Idrogeno: scenari attuali, prospettive di sviluppo tecnologico e di utilizzo
Il ruolo dell’idrogeno nella decarbonizzazione delle società industriali
di Antonio Zangaglia
PREMESSA
Le fonti di energia rinnovabile sono spesso intermittenti
Le fonti rinnovabili sono considerate "intermittenti", cioè non sono in grado di produrre energia in ogni momento. Alcuni giorni possono essere più ventosi di altri, il sole non splende di notte o nelle giornate nuvolose e possono verificarsi periodi di siccità. Inoltre, possono verificarsi altri eventi meteorologici imprevedibili che disturbano le tecnologie energetiche pulite.
Necessità di stoccaggio dell'energia
A causa della natura intermittente di molte fonti energetiche pulite, è necessario un sistema di stoccaggio dell'energia. Le tecnologie di stoccaggio sono disponibili, ma possono essere costose, soprattutto per gli impianti di energia rinnovabile su larga scala. Vale la pena notare che la capacità di stoccaggio dell'energia sta crescendo con il progredire della tecnologia e le batterie stanno diventando sempre più accessibili con il passare del tempo.
Le fonti di energia rinnovabile sono spesso intermittenti
Le fonti rinnovabili sono considerate "intermittenti", cioè non sono in grado di produrre energia in ogni momento. Alcuni giorni possono essere più ventosi di altri, il sole non splende di notte o nelle giornate nuvolose e possono verificarsi periodi di siccità. Inoltre, possono verificarsi altri eventi meteorologici imprevedibili che disturbano le tecnologie energetiche pulite.
Necessità di stoccaggio dell'energia
A causa della natura intermittente di molte fonti energetiche pulite, è necessario un sistema di stoccaggio dell'energia. Le tecnologie di stoccaggio sono disponibili, ma possono essere costose, soprattutto per gli impianti di energia rinnovabile su larga scala. Vale la pena notare che la capacità di stoccaggio dell'energia sta crescendo con il progredire della tecnologia e le batterie stanno diventando sempre più accessibili con il passare del tempo.
Utilizzare l'energia eolica per produrre idrogeno
I carburanti sintetici sono prodotti per elettrolisi a partire da elettricità, acqua, CO2 e azoto dall'aria. Possono poi essere trasportati in autocisterne, condutture o treni.
Analogamente, mediante elettrolisi può essere prodotto l’idrogeno, che ha la medesima capacità di trasporto sulle lunghe distanze, seppure necessitando di maggiore cautela ai fini della sicurezza. Grande attenzione va posta sia alla gestione dell’acqua necessaria – nonostante tale “materia prima” come vedremo viene utilizzata solo per il 4% dell’idrogeno prodotto attualmente nel mondo – da sottoporre a elettrolisi, che alla sicurezza degli stoccaggi e del trasporto dell’idrogeno prodotto (a temperature basse e pressioni molto elevate).
L’enorme peso dell’energia non elettrica
In particolare, l’energia elettrica, che da molti viene ritenuta agevolmente “de-carbonizzabile”, ed estensibile fino a coprire una gran parte dei consumi finali, in realtà, a livello mondiale presenta tendenze molto preoccupanti.
Oggi nel mondo sono operanti 2000 GWe di centrali elettriche alimentate a carbone (mille volte il nostro più grande impianto a carbone, il Torvaldaliga Nord, a Civitavecchia). Una gran parte di esse è stata costruita nei grandi paesi in via di sviluppo, come Cina e India, ed ha oggi una vita media di soli 14 anni, ed ha quindi una vita utile di altri 30 o 40 anni. Il carbone, quindi, produce oggi nel mondo il 37% dell’energia elettrica, emettendo ben 10 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Le emissioni fino a fine vita delle sole centrali a carbone oggi esistenti, quindi, superano già il “budget” ammissibile per non superare i 2 °C di aumento di temperatura rispetto ai tempi preindustriali (che, secondo le valutazioni del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, lo IPCC, comporterebbero rischi inammissibili per il clima).
Le nuove fonti rinnovabili, in particolare eolica e solare, possono essere utili nella decarbonizzazione del settore elettrico, ma con la fondamentale problematica della necessità di accumulo per compensare la loro non programmabilità. Esse inoltre, necessitano di spazi da cercare senza consumare eccessive quantità di territorio e di materie prime. Comunque, esse producono solo energia elettrica, ma il settore elettrico pesa soltanto per il 17% sul totale dei consumi energetici mondiali.
