EU Green Deal

Il 14 luglio la Commissione europea ha adottato una serie di proposte per trasformare le politiche dell'UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. È fondamentale ridurre le emissioni nel prossimo decennio per fare dell'Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e tradurre il Green Deal europeo in una realtà concreta.

Andrea Cassinari 

Socio ALDAI Federmanager e Group Quality & Global Regulatory Affairs Director
Le iniziative europee orientate al cambiamento del nostro stile di vita e alla trasformazione del sistema socio-economico, inevitabilmente pervasive del tessuto industriale e manageriale, ben si inquadrano in un piano molto articolato che prende il nome di European Green Deal.

È una sfida importante che poggia sul cambiamento, la trasformazione, con strumenti quali ricerca ed innovazione, che dovranno diventare ancora più efficaci ed efficienti nell’avvicinare l’intero sistema economico-sociale-ambientale al traguardo del futuro sostenibile.

Nessun ambito organizzativo viene escluso da questa ambiziosa trasformazione e che, se correttamente interpretata ed attuata, potrebbe portare l’Europa ad una posizione di leadership, diventando il primo continente “climate-neutral”, allineandosi ad obiettivi coerenti e positivi per fronteggiare la crisi climatica.

Le colonne su cui poggiare la transizione sono molteplici e sono ben rappresentate nella figura che segue.
Fonte: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni - Il Green Deal europeo

Fonte: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni - Il Green Deal europeo

L’economia circolare rappresenta una colonna portante di cui abbiamo sentito e sentiamo parlare diffusamente.

I prodotti sono da considerare nel loro intero ciclo di vita, con logiche di progettazione e di collaborazione di filiera che tengano conto di quando, dopo l’uso del prodotto, ci si posiziona a livello di rifiuto creando, ovvero assegnando, un nuovo valore per l’intera rete di Supply Chain coinvolta. 

Abbandonare l’economia lineare è un esercizio complesso, una sfida culturale ed organizzativa che parte da una visione manageriale ampia, diffusa e che richiede sì delle competenze specifiche, ma che devono essere affiancate a quanto di nuova concezione. 

Non si tratta di sostituire una materia prima con un’altra, né di confrontare un prodotto con uno alternativo, già disponibile sul mercato. Nemmeno è significativo in un contesto molto limitato, effettuare stime in ottica di impronta ambientale. Carbon footprint, water footprint o qualsivoglia altro eco-indicatore per confrontare prodotti avulsi dal reale contesto di utilizzo con approcci incompleti di LCA (Life Cycle Assessment) possono portare a valutazioni fuorvianti, a volte errate. Molte volte ci si trova di fronte a casi di greenwashing.
In realtà si tratterebbe di ripensare il progresso come The Ellen MacArthur Foundation promuove nelle sue iniziative.

Dal rapporto Brundtland “our common future” del 1987 a oggi, le tendenze in ottica di sostenibilità si sono declinate con difficoltà e lentezza esecutiva, pur concordando tutti nell’assegnare al tema estrema rilevanza.

Si utilizzano acronimi quali ESG, 3P, si sviluppano rating indicizzati specifici sulle capacità di una data società di essere climalteranti o meno, di promuovere e sostenere la parità di genere, di essere più sostenibili.

Si affiancano ed emergono certificazioni di sistema o di prodotto “sostenibili” oppure claim “nome del composto chimico free”; “animal free” e così via.

Sono già numerosi gli standard riconosciuti a livello internazionale ISO o da altri enti spendibili nella ampia galassia della sostenibilità.

A mio modo di vedere, bisognerebbe concentrare gli sforzi sulla costruzione di un dialogo di filiera che coinvolga ogni attore, leggasi “stakeholder”, con pieno coinvolgimento dello stesso in obiettivi misurabili e oggetto di monitoraggio con opportuna periodicità. 
Metodi ed unità di misura definite e riconosciute, capaci di muoversi ed essere applicabili nella Global Supply Chain. È uno scenario molto articolato, ma è la realtà dell’attuale tessuto industriale e relazionale che può e deve affrontare la sfida.

Per progettare il cambiamento o la transizione verso scenari a maggiore sostenibilità, ogni settore ha un proprio cammino da percorrere.

Dalla Chemical Strategy per la sostenibilità verso un ambiente libero da composti tossici, alla filiera alimentare con “farm to fork”. Un’energia rinnovabile, pulita ed efficiente che coniughi una mobilità “smart”.

I percorsi si incrociano e si rende necessario elevare le competenze e condividere le esperienze affinché possano diventare nuovi modelli per altri, abbiamo bisogno di accelerare sulla creazione di un nuovo modo di fare sistema. Cultura mirata e conoscenza specifica del settore, unitamente alla capacità di fare squadra con i partner diventano leve per compiere questo sforzo e realizzare nuovi percorsi ambiziosi.

Gli SDG delle Nazioni unite già indicano alcune direzioni degne di nota e che devono entrare sempre più nel nostro quotidiano.
Lo scenario in cui ci troviamo presenta evidenti difficoltà sul piano geo-politico e un coinvolgimento in chiave di Global Supply Chain sarà oltremodo più complesso e dovrà essere approcciato con opportune analisi del rischio. L’equilibrio nei modelli organizzativi aziendali dovrà articolarsi tra local e global e una forte presenza in chiave di Regulatory Affairs a fronte della velocità e produttività Europea, e di alcuni stati membri, nel produrre atti legislativi che ben si inquadrano nella visione dell’European Green Deal.

Si dovrà pertanto orientare il dialogo verso chiari obiettivi e uno schema organizzativo in modo tale da rendere operativi “distretti” di collaborazione tra i portatori di interesse a economia circolare.
Le figure chiave, capaci per cultura di innescare e concretizzare l’intera visione progettuale e darne continuità, saranno oltremodo aperte alla costruzione e consolidamento di risultati gestionali ed organizzativi in situazioni ad elevata complessità.

Le peculiarità manageriali di tali profili, aperti alla visione multidisciplinare ed abili negoziatori in scenari interni ed esterni alla singola realtà aziendale, saranno indispensabili ora e nel futuro prossimo per tessere la tela della transizione verso valori orientati al Green Deal Europeo e adattare il DNA aziendale in nuovi e sfidanti contesti relazionali.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.