Abbiamo un sistema pensionistico sostenibile, ma iniquo
Queste le conclusioni del Presidente del Comitato Nazionale Pensionati condivise in occasione del convegno Federmanager del 12 dicembre sul tema “Welfare previdenziale tra equità e sostenibilità” organizzato presso il centro congressi Cariplo di Milano ed al quale hanno partecipato oltre 200 dirigenti interessati a conoscere le prospettive previdenziali e le iniziative per assicurare dignità di trattamento e certezza oggettiva del diritto.
Mino Schianchi
Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento del Gruppo Pensionati FedermanagerIl convegno fortemente voluto dal comitato pensionati di Milano e dal suo Presidente Mario Giambone, è stato aperto dal Presidente ALDAI Romano Ambrogi e del Presidente Federmanager Stefano Cuzzilla. Al mio intervento hanno fatto seguito, gli interventi del Presidente CIDA, Giorgio Ambrogioni, del Direttore Generale Federmanager, Mario Cardoni, del Prof. Alberto Brambilla i quali ci hanno aiutato ad analizzare la situazione previdenziale del nostro Paese, fornendo un quadro su quanto Federmanager e CIDA stanno facendo a favore di noi pensionati e ci ha dato la possibilità di condividere gli indirizzi da assumere nel divenire.
Ben sappiamo quanto sia difficile raccogliere consensi sulle nostre posizioni, che molto spesso sono considerate dalla pubblica opinione come difesa di posizioni di casta.
Purtroppo in passato si è giocato sulla cattiva informazione verso i pensionati per giustificare interventi riduttivi sulle pensioni, ma noi continueremo a mettere in evidenza le contraddizioni del nostro sistema pensionistico.
Questo anche grazie alle analisi ed al contributo del Prof. Brambilla che ha messo in una nuova luce i dati dell’INPS e aiuta le nostre organizzazioni a sostenere “l’operazione verità” sul sistema previdenziale.
Nel mio intervento mi sono in particolare soffermato su alcune questioni che richiamano la sostenibilità e l’equità del nostro sistema pensionistico.
È utile, prima di tutto, fare qualche osservazione sulla sostenibilità del sistema nel quadro di un sistema sociale che si propone di garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi ritenuti indispensabili (welfare).
Per quanto fragile credo che il nostro sistema pensionistico, pur esposto a frequenti aggiustamenti, ce la farà a resistere, da come si può rilevare da alcuni rapporti internazionali. Mi riferisco al “Ageing Report EUROPEAN ECONOMY” 2015 sulle previsioni di sostenibilità della spesa pensionistica elaborato della Commissione Europea.
La nostra spesa pensionistica sul lungo termine dovrebbe diminuire di quasi due punti. In ogni caso la spesa dovrebbe essere sostenibile in ragione del fatto che, nel meccanismo italiano, come in quello di altri Paesi europei, opera un "fattore di sostenibilità”, detto anche "coefficiente di riduzione". Fattore che, al momento del pensionamento, se necessario, ridimensiona i benefici pensionistici.
Anche nel Rapporto Mercer “Global Pension Index” dell’ottobre 2015, rapporto che fa un’analisi annuale delle pensioni nel Mondo, si dichiara che il sistema italiano è fra quelli europei che hanno buone caratteristiche, anche se corre notevoli rischi. Rischi da scongiurare con interventi adeguati. Secondo questo Rapporto nel confronto globale con gli altri sistemi, nel 2015, il nostro permane fra quelli ancora fragili, ma non è considerato in pericolo.
In aggiunta al fattore di contenimento della spesa insito nel nostro sistema, sono già stati presi, negli anni passati, diversi altri provvedimenti per aumentarne la sostenibilità.
Cosa è stato fatto per contenere la crescita del rapporto: spesa pensionistica/PIL?