L'energia eolica è particolarmente economica nei luoghi ventosi. Il problema consiste nella variabilità della generazione eolica – interruzioni, fluttuazioni, picchi – che non ne consente un pieno sfruttamento da parte delle utenze (spesso distanti dal luogo di generazione) e, soprattutto, che rischia di destabilizzare la rete elettrica destinata a trasmettere l’energia.
Tuttavia, la generazione di elettricità in regioni remote può avere senso se viene utilizzata direttamente per la produzione di altri tipi di energia, ad esempio i cosiddetti e-carburanti e, per l’appunto, l’idrogeno.
Per quanto riguarda i primi, si tratta di carburanti sintetici, che in futuro ci si aspetta sostituiscano i prodotti petroliferi come la paraffina, il gasolio e la benzina e speciali materiali di base per l'industria chimica. I carburanti sintetici sono prodotti per elettrolisi a partire da elettricità, acqua, CO2 e azoto dall'aria. Possono poi essere trasportati in autocisterne, condutture o treni.
Analogamente, mediante elettrolisi può essere prodotto l’idrogeno, che ha la medesima capacità di trasporto sulle lunghe distanze, seppure necessitando di maggiore cautela ai fini della sicurezza. Grande attenzione va posta sia alla gestione dell’acqua necessaria – nonostante tale “materia prima” come vedremo viene utilizzata solo per il 4% dell’idrogeno prodotto attualmente nel mondo – da sottoporre a elettrolisi, che alla sicurezza degli stoccaggi e del trasporto dell’idrogeno prodotto (a temperature basse e pressioni molto elevate).
L’enorme peso dell’energia non elettrica
Per avere un’idea di quale potrà essere il ruolo dell’idrogeno nella decarbonizzazione delle società industriali è opportuno esaminare un quadro aggiornato delle fonti di energia primaria e delle forme di consumo energetico che oggi sostengono, più o meno adeguatamente, la vita della popolazione umana.
È poi da tener presente che, contrariamente alle aspettative di molti, questo quadro non potrà cambiare sostanzialmente nei prossimi decenni. Negli ultimi due secoli, infatti, le diverse tecnologie energetiche si sono succedute ad intervalli molto lunghi (il tempo affinché il rispettivo tasso di penetrazione passi dal 10% al 90% del suo valore massimo va dagli 80 ai 100 anni). Questa lunga “inerzia”, inerente all’evoluzione delle grandi infrastrutture energetiche, è la evidente conseguenza dei lunghi tempi richiesti dall’iter decisionale, dalla costruzione degli impianti e della sempre crescente “vita utile” prevista per gli impianti di nuova progettazione (essa supererà anche i 60 anni per i nuovi impianti nucleari di III generazione).
Ingenti quantità di denaro sono state spese in ricerca e sviluppo di tecnologie low-carbon e regolamentazione climatica (carbon tax e mercato delle emissioni di carbonio), ma i risultati sono rimasti scarsi, con le fonti fossili passate tra il 1991 e il 2018 dal 91% all’89% del mix energetico globale.
Oggi nel mondo sono operanti 2000 GWe di centrali elettriche alimentate a carbone (mille volte il nostro più grande impianto a carbone, il Torvaldaliga Nord, a Civitavecchia). Una gran parte di esse è stata costruita nei grandi paesi in via di sviluppo, come Cina e India, ed ha oggi una vita media di soli 14 anni, ed ha quindi una vita utile di altri 30 o 40 anni. Il carbone, quindi, produce oggi nel mondo il 37% dell’energia elettrica, emettendo ben 10 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno.
Le emissioni fino a fine vita delle sole centrali a carbone oggi esistenti, quindi, superano già il “budget” ammissibile per non superare i 2 °C di aumento di temperatura rispetto ai tempi preindustriali (che, secondo le valutazioni del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, lo IPCC, comporterebbero rischi inammissibili per il clima).
Le nuove fonti rinnovabili, in particolare eolica e solare, possono essere utili nella decarbonizzazione del settore elettrico, ma con la fondamentale problematica della necessità di accumulo per compensare la loro non programmabilità. Esse inoltre, necessitano di spazi da cercare senza consumare eccessive quantità di territorio e di materie prime. Comunque, esse producono solo energia elettrica, ma il settore elettrico pesa soltanto per il 17% sul totale dei consumi energetici mondiali.
