Riscoprire la cultura

Qualche anno fa in Italia erano di moda le “Tre I”: sembrava infatti, anche con qualche ragione, che in particolare anche un dirigente non potesse sopravvivere senza riconoscere l’obbligatorietà culturale di Impresa, Inglese, Informatica.

Silvana Menapace

Vicepresidente ALDAI

In effetti, chi oggi volesse costruirsi un percorso professionale, difficilmente potrebbe prescindere dalla familiarità con quelle aree del sapere. Ma probabilmente già le “Tre I” non bastano più: l’importanza dell’inglese è data per acquisita, quanto all’informatica, oggi evolutasi in tecnologia, si è estesa fino a sovrapporsi alla cultura d’impresa che ha perso i suoi tratti distintivi, impoverendosi. 
Questo è percepibile soprattutto in Italia, dove il management storicamente si è sempre distinto per un pensiero creativo e flessibile, anche se magari solo parzialmente attento ad aggiornarsi sul fronte tecnologico.
Guardando alla nostra situazione nazionale, dopo aver recriminato per anni sull'inadeguatezza dell’antico sistema scolastico di derivazione gentiliana, selettivo ma anche autoritario e per certi versi classista, ci troviamo oggi alla ricerca di nuove strade, rilevando peraltro grandi difficoltà nella loro individuazione.
Probabilmente un certo permissivismo lassista ha limitato la funzione formativa dell’istruzione, con il risultato che è venuto meno anche l’ascensore sociale che si rendeva un tempo disponibile ai migliori.
Noi dirigenti ci sforziamo giustamente di proporre il riconoscimento del merito come cardine su cui imperniare il nostro ruolo: non possiamo trascurare tuttavia che merito e selettività vanno a braccetto e quindi che forse per raggiungere quell’obiettivo bisognerebbe abituare tutti, fin dalla più tenera età, a convivere con la possibilità di fallimenti e bocciature.
Da questo punto di vista, i giapponesi hanno risolto il problema introducendo una competitività esasperata già nelle scuole elementari, col risultato che il prezzo pagato in termini di stress e frustrazione, di limitazione ai contributi individuali e di creatività, si sta rivelando superiore ai vantaggi ottenibili.
Come uscirne?
Alla fine probabilmente ci si renderà conto che il più sofisticato strumento di intelligenza artificiale non è ancora riuscito a soppiantare le caratteristiche individuali, quali la leadership, il carisma, la creatività e le capacità relazionali. Nel corso della nostra ultima Assemblea “Il futuro che già c’è”, infatti, il messaggio è emerso chiaro: l’uomo rimane protagonista dello sviluppo e della crescita.
Non è solo “sdoganare l’ignoranza”, qui si tratta di ripartire proprio dalla forza di una cultura nazionale ancora viva e riaffermarla nuovamente come strumento di eccellenza. Una quarantina d’anni fa un filosofo allora di moda, Marcuse, scriveva sull’"uomo ad una dimensione", più consumatore che creatore, più attento alle cose materiali che alle idee, da cui sarebbero scaturite tante caratteristiche del mondo di oggi, non ultima la globalizzazione non guidata.  
Forse per il dirigente è tempo di tornare ad immaginarsi come “homo faber” che costruisce il proprio destino interrogandosi, coltivando il dubbio, rispettando se stesso ed il mondo in cui vive.
Chissà che una figura del genere, alla fine, non si dimostri più adatta anche a pilotare l’impresa nelle acque agitate del mondo di oggi.
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