Riforma pensioni: opportunità o trappola per i futuri pensionati?

La Riforma delle pensioni non sembra sia una priorità per il Governo. Nonostante sia minacciata la sostenibilità del “Sistema”, vi sono ridotte possibilità che veda la luce nel 2024. L’Italia deve affrontare questa Riforma con una popolazione in calo e un rapporto pensionati/lavoratori attivi in crescita. Sono quindi sempre più necessarie politiche mirate all'aumento dell'occupazione e alla separazione tra previdenza e assistenza

Mino Schianchi

Consigliere ALDAI-Federmanager
La Riforma pensionistica di cui si parla da diversi anni, ma che di fatto viene costantemente rimandata, non sembra destinata a vedere la luce nemmeno nel 2024. Non è senza significato un’evidenza: quest’anno il tavolo previdenza non è mai stato convocato dalla Ministra del Lavoro Marina Calderone.

Ormai è quasi una regola: dopo l’estate la Riforma delle pensioni si risolve in qualche proroga da inserire in manovra e nello slittamento di quella "vera" all’anno successivo. E a ogni nuovo rinvio i vincoli per la flessibilità in uscita diventano più stringenti e la platea dei beneficiari si restringe.

A metà luglio scorso il ministro Giorgetti durante un Question Time, a un deputato che gli chiedeva se il Governo avesse intenzione di introdurre nella manovra 2025 scivoli per anticipare il pensionamento, ha risposto che “sarebbe il caso di cominciare a parlare di quello che è il trend demografico del Paese: nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale”.

La decrescita demografica

Uno degli aspetti di maggiore preoccupazione per gli equilibri futuri del sistema previdenziale è rappresentato dalla crescita del numero dei pensionati in rapporto ai lavoratori attivi, per l’effetto combinato delle previsioni di decrescita demografica e dell’aumento della speranza di vita, che, complessivamente, porta a un tendenziale invecchiamento della popolazione.

Le linee di andamento sono chiare, la popolazione residente in Italia è in decrescita: da 59 milioni al 1° gennaio 2022 a 54,4 milioni nel 2050; con un rapporto tra individui in età lavorativa e non che, da circa 3 a 2 nel 2022, passerà a circa 1 a 1 nel 2050. Il saldo positivo dei flussi migratori non sarà sufficiente a bilanciare quello negativo della dinamica naturale.

Le conseguenze del processo di invecchiamento sono sempre più evidenti. Nell’arco di vent'anni, tra il 2004 e il 2024, l’età media della popolazione è aumentata da 42,3 a 46,6 anni.

La sostenibilità del sistema pensionistico

Per un Paese che progressivamente invecchia, come il nostro, è prioritario blindare la sostenibilità del quadro previdenziale, valorizzando la contribuzione versata e garantendo prestazioni pensionistiche adeguate alla dignità professionale delle persone e al costo della vita.

Nel Rapporto Annuale 2024, l’Istat sottolinea che il tasso di occupazione (61,5%) continua a essere largamente inferiore rispetto a Germania (77,2%), Francia e Spagna (rispettivamente 68,4 e 65,3%) e, più in generale, alla media UE (70,4%).

Nonostante i recenti miglioramenti osservati sul mercato del lavoro, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica, complice innanzitutto la crescita contenuta delle retribuzioni, la cui riduzione del potere di acquisto è accelerata negli ultimi anni a causa dell’impennata inflazionistica. A incidere sulle basse retribuzioni concorrono la contenuta intensità lavorativa e la ridotta durata dei contratti, con la diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate e di lavori atipici che coinvolgono quote ancora elevate di donne, giovani e stranieri, con il risultato che permane un più alto rischio di povertà tra le famiglie residenti in Italia rispetto alla media europea.

Retribuzioni più competitive potrebbero contribuire a garantire assegni pensionistici più generosi una volta giunti nella fase di quiescenza. È evidente che bassi salari e un livello di occupazione non ottimale compromettono il patto intergenerazionale alla base del sistema pensionistico, in una situazione ulteriormente aggravata dall’attuale trend demografico. 

Negli ultimi dieci anni le retribuzioni lorde per dipendente in termini nominali hanno mostrato una crescita molto contenuta: nel complesso, tra il 2013 e il 2023, l’incremento è stato di circa il 16%, un dato che rappresenta poco più della metà di quello registrato nella media UE27 (+30,8%).

Il divario delle retribuzioni in termini reali risulta ancora più ampio rispetto alle altre grandi economie e, nel 2023, l’Italia è risultata l’unico Paese con un livello medio delle retribuzioni reali inferiore al 2013.
Dall’equilibrio e dalla sostenibilità sociale del nostro sistema previdenziale discende la possibilità di garantire al Paese una prospettiva di stabilità e di coesione sociale
In questa prospettiva, sono le politiche strutturali di sostegno allo sviluppo economico del Paese che possono incidere positivamente sui principali fattori di stabilità del sistema, a partire dalla crescita della massa salariale e reddituale e del conseguente gettito contributivo.