Dalla figura 1 risulta anche che le fonti rinnovabili in totale forniscono il 29% dell’energia elettrica, di cui il 18% da idroelettrico, e soltanto l’11% da sole e vento. Sole e vento, quindi, rappresentano oggi l’11% del 17%, cioè meno del 2% dell’energia primaria utilizzata dall’Umanità.
Ma negli ultimi vent’anni i paesi “politicamente corretti” (tra cui l’Italia) hanno investito oltre un trilione di dollari in queste nuove fonti rinnovabili (sole e vento): se non inquadrata in un sistema più ampio di soluzioni tra loro coordinate rischia di trasformarsi in una delle peggiori “misallocation” di investimenti nella storia delle civiltà industriali. E, di fatto, non appare realistico puntare prevalentemente su queste fonti per decarbonizzare entro il 2050 tutta l’energia utilizzata dall’Umanità, indicata nei tre istogrammi di destra della Figura 1.
TECNOLOGIA
Produzione di idrogeno
• per il 48 % circa dal metano (processo Steam Reforming);
• per il 30% da altri idrocarburi;
• per il 18% dal carbone (tramite gassificazione);
• solo per circa il 4% da elettrolisi dell’acqua.
La produzione attuale comporta notevoli emissioni di gas serra (con il processo Steam Reforming, a 1 kg di idrogeno corrispondono 8 - 9 kg di CO2).
Usi dell’idrogeno
Dai dati IRENA (International Renewable Energy Agency):
• il 39% dell’idrogeno viene oggi usato nelle raffinerie;
• il 27% nella fabbricazione di ammoniaca;
• il 10% per produrre metanolo;
• il 4% in siderurgia;
• il resto in vari processi industriali.
La «tavolozza» dell’idrogeno
• Nero, per «reforming» dal carbone;
• Grigio, per «reforming» dal metano;
• Blu, per «reforming» con cattura e stoccaggio della CO2;
• Verde, da elettrolisi con fonti rinnovabili;
• Viola, da elettrolisi con fonte nucleare;
• Turchese, tramite pirolisi del metano, producendo non CO2, ma «nerofumo».
I costi per la produzione dell’idrogeno “nero” e “verde”
Dal lavoro di Alessandro Clerici “È ancora lunga la via dell’idrogeno”, sull’Astrolabio, si hanno i dati di seguito riportati.
Il costo attuale dell’idrogeno nero, valutato nel punto di produzione, e quindi senza il trasporto, è stimato nell’intervallo di 1,25 - 2,5 dollari/kg di H2. Con l’elettrolisi, come da Hydrogen Europe, si ottiene che con:
• un CAPEX (Capital Expenditures) dell’impianto di circa 1200 euro/kW;
• costi di O&M (Operation and Maintenance) annuali pari al 2% del CAPEX;
• un costo di produzione di energia elettrica rinnovabile pari a 60 euro/MWh con un load factor di 2000 ore/anno (riferiti al Nord della Germania)
il costo dell’idrogeno al sito di produzione, con un “discount rate” dell’8%, sarebbe di 7,8 euro/kg, con un’efficienza del 57% (58 kWh per 1 kg di H2, che può produrre 33 kWh).
I contributi al costo del kWh verrebbero per il 45% dal CAPEX, per il 45% dall’energia elettrica e per il 10% da O&M.
Produzione di idrogeno per via termochimica
L’acqua può essere decomposta mediante somministrazione di calore ad alta temperatura, dell’ordine di 3000 °C (pirolisi). Questo comporterebbe però gravi limiti riguardo alla scelta dei materiali. Un’alternativa allora è quella di utilizzare un appropriato ciclo termochimico per ottenere la scissione dell’acqua, convertendo quindi il calore fornito in energia chimica.
Il Dipartimento dell’Energia USA, con studi commissionati negli anni ’70 alla General Atomics, ai Sandia National Laboratories, e all’Università del Kentucky, identificò ben 115 processi possibili.
