Dove vanno i dirigenti?

Dai dati Inps sulla popolazione dirigenziale la base per ripartire

È utile esaminare l’andamento della popolazione dei dirigenti industria italiani in servizio nel periodo 2011-2015, a partire dai dati registrati a fine anno dall’Inps, al fine di valutare l’efficacia di alcuni istituti del contratto dei dirigenti stipulato a fine 2014 ed in vista del prossimo rinnovo del 2018.

Partiamo dal dato della popolazione complessiva dei dirigenti in servizio, desumibile dalla tabella n. 1.
Dunque nei cinque anni considerati la perdita complessiva dei dirigenti in servizio è stata di 7.646 unità, in termini percentuali: -9,86% della popolazione iniziale. Il turn-over annuale di permanenza nel ruolo da dirigente in servizio appare invece più elevato; per singolo anno il numero delle persone che perdono il ruolo è infatti ben superiore al calo complessivo della popolazione (nel periodo preso in esame il turn-over oscilla attorno all'8-10%). 
Nel corso del 2015, ad esempio, i dirigenti che hanno perso il ruolo sono stati pari a 7.240 unità (10,3%), a fronte nello stesso anno di 5.730 assunzioni. La modalità prevalente di perdita di ruolo è quella consensuale, vale a dire, con accordo fra le Parti (8,1% circa dei casi nel 2015); la seconda modalità è quella del “licenziamento”, pari a 1,8% (1.272 dirigenti nel 2015).  
Ora, per “fare industria”, il sistema Pae-se avrebbe bisogno di salvaguardare il proprio know-how di conoscenza/esperienza, rappresentato dalle alte professionalità tecniche e manageriali, perché quel patrimonio, una volta disperso, non è facilmente ricreabile. Va anche poi considerato che la figura del dirigente è presente solo in 16.500 imprese italiane (circa il 5,6% di quelle ritenute tali per loro iscrizione alle organizzazioni datoriali, in totale 296.000 imprese nel 2015), in un panorama dominato da imprese piccole con crescenti difficoltà competitive.
Apparentemente invece siamo al “si salvi chi può”;  la logica largamente dominante sembra essere quella del mero contenimento dei costi fissi di produzione nel breve periodo, senza visione a medio-lungo termine e senza alcuna logica di coesione fra i vari attori sociali (industria - rappresentanza sociale - governo).
Al di là del fatto che la dirigenza costituisce una  categoria prevista dalla legislazione del lavoro italiana, si dovrebbe convenire sul fatto che il ruolo dirigenziale rimane essenziale nel quadro di un possibile rilancio industriale, e che i dirigenti, in quanto patrimonio di risorse umane “competenti”, potrebbero risultare un fattore vincente nel cambio di passo necessario. Per fare questo, si dovrebbe garantire il loro possibile reinserimento anche nelle imprese medio-piccole associate ai sistemi di rappresentanza industriale Confindustria-Confapi.
Questo comporta, a livello di futura negoziazione contrattuale, la necessità di individuare quali strumenti di reimpiego, compreso il tema della/e gestione/tutele da utilizzare nel passaggio di impiego fra un datore di lavoro ed il successivo (come esplicare la possibile azione di solidarietà?). Il tema viene affrontato nella parte conclusiva dell’articolo.

Sempre più vecchi…

Esaminiamo ora l’evoluzione nel numero dei dirigenti giovani, di età inferiore a 39 anni. La tabella n. 2 mostra i numeri complessivi dei dirigenti negli anni.
Nei cinque anni considerati,  il calo nel numero di dirigenti in servizio in questa fascia di età è stato di 3.763 unità, in termini percentuali: -48% della popolazione iniziale di periodo.
Nello stesso periodo, poco diverso è  l’andamento del numero di dirigenti con età  fra i 39 e 44 anni (tabella n. 3).
Nei cinque anni esaminati la perdita di dirigenti in servizio in tale fascia di età è stata pari a 4.158 unità, in termini percentuali: -28,4% su popolazione iniziale.
Prendendo a riferimento la popolazione complessiva dei dirigenti in servizio sotto i 44 anni (fascia che possiamo considerare dei “giovani”), si può affermare che nel periodo considerato la riduzione è stata pari a 7.921 unità, in termini percentuali di: -35,25% rispetto alla popolazione iniziale. Praticamente la riduzione numerica complessiva della categoria dirigenti industria è avvenuta tutta in questa fascia di età.
Al tempo dell’ultimo rinnovo contrattuale di fine 2014, la parte datoriale attribuì forte rilevanza economica e di ostacolo al passaggio di ruolo da impiegato a dirigente al secondo livello di TMCG (trattamento minimo di garanzia: leggi, stipendio annuo minimo), ritenuto troppo elevato e che si attivava automaticamente, in caso di stipendio inferiore, dopo otto anni dal passaggio a dirigente. Nel corso dell’ultimo rinnovo ne ha preteso l’abolizione, non ritenuta negoziabile. Ora si può affermare che quell’azione non abbia praticamente sortito effetti positivi; il trend di riduzione continua,  senza che si profili alcuna controtendenza (si spera per il 2016, appena trascorso, ma il dato non è ancora disponibile).

