Mar Rosso 2024: il peso della crisi
Sicurezza, costi, assicurazioni: implicazioni di una crisi in un punto nevralgico dei trasporti internazionali
Franco Conticini
Socio ALDAI-Federmanager e componente del Gruppo di Lavoro Dirigenti per l’ Europa e Geopolitica
È il 19 novembre 2023 nel Mar Rosso meridionale quando, da un vecchio elicottero MI-171 SH, di fabbricazione sovietica, sbarca un team di combattenti ‘Houthi’ che prende il controllo della nave cargo Galaxy Leader. La nave viene sequestrata e dirottata verso il porto yemenita di Hodeidah (Al Hudaydah).
È questo l’episodio che segna un salto di livello nella qualità e quantità degli assalti marittimi condotti nel mar Rosso meridionale da Ansar Allah (‘i partigiani di Dio’), il gruppo yemenita più comunemente conosciuto con il nome etnico di ‘Houthi’.
Nel periodo novembre 2023-marzo 2024 sono registrati almeno 66 attacchi a mezzi navali, prevalentemente concentrati nel Mar Rosso meridionale e nel Golfo di Aden in prossimità dello stretto di Bab-el- Mandeb. (Per maggiori informazioni ACLED)
Questo ha avuto immediate ripercussioni sul traffico marittimo dell’area. Ad esempio, nelle prime 2 settimane del gennaio 2024 circa 150 navi hanno attraversato il Canale di Suez, rispetto ai 400 transiti nel pari periodo dell’anno precedente; una diminuzione del -62%.
Molte compagnie di trasporto hanno reagito all’incremento degli attacchi dirottando il traffico navale dalla rotta Mar Rosso-Suez sulla rotta circum-africana che doppia il Capo di Buona Speranza.
Ma la deviazione del traffico marittimo intorno all’Africa ha pesanti conseguenze di tempi e costi non tanto per le Shipping Companies, che guadagnano su una percentuale dei costi di trasporto, ma per chi spedisce e per gli utilizzatori finali delle merci trasportate.
Ad esempio, sulla tipica rotta Singapore-Rotterdam il periplo africano comporta l’allungamento di percorso di + 3.300 miglia nautiche (+38%), un allungamento dei tempi da 26 a 36 giorni (+ 38%), e un aggravio di costi di carburante dell’ordine dei 400-500.000 USD per una grande portacontainer. E anche le navi che decidessero di attraversare comunque il Mar Rosso, magari sotto scorta militare, sono comunque soggette a un fenomenale aumento dei costi di assicurazione. Conseguentemente le tariffe di trasporto Cina-Europa per un container da 40 piedi sono passate dai 2000 USD dell’ottobre 2023 ai 5-6000 USD dell’inizio 2024.
Un ulteriore effetto dell’allungamento di 10 giorni dei tempi di transito è che, per trasportare lo stesso tonnellaggio mensile di merce dalla Cina all’Europa (impiegando 50 giorni invece di 40) è necessario utilizzare ca. il 25% di navi in più, con conseguente rarefazione della disponibilità di navi e ulteriore impennata dei costi. Senza menzionare la difficoltà delle Shipping Companies di garantire rifornimenti e adeguata assistenza logistica alle navi lungo la costa africana, con porti non attrezzati a sostenere in maniera veloce ed efficiente il nuovo aumentato volume di traffico. Per ultimo ricordiamo anche l’ulteriore incremento delle emissioni ambientali (CO2 , Nox, S, ecc ) legato all’allungamento dei percorsi.
Secondo Confartigianato, l’impatto della crisi nel Mar Rosso sul commercio estero italiano nel primo quarto del 2024, è stato calcolato nell’ordine dei 60 milioni di euro al giorno, con il maggiore effetto avvertito dagli export regionali di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto.
Oltre agli effetti inflattivi, gli effetti a lungo termine della crisi nel Mar Rosso vedono continuare il trend, già iniziato dopo la pandemia, di rivalutazione della sicurezza strategica delle produzioni e degli approvvigionamenti, l’esigenza di garantire più resilienza alle catene di produzione, con attenzione particolare alle scorte strategiche e alle supply chain, con una continuazione e accentuazione dei trend di Re-shoring, Near-shoring, Friend-shoring, e con una tendenza generale all’accorciamento delle catene di approvvigionamento.
La importanza strategica del Mar Rosso
Il Mar Rosso è una area di transito di grande importanza strategica per l’Italia e per l’Europa, essendo la rotta principale di connessione tra Cina/Estremo Oriente ed Europa/ Costa Atlantica Americana. Attraverso il Mar Rosso passano il 12% delle merci del commercio globale e più di 1/3 del traffico globale di containers, per un valore stimato superiore ad 1 trilione USD all’anno (dati BBC, febbraio 2024).