Di questi, solo due furono considerati di interesse: l’UT3 basato sul ciclo Ca–Br–Fe, e l’I-S (Iodio-Zolfo). I maggiori rendimenti (fino al 52%) e la natura delle reazioni chimiche coinvolte (tutte allo stato fluido, al contrario dell’UT3) fecero preferire quest’ultimo.
Dal Regno Unito, un esempio per lo EGD e il PNIEC
Un ottimo modello di riferimento per una più realistica formulazione dello European Green Deal (EGD) e del Programma Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) potrebbe essere un documento dal titolo “Achieving Net Zero: The role of Nuclear Energy in Decarbonisation”, redatto dal Nuclear Innovation and Research Advisory Board (NIRAB) per conto del Department for Business, Energy and Industrial Strategy (BEIS) del governo inglese.
Esso afferma:
“Nuclear, as well as being a source of cost competitive electricity, can contribute to the production of heat and hydrogen to decarbonise other energy vectors.”. “Planning a future net zero energy system without significant nuclear energy would be an extremely high risk.”Le prospettive per il futuro nucleare del Regno Unito
Uno studio, commissionato dall’UK’s National Nuclear Laboratory (NNL), analizza quattro scenari energetici da raggiungere entro il 2050 nel Regno Unito, con crescenti livelli di contributo da parte dell’energia nucleare. Questi sono:
• Scenario limitato dalla politica a un livello massimo di 14 GWe di dispiegamento nucleare;
• Scenario base (come quello da poco annunciato dal Primo Ministro: almeno 24 GWe);
• Scenario di maggiore ottimismo, con costi nucleari inferiori e un programma più “aggressivo” per l’introduzione sul mercato di tecnologie nucleari avanzate;
• Scenario di maggiore ambizione nucleare, con nuove tecnologie per la produzione di idrogeno e combustibile sintetico a basso costo.
• di idrogeno a basso costo e a ridotto impatto ambientale;
• di carburante sintetico liquido (o synfuel), per applicazioni “drop-in” nel settore dell’aviazione o di altri mezzi di trasporto, senza emissioni nette di carbonio.
Le immagini 2 e 3 mostrano il prospetto e gli schemi di processo di una Gigafactory a idrogeno con spazio a sufficienza per 36 reattori nucleari ad alta temperatura. Ciascun reattore produce 600 MWth di potenza termica, trasformabili, ove necessario, in 250 MWe (rendimento 42%). I componenti dei reattori sono costruiti in officine apposite e vengono poi assemblati in uno stabilimento affiancato alla Gigafactory.
La Gigafactory a idrogeno richiede 1,923 kWh nucleari per produrre 1 kWh di idrogeno (rendimento 52%).
Se invece si vuole produrre carburante sintetico “carbon free”, pronto per essere immesso (“drop-in”) nei serbatoi degli aerei o di altri veicoli, l’idrogeno prodotto come prima deve essere poi combinato con carbonio. Se questo carbonio proviene da biomassa, o dall’aria, o dal mare, si ottiene una riduzione netta del carbonio dell’ecosistema, cioè un esempio di “emissioni negative”, che, come noto, appaiono di fatto indispensabili se si vuole arrivare ad annullare le emissioni carboniche nette al 2050.
Se invece il carbonio proviene dalla cattura delle emissioni di altri impianti, si ottiene un effetto paragonabile alla Carbon Capture and Storage (CCS).
Con progetti di questo tipo appare realistico prevedere la disponibilità, anche se con orizzonti temporali non brevi, in Europa di decine di milioni di tonnellate di idrogeno «carbon free» all’anno, come propone la Commissione Europea, la quale, tuttavia, farebbe assegnamento anche sull’importazione di grandi quantità di idrogeno, ad esempio, da vasti impianti fotovoltaici dislocati nell’Africa settentrionale. Ma in tal caso sarebbe più facile e conveniente importare energia elettrica, evitando l’inefficiente trasformazione elettricità/idrogeno. Esempi passati, inoltre, non depongono a favore di queste iniziative, che comunque manterrebbero la dipendenza geostrategica dell’Europa da altri paesi anche politicamente inaffidabili.
La Gigafactory a idrogeno richiede 1,923 kWh nucleari per produrre 1 kWh di idrogeno (rendimento 52%).
