Nel nostro Paese ci sono quasi 1,4 soggetti attivi per ogni pensionato e negli ultimi anni gli assegni pensionistici sono cresciuti in media più dei salari.
Riconoscere lo stretto collegamento tra occupazione e previdenza non significa, però, sostenere che il patrimonio Inps sia “in rosso” o che il sistema manchi di stabilità.
Anzi, come dimostra il recente rapporto di Itinerari Previdenziali al quale collaboriamo, la spesa pubblica per pensioni è tutt’altro che insostenibile. Se solo la classificazione avvenisse secondo un criterio corretto, al netto delle tasse, il peso delle pensioni scenderebbe dal 16% all’11,5 circa del Pil. Se comunicassimo meglio i nostri dati ai colleghi in Europa, eviteremmo anche molti sgraditi richiami.
Il tutto è falsato dalla doppia funzione che l’Inps continua a svolgere. Lo diciamo da anni che bisogna separare l’assistenza dalla previdenza, e questo non solo per una ragione contabile, ma per una ragione di equità sociale.
La spesa di tipo assistenziale galoppa al punto che dobbiamo chiederci quale modello di welfare riusciremo a garantire agli italiani negli anni a venire. Già oggi, infatti, l’evasione fiscale e contributiva sta concentrando il peso del welfare sulle spalle dei soliti noti. Chi percepisce una retribuzione superiore ai 55.000 euro annui paga, da solo, un terzo delle imposte. Di contro, a guardare le dichiarazioni Irpef, quasi la metà degli italiani risulta privo di reddito ed è quindi a carico di qualcuno!
È evidente che c’è più di una stortura. Mentre la spesa pensionistica è in realtà in linea con la media europea, quella sociale ha superato addirittura quella svedese! E non si può dire che i cittadini abbiano accesso a un uguale livello di prestazioni.
Invece, con la separazione tra parte assistenziale e parte previdenziale diventerebbe possibile attivare anche una revisione della spesa per welfare che consenta a chi versa realmente in condizioni di necessità di accedere alle tutele.
Il welfare integrativo, a partire dalla previdenza complementare, può svolgere in questo un ruolo importante, ma deve essere incentivato e sostenuto da una normativa valorizzante. Finora molto è lasciato all’iniziativa contrattuale che, per quanto lungimirante, non ha raggiunto una massa critica sufficiente a costituire una risposta di sistema.
Le iniziative dell’Ape e della RITA, come l’agevolazione del cumulo contributivo e la detassazione del premio di produttività trasformato in prestazioni di welfare, dimostrano un’attenzione da parte di governo e parlamento che va incoraggiata. Riteniamo tuttavia che alcune misure debbano diventare strutturali ma anche che molto dipenderà da quanto saremo determinati nel perseguire gli evasori.
Come categoria manageriale, non possiamo che sottolineare la nostra preoccupazione per la tenuta sociale del sistema. Giovani e seniores, vicini alla pensione o già beneficiari di assegno, sono stanzialmente i figli e i padri di una stessa famiglia.
Perciò, quando si affronta il tema previdenziale, va tenuto bene a mente che si sta trattando delle condizioni di vita degli italiani. Di fronte a un contesto esterno in forte mutamento (la dinamica del lavoro, appunto) le soluzioni devono garantire un presente sereno a chi è in pensione e un futuro tutelato a chi oggi è in età lavorativa.