Quale futuro?

Come fare a recuperare nuove nomine nel campo dei “giovani”? 
L’argomento va affrontato in modo “condiviso” tra la parte datoriale e le rappresentanze sindacali,  con modalità innovative e una visione un po’ meno miope, sempre che interessi all’industria formare dirigenti giovani. Ne ha bisogno? 
Qui si rileva che le risorse in ambito formazione dell’ente bilaterale Fondirigenti (Confindustria-Federmanager) debbano essere orientate a questo scopo: formare i giovani. Ugualmente occorrerebbe valorizzare il ruolo di “tutor” che molti dirigenti senior in servizio potrebbero esercitare; il mestiere si impara infatti principalmente in azienda. 
Così per il futuro contratto si potrebbe disciplinare il ruolo dei dirigenti “senior” disponibili all’azione di tutoring negli ultimi anni di attività in servizio. 
Un ultimo dato scaturisce dalle statistiche Inps del 2015: la cultura manageriale si alimenta positivamente nelle imprese che già dispongono di una dirigenza interna. I dirigenti aumentano infatti di un  +1,15% nelle aziende aventi da 11 a 20 dirigenti, e del +7% nelle aziende fra 51 e 100 dirigenti. In fase riduttiva si presentano invece le aziende il cui organico dirigenziale è compreso nelle restanti fasce più piccole/grandi, con cali numerici drammatici nelle aziende grandi con oltre 500 dirigenti; ciò testimonia la continua ristrutturazione, per non parlare di riduzione e scomparsa, dei grandi gruppi produttivi del Paese e delle difficoltà incontrate dalle imprese di minori dimensioni.

Le politiche attive

Questa definizione, vero e proprio “mantra” entrato nel linguaggio comune, designa gli strumenti di outplacement e formativi che sembrano diventati ormai la modalità prevalente per il reimpiego di chi perde il lavoro. Si spera che ciò non diventi solo un business per formatori improvvisati.
Nonostante il numero elevato dei dirigenti industriali che perdono annualmente il ruolo (media annua in uscita pari a 7.650 persone nel periodo 2011-2015), gli strumenti messi in campo dai precedenti contratti per assicurare il loro reimpiego si sono rilevati, nel corso degli anni, alquanto deludenti ed inadeguati per affrontare il compito, in quanto è mancata una vera volontà politica e di indirizzo comune  fra le Parti datoriali/sindacali.
Ciò è ampiamente in contrasto con quanto ripetuto in tutti i convegni in cui si parla di lavoro, in cui si afferma che le risorse intellettuali/manageriali sono importanti per il Paese e per l’industria, che occorre potenziare la cultura manageriale delle PMI in Italia, che il numero dei laureati necessari all’industria è insufficiente e via dicendo…
 Nel  contratto dirigenti 2014 si è previsto di accumulare al FASI risorse economiche per svolgere politiche “attive” per il reimpiego dei dirigenti, prevedendo anche l’ipotesi di un contributo da parte dei dirigenti in servizio (principio non ancora esercitato).
Nella realtà, mentre i Fondi si accumulano, non è successo praticamente niente: nelle Pmi manca la cultura manageriale e permane la mancanza dello spirito di “coesione” fra le Parti datoriali/sindacali; tutto è affidato alla messa in funzionamento del governativo “job act” ed, in particolare, alla costituzione dell’Agenzia Nazionale per il reimpiego ANPAL, a cui è stato assegnato il compito di esercitare le future politiche attive. 
Dovendo questo nuovo Ente, nella speranza che non diventi l’ennesimo carrozzone, occuparsi di ricollocare almeno 900.000 persone con bassa scolarità che hanno perso il lavoro, ben difficilmente sarà in grado di seguire le vicende della classe dirigente, di cui, forse, poco politicamente importa, in quanto considerata privilegiata.