Se invece si vuole produrre carburante sintetico “carbon free”, pronto per essere immesso (“drop-in”) nei serbatoi degli aerei o di altri veicoli, l’idrogeno prodotto come prima deve essere poi combinato con carbonio. Se questo carbonio proviene da biomassa, o dall’aria, o dal mare, si ottiene una riduzione netta del carbonio dell’ecosistema, cioè un esempio di “emissioni negative”, che, come noto, appaiono di fatto indispensabili se si vuole arrivare ad annullare le emissioni carboniche nette al 2050.
Se invece il carbonio proviene dalla cattura delle emissioni di altri impianti, si ottiene un effetto paragonabile alla Carbon Capture and Storage (CCS).
Con progetti di questo tipo appare realistico prevedere la disponibilità, anche se con orizzonti temporali non brevi, in Europa di decine di milioni di tonnellate di idrogeno «carbon free» all’anno, come propone la Commissione Europea, la quale, tuttavia, farebbe assegnamento anche sull’importazione di grandi quantità di idrogeno, ad esempio, da vasti impianti fotovoltaici dislocati nell’Africa settentrionale. Ma in tal caso sarebbe più facile e conveniente importare energia elettrica, evitando l’inefficiente trasformazione elettricità/idrogeno. Esempi passati, inoltre, non depongono a favore di queste iniziative, che comunque manterrebbero la dipendenza geostrategica dell’Europa da altri paesi anche politicamente inaffidabili.
La Gigafactory per l’Idrogeno
La Gigafactory per l’Idrogeno sarà in grado di costruire ed operare una schiera di reattori nucleari come sorgenti di calore ad alta temperatura per produrre a basso costo grandi quantità di idrogeno decarbonizzato (H2). La figura 2 riportata sopra presenta una Gigafactory per l’Idrogeno con uno spazio sufficiente per 36 reattori. I fabbricati in alto a sinistra comprendono l’officina per la fabbricazione degli impianti (il fabbricato più vasto) e l’officina per il preassemblaggio (il fabbricato minore). Sulla superficie della struttura intermedia, alla destra, compare una schiera di 12 reattori, già installati sotto il piano di lavoro, con le loro coperture in azzurro, ed i relativi scambiatori di calore con le loro coperture in verde. Nelle altre due schiere alla sinistra è in corso il lavoro di preparazione e installazione di altri reattori. Ogni reattore può fornire 600 MWt e 250 MWe (efficienza del 42%).
Il prospetto concettuale riportato in figura 2 presenta sul retro il fabbricato per la costruzione e l’assemblaggio modulare degli impianti, la gigafactory in costruzione sotto le gru gialle, e, in primo piano, l’impianto per la produzione di idrogeno e l’impianto per la produzione di carburante liquido sintetico.
Alimentazione e prodotto
La Gigafactory per l’Idrogeno richiede 1,923 kWh di energia dal combustibile nucleare per produrre 1 kWh di idrogeno: l’efficienza operativa di conversione nucleare-idrogeno è cioè pari al 52% (dato tratto da un rapporto redatto nel 2003 dalla General Atomics per la produzione di idrogeno da reattori nucleari).
Conclusioni
Alcune Gigafactory, poi, potrebbero essere dotate di gruppi turbo-alternatore, e fornire quindi anche energia elettrica, in modo regolabile, utile per stabilizzare una rete elettrica con un’alta frazione di generazione intermittente (come si avvia ad essere quella italiana).
Occorre tuttavia far notare che un paese che si dotasse di una buona infrastruttura di impianti nucleari, come si avviano a fare nel mondo molti grandi e piccoli paesi anche in via di sviluppo, potrebbe fare a meno di produrre quelle enormi quantità del disagevole ed inefficiente «vettore» idrogeno per decarbonizzare i settori hard-to-abate.
La parte restante dell’energia, a temperatura medio-bassa, viene generalmente smaltita in mare, o in fiume, o tramite torre di raffreddamento. Questo calore potrebbe invece essere utilizzato per desalinizzare acqua di mare, o per teleriscaldare ampie aree urbanizzate, come già avviene da tempo in città della Russia e della Cina.
In questo scenario, resterebbe da produrre in modo “carbon free” praticamente soltanto l’idrogeno, richiesto in quanto tale dai processi industriali che espressamente ne hanno necessità.