Fino ad ora le riforme sono intervenute principalmente sul fronte della riduzione della spesa previdenziale: Riduzione del numero dei pensionati (innalzamento dell’età e dell’anzianità legali di pensionamento) e riduzione della pensione media (introduzione del contributivo per tutti, contributi di solidarietà e blocco della rivalutazione).
Si poteva fare di più per aumentare le entrate contributive anche di lungo periodo: si poteva puntare di più su produttività e occupazione che sono le principali leve della previdenza sociale. Infatti dalla produttività dipende la crescita dell’occupazione e quindi la sicurezza delle pensioni di oggi e di domani.
Ma sostenibile non significa che il sistema sia anche equo. Anzi non è un sistema equo per le ragioni che espongo sinteticamente:
- Il sistema pensionistico italiano è fiscalmente iniquo rispetto agli altri sistemi dei più grandi Paesi d’Europa. L’incidenza dell’imposta sulla spesa pensionistica, rapportata al PIL, è il doppio della media di tutti gli altri Paesi europei che hanno reso disponibili i loro dati. Purtroppo la spesa pensionistica viene esposta al lordo e risulta quindi la più alta fra i Paesi Europei, con tutte le conseguenze critiche del caso. Gli oltre 58 miliardi di imposte che tagliano le pensioni sono esposti come soldi che stanno nelle nostre tasche. Invece noi quei soldi non li vediamo proprio. Fare chiarezza mediatica al riguardo potrebbe giovare a tutti e svelenire il clima.
- Il sistema pensionistico italiano è fiscalmente iniquo anche all’interno del Paese. Come segnala il Prof. Brambilla nel suo Rapporto annuale, i pensionati pagano 58,581 miliardi di Irpef (il 35% del totale Italia) e il 10,2% di questi pensionati (sono quelli che percepiscono oltre 2.700 € lordi mensili) paga il 46,8% di tutta l'Irpef sulle pensioni. Chi percepisce pensioni modeste è giusto che sia esentato dalle imposte. Chi per un’intera vita è stato svantaggiato, è giusto che venga assistito. Ma non si riesce a capire se tutti quelli che percepiscono pensioni modeste, esentate dalle tasse (sono una percentuale altissima rispetto agli altri Paesi europei) ricevono basse pensioni perché hanno veramente avuto una vita sfortunata o invece perché hanno profittato delle maglie normative e non hanno pagato mai né tasse né contributi. L’abusivismo previdenziale è cronaca di tutti i giorni. Viene il sospetto che si stanno pagando assegni in favore di persone che potrebbero aver evaso o eluso le imposte durante gli anni della loro partecipazione alle attività produttive e quindi aver versato modesti contributi previdenziali. Questo abusivismo riduce le risorse disponibili per chi è veramente bisognoso e potrebbe beneficiare, invece, di trattamenti più consistenti. Qualche indagine conoscitiva più approfondita al riguardo non guasterebbe.
- Il sistema pensionistico italiano è iniquo perché discriminatorio. Infatti su quelle stesse categorie di pensionati, già obbligate ad assicurare il maggior gettito d’imposta IRPEF, si sono applicati e si applicano periodicamente provvedimenti riduttivi dei loro trattamenti e la sospensione periodica della perequazione, provvedimento quest’ultimo che ha un effetto di trascinamento moltiplicativo per tutta la vita dei pensionati e dei relativi superstiti.
- Il sistema pensionistico italiano è particolarmente iniquo fra le componenti sociali. Per la gran parte il nostro sistema pensionistico è un sistema di assistenza, dove non si distingue l’assistenza dalla previdenza vera a propria (quella sostenuta dai contributi degli aventi diritto). Le prestazioni assistenziali, fatte passare come pensioni, fanno dire agli Enti internazionali che la spesa pensionistica dell’Italia, rispetto al PIL, è la più elevata fra i Paesi OCSE. E’ indispensabile che il finanziamento dell’assistenza avvenga attraverso la fiscalità generale e non all’interno del sistema pensionistico INPS.