Per l’Italia in particolare, il Mar Rosso condiziona 1/3 delle esportazioni italiane, il 16% dell’import e, in totale, il 40% dell’ import/export italiano via nave.
Un aspetto meno noto, ma estremamente importante riguarda il traffico dei dati trasmessi attraverso cavi sottomarini. Attraverso i 16 cavi che corrono sui fondali del Mar Rosso transita circa il 17% del traffico globale internet e la maggioranza del trasferimento di dati tra Europa e Asia. Quattro dei sedici cavi sottomarini esistenti sul fondo del Mar Rosso sono stati interrotti il 24 febbraio 2024 in una profondità di acqua di 150-170m. Non ci sono informazioni certe sulla causa delle interruzioni (accidentale o più probabilmente sabotaggio), in ogni caso l’ episodio ci ricorda ancora una volta la nostra dipendenza e l’estrema criticità/ fragilità delle infrastrutture sul fondo del mare (siano esse cavi in fibra ottica, come nel caso del Mar Rosso, o metanodotti, come nel caso del Nord-Stream).
E’ stato stimato che la riparazione dei danni richieda almeno 8 settimane, mentre il traffico dati interrotto, dopo alcuni inevitabili disservizi iniziali, è stato dirottato su altri cavi via Cina-USA e via circum-Africa.
Un ulteriore effetto collaterale degli attacchi Houthi nel Mar Rosso è stato quello di una ripresa degli episodi di pirateria nell’Oceano Indiano orientale. Un fenomeno che, dopo il picco di crisi degli anni 2008-14 si era andato via via riducendo, anche grazie al sostenuto pattugliamento di navi militari nell’area (e.g. la missione ATALANTA). Non c’è un collegamento diretto tra Houthi e pirati somali, tuttavia l’attenzione degli assetti militari dell’area è stata rifocalizzata sugli attacchi missilistici presso Bab-al-Mandeb, lasciando quindi più sguarnita l’area oceanica, ove i pirati hanno immediatamente approfittato del ‘security vacuum’ creatosi. Più di 20 attacchi di pirati sono stati riportati nell’area di fronte alla Somalia nel periodo dicembre ’23 - marzo ’24 con conseguente ulteriore aumento dei costi per le assicurazioni e per il mantenimento di misure di sicurezza attive e passive a bordo dei mercantili.
L'attuale crisi del Mar Rosso, sopra descritta, mette ancor di più in evidenza , se ce ne fosse bisogno, come l’area di interesse strategico fondamentale dell’Italia non possa più essere limitata al solo Mediterraneo sensu strictu, ma inevitabilmente sia estesa alle porzioni di Mar Rosso, Oceano Indiano occidentale e Atlantico Orientale che convogliano verso quello che era il Mare Nostrum le rotte globali di transito delle merci, così essenziali per la buona salute e per l’esistenza stessa del nostro Import-Export.
È il concetto di ‘Mediterraneo Allargato’, espresso dall’inizio degli anni ’90 negli ambienti della Accademia Navale di Livorno, concetto che è sempre più attuale in un mondo totalmente interdipendente, avvolto da quelle complesse reti di catene di valore ‘produttore-trasformatore-consumatore’ che caratterizzano la realtà attuale.
Ecco quindi che il controllo degli stretti, dei passaggi obbligati delle rotte internazionali, continua a essere un elemento geostrategico essenziale. Sono quei punti critici che nel linguaggio anglosassone (la lingua delle potenze talassocratiche, passate, UK, e presenti, USA) vengono più crudamente definiti ‘choke points’, punti di strangolamento. Tra questi lo stretto di Bab-el-Mandeb, la porta di ingresso del Mar Rosso, un braccio di mare largo solo 20 miglia nautiche stretto tra la costa araba yemenita e la costa africana della Repubblica di Djibuti. E non è un caso che proprio a Djibuti, negli anni recenti, si sia vista una vera e propria corsa alla apertura di basi militari da parte di grandi e medie potenze.
La Cina ha aperto a Djibuti quella che è la sua prima base militare all’estero nel 2017. Ma è in buona compagnia: in questo momento, nei dintorni di Djibuti City, sono infatti attive basi militari di USA, Cina, Giappone, Arabia Saudita, e anche di Italia, Francia, Spagna, Germania. Nelle vicinanze di Djibuti, Russia e Israele si appoggiano alla vicina Eritrea, mentre UAE e Turchia hanno aperto basi militari in Somalia.
Proviamo adesso ad accennare ai punti di vista sull’area di alcuni degli attori chiave presenti.