Andrebbero pertanto rafforzate le politiche del lavoro mirate a mettere in gioco i bacini occupazionali ancora ampiamente inutilizzati: le donne, i giovani, il meridione, oltre a una attenta politica di gestione dei flussi migratori.

La spesa per le pensioni

Nel 2023 la spesa INPS per le pensioni è stata pari a 304 miliardi, con un incremento rispetto all’anno precedente del 7,4%, incremento determinato sostanzialmente dalla rivalutazione delle pensioni a fronte dell’impennata inflazionistica che si era registrata l’anno precedente.

La composizione del bilancio INPS, sia nelle componenti di entrata che in quelle di spesa, in questi anni è sensibilmente cambiata. La sua dinamica evidenzia una sostanziale stabilità delle uscite per prestazioni previdenziali, mentre vede una crescita tendenziale della spesa socioassistenziale, in particolare per le misure a sostegno della famiglia e quelle di contrasto alla povertà.

Nell’ultimo decennio le prestazioni sostenute dai trasferimenti dalla fiscalità generale (GIAS) rispetto a quelle sostenute dalla contribuzione sono cresciute costantemente, passando dal 32% del 2013 al 38% del 2023.

L’incremento della spesa per prestazioni ha generato una serie di deficit annuali che sono stati finanziati mediante emissione di debito pubblico. Nel corso degli ultimi 40 anni l'insufficiente capacità di coprire con contributi di scopo la spesa per protezione sociale ha pesato in maniera sostanziale sul debito pubblico italiano.

Le prestazioni pensionistiche

Stante le stime della Ragioneria Generale dello Stato (RGS), riportate nel rapporto 2024 Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, tra il 2023 e il 2027, l'assegno medio tenderà progressivamente a ridursi soprattutto per l’applicazione crescente del sistema di calcolo contributivo della pensione e per la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione collegati agli incrementi delle aspettative di vita. 

Il tasso di sostituzione (il valore che indica il rapporto fra l’importo del primo assegno di pensione e l’ultimo stipendio percepito) calerà progressivamente generando pensioni meno ricche e inadeguate a garantire il tenore di vita acquisito prima di ritirarsi.

Le incertezze sull’adeguatezza delle prestazioni pensionistiche sono aggravate dall’assenza, nel sistema di calcolo contributivo, di un sistema solidaristico di protezione come l’integrazione al minimo delle pensioni. Il sistema pensionistico pubblico dovrà quindi, in prospettiva, introdurre maggiori elementi solidaristici e di equità a favore delle persone più deboli nel mercato del lavoro.

Assistenza e previdenza 

Resta anche da risolvere l’annosa questione della separazione tra previdenza e assistenza, più volte segnalata come istanza prioritaria della nostra Rappresentanza, nell’ottica di offrire una gestione efficiente, trasparente e razionale di entrambe le tipologie di prestazioni.

Tale separazione consentirebbe di ottimizzare le risorse disponibili ed eviterebbe di qualificare come “pensionistiche” prestazioni che invece hanno una natura puramente assistenziale e che, come tali, dovrebbero gravare esclusivamente sulla fiscalità generale anziché, come avviene ora, appesantire i conti della previdenza.

Secondo i dati dell’XI Rapporto di Itinerari Previdenziali nel 2022 i pensionati che percepivano prestazioni totalmente o parzialmente assistiti erano 6.551.533, vale a dire il 40,6% dei 16.131.414 pensionati totali, cui andrebbero aggiunte quelle categorie di pensionati che, per età e anzianità contributiva, possono beneficiare anche separatamente di un’ulteriore prestazione assistenziale: si arriva così ad una stima di 7 milioni di pensionati.

Meno assistenzialismo, più controlli e innalzamento dell'età pensionabile (con flessibilità) sono misure essenziali per la tenuta della nostra previdenza.

La Legge di Bilancio 2025

Nella situazione sopra descritta, l’orientamento del Governo è quello di salvaguardare i conti pubblici, per cui le prospettive non sono particolarmente rosee per i pensionandi né per i pensionati. significa, infatti, che nei prossimi anni la spesa dovrà diminuire.

Le risorse disponibili per la prossima Legge di Bilancio 2025 potrebbero essere inferiori rispetto a quelle stanziate per l’ultima Manovra, riducendo al minimo il margine d’azione per nuove riforme strutturali, a partire da quella delle pensioni. Quella Riforma pensioni che - fino a poco tempo fa - era agognata da tutti, perché immaginata come migliorativa per i cittadini prossimi all’uscita dal mondo del lavoro, ma che potrebbe trasformarsi in una trappola, introducendo un maggiore rigore in termini di deroghe e requisiti di pensionamento. 
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