L’Italia, oggi, di quest’idrogeno, ne richiede non più di mezzo milione di tonnellate all’anno. Anche se questa richiesta aumentasse notevolmente nei prossimi decenni, si può ritenere che una sola Gigafactory, come quella prima descritta, sarebbe più che sufficiente.
Fonte: Agostino Mathis
Contributo del professor Mathis, esperto di "Metodologie per l’analisi di sicurezza ed il controllo degli impianti nucleari" al libro, curato da Sergio Bartalucci per i tipi di 21mo Secolo, che raccoglie gli scritti di numerosi autori sugli scenari attuali e le prospettive di sviluppo tecnologico e di utilizzo dell’idrogeno.
La Gigafactory per l’Idrogeno sarà in grado di costruire ed operare una schiera di reattori nucleari come sorgenti di calore ad alta temperatura per produrre a basso costo grandi quantità di idrogeno decarbonizzato (H2). La figura 2 riportata sopra presenta una Gigafactory per l’Idrogeno con uno spazio sufficiente per 36 reattori. I fabbricati in alto a sinistra comprendono l’officina per la fabbricazione degli impianti (il fabbricato più vasto) e l’officina per il preassemblaggio (il fabbricato minore). Sulla superficie della struttura intermedia, alla destra, compare una schiera di 12 reattori, già installati sotto il piano di lavoro, con le loro coperture in azzurro, ed i relativi scambiatori di calore con le loro coperture in verde. Nelle altre due schiere alla sinistra è in corso il lavoro di preparazione e installazione di altri reattori. Ogni reattore può fornire 600 MWt e 250 MWe (efficienza del 42%).
Il prospetto concettuale riportato in figura 2 presenta sul retro il fabbricato per la costruzione e l’assemblaggio modulare degli impianti, la gigafactory in costruzione sotto le gru gialle, e, in primo piano, l’impianto per la produzione di idrogeno e l’impianto per la produzione di carburante liquido sintetico.
Alimentazione e prodotto
La Gigafactory per l’Idrogeno richiede 1,923 kWh di energia dal combustibile nucleare per produrre 1 kWh di idrogeno: l’efficienza operativa di conversione nucleare-idrogeno è cioè pari al 52% (dato tratto da un rapporto redatto nel 2003 dalla General Atomics per la produzione di idrogeno da reattori nucleari).
Nella figura 3, è riportato lo schema della Gigafactory per l’Idrogeno.
L’impianto per il carburante liquido sintetico
Ciascun impianto per il carburante liquido sintetico userà calore ed elettricità da un reattore nucleare per produrre idrogeno, che sarà quindi combinato con carbonio per produrre carburante liquido sintetico per aviazione (‘Jet A’) di tipo “drop-in” (cioè, pronto per essere immesso in serbatoio).
Il carbonio può provenire da diverse fonti: il carbonio biogenico da biocarburanti o dall’aria o dal mare fornirebbe il massimo beneficio per quanto riguarda la mitigazione dell’effetto sul clima, poiché in questo caso la sua estrazione ridurrebbe la concentrazione del carbonio nell’ambiente, che causa il cambiamento del clima.
Alternativamente, il carbonio per la produzione del carburante sintetico potrebbe provenire dalla cattura e sequestro delle emissioni provenienti dalla combustione di fonti fossili (come il carbone), ma in questo caso il beneficio sarebbe dimezzato rispetto al caso del carbonio biogenico, poiché il carbonio dei combustibili fossili proviene da depositi geologici. L’anno più prossimo ipotizzabile per un impianto di produzione di carburante liquido sintetico in funzione nel Regno Unito potrebbe essere il 2030, ed il tempo necessario alla sua costruzione potrebbe essere stimato in 4 anni. Il massimo ritmo di costruzione annuale per questi impianti potrebbe passare da 5 GWe nel 2030 a 10 GWe dal 2040 in avanti. La vita utile, tecnica ed economica, è 60 anni. La tecnologia ha un fattore di contributo di picco del 95% e un fattore di disponibilità annuale del 92%.
Conclusioni
Come abbiamo visto all’inizio, un paese industriale richiede per i settori hard-to-abate una quantità di energia che è almeno quattro volte il consumo di energia elettrica. Al 2050, quindi, se l’Italia potrà richiedere 300 TWh/anno elettrici, potrà anche richiedere oltre 1000 TWh/anno di energia termica per i settori hard-to-abate.