Per gli Stati Uniti rimane, come sempre, fondamentale il controllo dei mari, anche attraverso il presidio dei choke-points dell’area: Hormuz, Suez e Bab-el-Mandeb. Compito questo assicurato dalla presenza continuativa della V flotta (con il battle group della portaerei Eisenhower). Così come resta prioritaria per gli USA la protezione delle proprie basi, e la protezione di Israele, anche incentivando le aperture a livello diplomatico ed economico tra Israele e Arabia Saudita. Altri obiettivi includono il contenimento dell’Iran nella regione, dell’ulteriore espansione turca in Siria/Egeo, e il contrasto all’espansione dei competitors Russia e Cina nella regione.
La Cina ha ormai ben consolidato la sua penetrazione economico-commerciale nella regione medio-orientale. Per interscambio commerciale, la Cina è ormai il primo partner commerciale di Algeria, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Giordania, Kuwait UAE, Yemen ed è tra i primi 4 partner commerciali di Israele, Iraq, Bahrain, Qatar e Oman (dati: chinamed.it). La Cina è ben conscia della sua dipendenza energetica dal petrolio medio-orientale.
In particolare dal Golfo Persico, attraverso lo stretto di Hormuz, passano giornalmente 20 milioni di barili di greggio (il 20% della produzione mondiale) e 1/4 del commercio internazionale di Gas Liquefatto (LNG). Il 76% di questi idrocarburi è destinato all’estremo oriente (dati EIA).
Il Golfo Persico e il choke point di Hormuz si trovano stretti tra le tensioni in atto tra le aree di influenza iraniana/sciita e l’area di influenza saudita/sunnita. Assume quindi una particolare rilevanza il successo diplomatico cinese ottenuto nel marzo 2023 a Pechino quando il Ministro degli esteri cinese Wang Yi ha mediato e ottenuto la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita.
L’atteggiamento cinese verso i Paesi mediorientali, e in generale verso quelli in via di sviluppo, è sempre molto focalizzata sulla parte economica, insieme a una sottolineata non-interferenza sul piano politico interno, e senza richieste (tipiche del campo US – Eu) di mutamenti di governance in tema di trasparenza, anticorruzione, diritti umani o democrazia. La narrazione cinese tende sempre a differenziarsi dall’approccio americano, che è dipinto come intrusivo, direttivo, nonché caratterizzato da doppi standard. La narrativa cinese nell’area, è ben riassunta nelle parole del Ministro degli Esteri cinese: "China in Middle East is a victim of regional instability, as a result of US reckless military actions and presence" ... "We believe the people of Middle East are the Masters of the M.E., ... there is no need of Patriarchy from the outside" [WANG YI, Jan.2022, meeting 6 foreign ministers of Middle East Countries ].
L’India negli ultimi anni è diventata molto attiva nell’ Oceano Indiano occidentale. La Marina Indiana è, dopo gli Stati Uniti, quella che ha inviato più navi a pattugliare il Mare Arabico e il Golfo di Aden (21 navi in rotazione, con investigazioni anti-pirateria condotte su oltre 1000 imbarcazioni nell’ultimo anno). É recente la notizia che 35 pirati somali catturati dalla marina indiana sono stati portati a Mumbai ove verranno processati per atti di pirateria (Reuters, 23.3.2024).
Quella che è in atto è una naturale convergenza di interessi tra il subcontinente indiano che guarda a ovest, verso la penisola arabica (vista non più solo come destinazione per la manodopera indiana, ma come area ricca di energia e in rapido sviluppo), e il mondo arabo, che dopo l’ 11 settembre guarda sempre di più verso l’Asia per le sue esportazioni e l’interscambio commerciale.
L’atteggiamento neutrale e terzomondista indiano, ma anche la sua aspirazione a consolidarsi come potenza regionale di riferimento nell’area, è stato bene espresso dal Capo di Stato Maggiore della Marina Indiana, quando ha dichiarato quest’anno: “Con gli Houthi non abbiamo davvero nessuna ostilità”. “Il nostro compito è garantire che ci sia sicurezza, protezione e stabilità” nella regione. L’ India deve essere “un primo soccorritore e un partner privilegiato per la sicurezza ... per garantire che la regione dell’Oceano Indiano sia sicura, protetta e stabile". Amm. R. Hari Kumar, Capo di Stato Maggiore della Marina Indiana.
Per la Russia, dopo il febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali sull’export petrolifero, l’importanza del Medioriente e del transito attraverso il Mar Rosso è ulteriormente aumentata.