- C’è poi una iniquità che appartiene all’uso strumentale che dei pensionati viene fatto: in politica e nella conflittualità sociale. Facendo di tutte le erbe un fascio, fra quelli che la pensione se la sono pagata, a suon di alti contributi, e quelli che la pensione se la sono costruita aggirando le disposizioni in materia, talune fazioni politiche tengono sotto attacco i pensionati, qualificandoli “pensionati d’oro”, quand’anche percepiscono assegni appena dignitosi. E questo per lucrare qualche misero consenso elettorale. C’è poi l’uso strumentale dei “pensionati d’oro” quando si vuole lanciare un messaggio di odio ed invidia sociale. Quando si vuole alimentare un clima di collera diffusa. L’espressione tende ad insinuare l’idea dell’illegalità, di qualcosa di non dovuto, l’idea di un abusivismo nascosto e ben remunerato. Scriveva Umberto Eco (Repubblica, ottobre 2004) che occorre attenersi “al principio fondamentale che è umano e civile eliminare dal linguaggio corrente quei termini che fanno soffrire i nostri simili”.
Vorrei fare un appello: cominciare almeno al nostro interno a non usare con disinvoltura e per motivo di sintesi termini che se proprio non fanno soffrire, sottintendono intenzioni ingiuriose.
Prima di concludere consentitemi alcune considerazioni e sollecitazioni volte a realizzare un welfare previdenziale che abbracci tematiche che vanno oltre la questione specificamente pensionistica, ma che a questa sono strettamente legate.
Le considerazioni.
Oggi ha senso parlare di equità, quando si affrontano problematiche pensionistiche, solo a condizione di partire dallo stato sociale del nostro Paese.
La distribuzione della ricchezza tra le classi di età ha subito una profonda trasformazione: a partire dal 2000 le famiglie giovani hanno visto peggiorare decisamente la loro condizione. (Questioni di Economia e Finanza, Ricchezza e disuguaglianza in Italia, Banca d’Italia,2012).
Anni di crisi e una crescente vulnerabilità di vasti strati della popolazione ai cambiamenti tecnologici ed alla globalizzazione alimentano la domanda di protezione sociale.
Le sollecitazioni.
- Dobbiamo dare alle giovani generazioni la possibilità di costruirsi un futuro pensionistico sereno. Occorre porre più attenzione alle coperture assicurative dei giovani di oggi per i quali le riforme del mercato del lavoro hanno modificato i canali di entrata e la stabilità dell’impiego e per i quali occorre trovare qualche forma di copertura contributiva per i periodi di inattività.
- Occorre alleggerire, con appropriate politiche di conciliazione vita/lavoro, con efficienti servizi sociali e con adeguate coperture pensionistiche, gli oneri e i carichi assistenziali che gravano soprattutto sulla generazione 55/65 anni. Questa generazione da una parte ha i genitori anziani spesso non autosufficienti, dall’altra i figli che non trovano o perdono il lavoro. Per non parlare dei nipoti: data la carenza dei servizi per l’infanzia i nonni assumono su di loro anche i compiti di cura dei nipoti per buona parte della settimana.
- C’è bisogno di una maggiore mutualizzazione del rischio di non autosufficienza attraverso un maggiore intervento pubblico e la fornitura di specifici servizi. Dobbiamo tener presente che nei prossimi 60 anni il numero di persone con più di 80 anni è destinato a triplicarsi e che le generazioni a rischio di non autosufficienza passeranno da un quinto ad un terzo della popolazione italiana.
Su tutti questi argomenti occorrono momenti di confronto costruttivo fra Parti Sociali e Governo, per realizzare un sistema di welfare più equo e sostenibile. Confronti già avviati dalle nostre organizzazioni, ma che occorrerà riprendere con nuovi rappresentanti istituzionali e con nuovo impegno.
Su questo fronte siamo pronti ad assicurare tutto il nostro supporto alle iniziative che Federmanager e CIDA vorranno adottare.
Di seguito il video del convegno:
Di seguito il video del convegno:
01 febbraio 2017