Un cambio di rotta

Nei Paesi del Nord Europa si agisce diversamente e la “ricollocazione” è perseguita per tutti i cittadini, comprese le figure di più alta professionalità, con 
coesione fra Imprenditori/Sindacati/Stato.  
A livello bilaterale Federmanager-Confindustria, sarebbe necessario un vero cambio di “rotta” per mettere a frutto le cifre cospicue che nel frattempo si stanno accumulando al GS Fasi: in due anni di vigenza del contratto, si stima che esse ammontino a 22 milioni di euro; a tanto dovrebbero sommare i contributi versati dall’industria; a queste risorse potrebbero aggiungersi circa 6 milioni di euro annui  derivanti dalla devoluzione di mezza giornata di ferie dei dirigenti in servizio, qualora venisse esercitata l’opzione contrattuale prevista. Inoltre ci sono ulteriori risorse, in attesa di adeguato impiego, rimaste nell’Ente FIPDAI in liquidazione (precedente istituto previdenziale integrativo). 
Per fare che cosa…? Per il prossimo contratto la proposta interessante, veramente “industriale”, sarebbe quella di costituire un nuovo Ente bilaterale Confindustria/Federmanager per la rioccupazione dei dirigenti che perdono il posto di lavoro, mediante l’acquisto/entrata in proprietà di una società di “mestiere”, a cui devolvere il compito del reimpiego con il sostegno delle Parti, vale a dire, la costituzione di un Centro per il reimpiego dei dirigenti che perdono il ruolo.
Questa possibile decisione (economicamente sostenibile dalle Parti) sarebbe un bel segnale di unità, sia per la loro reputazione sia per i bisogni dell’industria del Paese, in grado di spingere la ripresa dell’economia e di sostenere la “transizione digitale” innescata dal programma governativo dell’industria 4.0. L’aspetto di “coesione sociale” è infatti determinante per raggiungere lo scopo di una società “sostenibile” ed avanzata, secondo le best practices attuate nei 
Paesi nord europei.
Ci sarebbe anche il possibile modello contrattuale: il contratto di “ricollocazione” per il dirigente, preliminarmente dibattuto tra i dirigenti Federmanager in vista del precedente rinnovo ma non proposto nella trattativa con Confindustria e che andrebbe perfezionato con la discussione fra le Parti. 
Il progetto del nuovo Ente bilaterale a sostegno del reimpiego è sicuramente “audace” ma sfidante, sia per le imprese che richiedono di potenziare il management, sia per la classe dirigente che continua ad accumulare “know-how” a “riserva”, sia per la crescita industriale del Paese. È ora per tutti di uscire dalla fase “artigianale” e di pensare in grande.
In alternativa, qualora non si riuscisse a costituire il Centro per l’impiego dei dirigenti, nel prossimo contratto si dovrebbe almeno ripristinare il sostegno al reddito a carico del GS Fasi per i soli dirigenti soggetti a “licenziamento”, ad integrazione della governativa Naspi, attivando da subito, per accumulare risorse, l’opzione già prevista a contratto, per devolvere l’equivalente di mezza giornata di ferie da parte dei dirigenti in servizio. 
Come si ricorderà, tale istituto contrattuale (sostegno al reddito) venne “chiuso” per ragioni economiche nel contratto del 2014, dopo essere stato oberato di costi con l’estensione parziale ai dirigenti con uscita mediante risoluzioni consensuali e ad un uso dell’istituto “non appropriato” da parte di ambo le Parti. 
In sostanza, il momento richiede un atto di coraggio ai vari attori sociali del mondo del lavoro, compresi i dirigenti.

NOTE
1) - I dati Inps di riferimento nell’articolo sono quelli della popolazione dirigenti industria a livello nazionale e fanno riferimento alle situazioni di ciascun fine anno. 
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.

I più visti

Contratto Dirigenti Industria 2019-2024

Il Contratto Nazionale di Lavoro dei dirigenti industria costituisce l’impegno fra le rappresentanze dei dirigenti e quelle datoriali sulla regolamentazione e gestione del rapporto di lavoro. Il documento Confindustria-Federmanager di 63 pagine, aggiornato con l'accordo del 30 luglio 2019, è riassunto di seguito per facilitarne la consultazione.
01 ottobre 2019

CCNL Dirigenti Industria. Confindustria e Federmanager firmano il rinnovo 2025-2027

Aumentano le retribuzioni e si rafforza il welfare
15 novembre 2024

Lavori in corso per il rinnovo del CCNL

Enti, ruolo del dirigenti, tutele legali, welfare e retribuzione: molti i temi affrontati nel primo ciclo di incontri con Confindustria
01 novembre 2024

Spunti e riflessioni in vista del rinnovo del Contratto Collettivo Dirigenti Aziende Industriali

Sintesi dell’incontro sul diritto del lavoro che ha visto la partecipazione di Federmanager e di esperti giuslavoristi
01 novembre 2024

Riforma fiscale: quanto gli italiani pagano più dei francesi?

La legge delega per la riforma fiscale, approvata dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023, apre un confronto sull'equità e sulla semplificazione tributaria. Un'occasione per un confronto con le politiche tributarie di altri Paesi europei che iniziamo - in questa prima puntata - con la Francia, per rilevare che una famiglia italiana con due figli e un reddito di 100mila euro paga 26mila euro di tasse in più rispetto all'analoga famiglia francese.
01 maggio 2023