Prima del 2022 infatti circa la metà del petrolio russo esportato andava in Europa, 1/5 in Cina e il resto in altri Paesi. Negli ultimi 2 anni il volume totale di export non è diminuito (anzi, leggermente aumentato), ma la quota destinata all’Europa è stata adesso assorbita da un aumento della quota cinese (passata da circa 1/5 a 1/4 del totale) e da un incremento fenomenale dell’export verso l’ India che arriva ad assorbire quasi 1/3 delle esportazioni petrolifere russe. Questo significa che ben più della metà del petrolio russo transita adesso verso l’Asia, prevalentemente via nave sulla rotta Baltico-Gibilterra-Suez-Mar Rosso-Oceano Indiano. Rendendo quindi il passaggio attraverso il Mar Rosso ancor più fondamentale per la economia russa.
Le Missioni Militari
Nell’area Mar Rosso - Golfo di Aden, nel corso degli ultimi anni, sono state attivate 4 diverse missioni militari occidentali per garantire la sicurezza della navigazione.
Le prime due Missioni, Ocean Shield (NATO 2009-2013) e ATALANTA (EU, 2008-ongoing) sono state focalizzate sulla deterrenza, prevenzione e repressione della Pirateria in una vasta area marittima che si estende dal Mar Rosso e Mare Arabico a nord, fino a includere tutta la porzione di Oceano Indiano di fronte alle coste somale, kenyote, della Tanzania e del Mozambico settentrionale. Ulteriore scopo delle missioni è stato la protezione della distribuzione di aiuti da parte del World Food Program e il contrasto ai traffici illeciti di droga e di armi.
Gli assetti navali e il personale impiegato sono tipicamente messi a disposizione dagli Stati partecipanti, che ne sostengono direttamente i costi. Esiste poi un budget comune annuale (e.g. di 5.1 milioni di euro per la Missione ATALANTA nel 2023) che viene ripartito tra tutti i partecipanti per coprire i costi comuni di viaggi del personale non imbarcato, infrastruttura informatica, HQ e MedEvac (Per maggiori informazioni EU Naval Force Operation ATALANTA). L’11 febbraio 2024 il Comando della Missione ATALANTA è stato trasferito dalla Spagna all’Italia.
Tra il dicembre 2023 e il febbraio 2024, in seguito agli attacchi Houthi nel Mar Rosso meridionale, sono state poi attivate:
- la Missione internazionale denominata Prosperity Guardian a guida americana con la partecipazione attiva del Regno Unito; missione con regole di ingaggio che consentono anche l’attacco aereo contro le basi di partenza dei missili/droni che minacciano il traffico navale
- la Missione Europea Aspides (che in greco significa scudo) cui partecipano Grecia, Italia, Francia e Germania, con un mandato puramente difensivo, a protezione del traffico marittimo del Mar Rosso. Headquarter in Larissa, Grecia, e Comando Operazioni Italiano dal Cacciatorpediniere Caio Duilio.
Queste missioni militari sono certamente necessarie, svolgono e continueranno a svolgere un ruolo essenziale per la protezione della navigazione. Tuttavia non saranno sufficienti a rimuovere le cause profonde della minaccia.
I combattenti Houthi, induriti da un decennio di dura guerra civile, sono stati definiti come i vietcong dell’Arabia. E così come i vietcong non furono eliminati dai bombardamenti americani in Vietnam, è improbabile che le azioni manu militari siano da sole in grado di risolvere completamente la situazione in Yemen.
E’ necessario un lungo e difficile lavoro diplomatico in tutto il Medio Oriente.
Ritengo che questo lavoro diplomatico potrà essere efficace solo se, insieme alla capacità di ascolto europea, si riuscirà a coordinare tra loro, sia la capacità cinese di indurre al dialogo gli attori Sciiti e Sunniti dell’area, sia la capacità americana di influire sulle interazioni Israele-Arabia. Il tutto senza dimenticare ciò che forse è mancato di più nella stagione diplomatica del 2022-23, ovvero una forte tutela degli interessi delle parti più deboli (e.g. Palestinesi, Arabi Zaydi ‘Houthi’ etc.).
La soluzione diplomatica è ardua, lunga, ma resta l'unica possibile. E’ necessaria una rivoluzione copernicana da parte di tutti gli attori locali. E’ necessaria una pace per certi versi simile allo spirito dei trattati di Westfalia in Europa (1648), quei trattati che quasi 4 secoli fa posero fine alle guerre di religione europee (le famose Guerre dei 30 anni).
Come nel XVII secolo in Europa, così nel XXI secolo in Medio Oriente, è solo il riconoscimento mutuo della piena dignità di tutti gli Stati Nazionali, indipendentemente dalla religione ivi praticata da maggioranze e minoranze, che può portare una duratura stabilità e benessere.