La formazione è un tema politico

La maggioranza dei nostri figli si troverà a svolgere un lavoro di cui noi oggi ignoriamo perfino l’esistenza. È nostra responsabilità innovare il modello formativo per assicurare un futuro alle nuove generazioni.

Stefano Cuzzilla - Presidente Federmanager

Stefano Cuzzilla 

Presidente Federmanager
Si discute sempre più di frequente del numero di occupati, non abbastanza della qualità dell’occupazione. I dati recentemente diffusi dall’Inps hanno fatto molto riflettere. In molti hanno sottolineato che la crescita dei posti di lavoro è stata caratterizzata dalla prevalenza di contratti a termine mentre solo alcuni, e a nostro avviso giustamente, hanno guardato al tipo di mansioni e ai settori dove si è generata nuova occupazione. Si tratta per lo più di mansioni di medio-bassa qualifica e in segmenti legati a turismo, commercio e cultura. Il nostro Paese, nelle classifiche internazionali, è agli ultimi posti quanto a diffusione di competenze digitali elevate. Ai tempi dell’industria 4.0, dove la concorrenza la fanno l’automazione e l’intelligenza artificiale, il rischio di perdere competitività e capacità produttiva è molto concreto. Come ha rivelato un’inchiesta di Dario Di Vico sul Sole 24 Ore, il mismatch tra domanda e offerta di competenze nel nostro Paese è così elevato che intere filiere non assumono personale per l’assenza di profili adeguatamente specializzati. Il professor Emilio Reyneri ha chiarito che il nostro, insieme alla Grecia, è l’unico mercato europeo dove la ripresa non si è tradotta in una crescita delle qualifiche più alte (professioni intellettuali, tecnico-scientifiche e dirigenti) più spiccata rispetto a quelle basse. Noi crediamo che la formazione sia un tema propriamente politico. Che il lavoro non sia - o non dovrebbe essere - un tema elettorale. Piuttosto che commentare i risultati di una crescita economica che quest’anno è stata trasversale a tutti i principali Paesi industrializzati, e con performance che altrove sono state largamente più significative che qui da noi, dovremmo interrogarci su cosa fare nel lungo termine. Tutto ciò che riguarda il lavoro tocca le generazioni più giovani, e quelle a venire. Cittadini che forse non andranno in massa alle urne, ma pur sempre contribuenti che tengono in piedi welfare e coesione sociale. Se vogliamo immaginare uno scenario di crescita e di opportunità, dobbiamo costruirlo su interventi strutturali, il che significa meno bonus, meno voucher, meno concessioni pro tempore. Piuttosto, suggeriamo noi, servono un alleggerimento della leva fiscale sul costo del lavoro e un investimento strutturale in formazione. Un fisco più leggero per le imprese che investono in formazione e forza lavoro è un obiettivo che è finito sullo sfondo dell’ultima legge di bilancio al punto che si fa fatica a vederlo. È stato previsto un credito di imposta per la formazione su tecnologie 4.0 a favore delle imprese che investono nella formazione dei propri dipendenti, per cui sono stati stanziati 250 milioni di euro. Anche qui, misura sperimentale per il 2018 e poi si vedrà. Si poteva, si doveva fare uno sforzo in più. Perché la direzione è quella giusta. L’abbiamo sostenuta come Federmanager nelle sedi opportune a sostegno degli investimenti in capitale umano e competenze ed è un peccato scoprirla così carente: continua a mancare un’adeguata valorizzazione delle figure professionali di più alto profilo, ai fini dell’inserimento delle competenze necessarie per guidare il cambiamento in chiave tecnologica del nostro sistema delle imprese. Noi di formazione manageriale ci occupiamo da molti anni. All’interno di Federmanager è nata una “Academy” che ha proprio questa mission. Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo investito risorse proprie per far volare progetti che qualificano i profili professionali dei nostri manager. Abbiamo perfino individuato 4 nuove figure manageriali: il Temporary Manager, il Manager di Rete, l’Export Manager e l’Innovation Manager, colui che più di tutti è implicato nei processi di trasformazione digitale della produzione industriale. Abbiamo messo in campo un sistema che valorizza le competenze specifiche in linea con il fabbisogno di mercato presente e futuro. Con il solo progetto Be Manager abbiamo certificato in meno di un anno le competenze manageriali di oltre 200 colleghi il cui complesso percorso di assessment, formazione e certificazione è stato finanziato interamente dalla nostra Organizzazione. Stiamo continuando con iniziative congiunte con le rappresentanze degli imprenditori, Confindustria e Confapi, attraverso la leva dei Fondi interprofessionali. Non solo. Da pochi mesi abbiamo dato vita a 4.Manager, un’associazione nuova, bilaterale con Confindustria, che sviluppa managerialità nelle imprese e che sostiene un piano di politiche attive incentrato sulle figure chiave che serviranno al Paese. Mentre oggi qualcuno propone di rilanciare l’idea di un diritto individuale alla formazione, da inserire anche nei nuovi modelli di relazioni industriali, noi stiamo agendo in concreto con un forte focus sullo sviluppo delle competenze manageriali 4.0. Ma vogliamo anche che sia chiaro che la formazione non può essere solo quella finanziata. Serve un progetto Paese su questo. Un massiccio investimento negli istituti tecnici superiori, nell’alternanza scuola-lavoro, nell’orientamento e nel raccordo tra università, mondo della ricerca e mondo dell’impresa. Se è vero che la maggioranza dei nostri figli si troverà a svolgere un lavoro di cui noi oggi ignoriamo perfino l’esistenza, è essenziale cominciare dai banchi di scuola e non abbandonarli più.
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