La Commissione Europea induce i Paesi Membri a ipotizzare che, al 2050, questa energia termica possa essere fornita mediante il “vettore” idrogeno, ma di tipo “verde”, cioè prodotto tramite energie rinnovabili.
Ad oggi, il governo italiano propenderebbe per la produzione di idrogeno per via elettrolitica alimentata da pannelli fotovoltaici.
Ma, come visto, per ottenere 1 kg di idrogeno occorrono circa 50 kWh. Questa via è quindi accettabile soltanto per un costo del kWh estremamente basso. E 1 kg di H2, bruciando, produce circa soltanto 33 kWh.
Quindi l’Italia avrebbe bisogno ogni anno di 1000 x 109 / 33 = 30 x 109 kg = 30 milioni di tonnellate di H2. Per produrle per via elettrolitica, occorrono 30 x 109 x 50 = 1500 TWh elettrici. Ciò corrisponderebbe a 60 volte l’attuale produzione fotovoltaica italiana, che si aggira sui 25 TWh/anno, e richiederebbe la copertura di una superficie dell’ordine di altri 15.000 km2, oltre a quelli richiesti per la produzione di energia elettrica.
Se poi si volesse usare energia eolica, che ha una densità di potenza (kWh prodotti per unità di superficie occupata) venti volte minore rispetto alla fotovoltaica, occorrerebbero campi eolici per 300.000 km2 (tutta l’Italia coperta di torri eoliche!).
Anche per la produzione di massa dell’idrogeno, quindi, l’opzione più realistica, a lungo termine, potrebbe essere quella termica di origine nucleare. Una Gigafactory come quella prima descritta, al completo dei suoi 36 reattori da 600 MW termici ciascuno, produce una potenza termica pari a 21,6 GW termici, che in un anno possono produrre 170 TWh termici, che, con il rendimento del 52% prima riportato, corrispondono a 170 x 0,52 = 88,4 TWh di idrogeno, cioè 88,4 x 109 / 33 = 2,6 milioni di tonnellate di idrogeno.
Una dozzina di Gigafactory sarebbe quindi sufficiente a fornire quei trenta milioni di tonnellate all’anno di idrogeno, occupando soltanto un’area di qualche decina di KM2.
Occorre tuttavia far notare che un paese che si dotasse di una buona infrastruttura di impianti nucleari, come si avviano a fare nel mondo molti grandi e piccoli paesi anche in via di sviluppo, potrebbe fare a meno di produrre quelle enormi quantità del disagevole ed inefficiente «vettore» idrogeno per decarbonizzare i settori hard-to-abate.
Infatti, l’energia nucleare all’origine è tutta termica, e negli impianti elettronucleari attuali si trasforma in energia elettrica soltanto per una frazione dal 35% al 50%, in relazione al rendimento termodinamico del gruppo turboalternatore.
Con lo sviluppo poi di reattori nucleari raffreddati da fluidi ad alta, o altissima, temperatura, come visto nella figura 3, sarebbe anche possibile decarbonizzare direttamente molti processi chimici e metallurgici.
L’Italia, oggi, di quest’idrogeno, ne richiede non più di mezzo milione di tonnellate all’anno. Anche se questa richiesta aumentasse notevolmente nei prossimi decenni, si può ritenere che una sola Gigafactory, come quella prima descritta, sarebbe più che sufficiente.
Resta il fatto che, senza un programma energetico realistico, coordinato tra le varie fonti e i vari sistemi di generazione energetiche e soprattutto esteso per una prospettiva di molti decenni, ogni presa di posizione “talebana” appare avventata e pericolosa per le generazioni future.
Declinando questa preoccupazione sull’Italia, appare quindi arrischiato, avviare iniziative quali le numerose “Hydrogen Valleys”, in corso di finanziamento da parte del Governo, e incentrate solo sulla produzione di “idrogeno verde” a partire da elettricità da fonte eolica o fotovoltaica.
Fonte: Agostino Mathis
Contributo del professor Mathis, esperto di "Metodologie per l’analisi di sicurezza ed il controllo degli impianti nucleari" al libro, curato da Sergio Bartalucci per i tipi di 21mo Secolo, che raccoglie gli scritti di numerosi autori sugli scenari attuali e le prospettive di sviluppo tecnologico e di utilizzo dell’idrogeno.
02 dicembre 2023