a direttori del personale e più in genere di H.R.
Si tratta di colleghi che, anche se spesso di grande valore, sono per così dire un po’ in “cultural clash” con il ruolo negoziale.
Questa volta lo schema che purtroppo è stato più volte applicato in passato, ovvero quello di partire dalle esigenze datoriali per confezionare un prodotto disastroso, imbellettato con operazioni di “maquillage” che rapidamente stingono, lasciando tutti di fronte alla dura realtà di un rinnovo negativo, non ha più gli spazi per funzionare.
Ugualmente, chi pensasse che organismi anche potenzialmente utili, ma ancora in corso di definizione quali il nuovo ente “4.Manager”, possano costituire l’asse portante del futuro rinnovo contrattuale, si renda conto che il tempo in cui tra fumi d’incenso si ammannivano alla categoria queste idee stravaganti dovrebbe essere definitivamente finito. Male.
Il lavoro preparatorio non è terminato: a Milano continuiamo a seguire i vari eventi e ad elaborare documenti scritti che lascino il minore spazio possibile ad una trattativa fuori controllo. Ci conforta l’attenzione crescente e la partecipazione attiva ai lavori di Commissione. È importante che gli organismi federali centrali tengano una buona volta conto delle elaborazioni del principale sindacato nazionale, il nostro.