Il capitale umano nelle leadership di oggi e domani

La caratteristica fondamentale per i leader del futuro


Di Maurizio Toso
Presidente Federmanager Padova e Rovigo 
Conoscere, valorizzare e costruire sono i pilastri da perseguire tanto nella vita personale quanto nel lavoro. 

In ambito professionale non si può prescindere da nessuno di questi tre valori e, in particolare, è sulla promozione del capitale umano che è necessario investire. 
In uno scenario come quello attuale, in cui siamo soliti legare il concetto di “capitale” alla sfera meramente economica, è indispensabile un cambio di paradigma: la vera risorsa, infatti, sono le persone. 
È dagli individui che ciascun meccanismo prende avvio ed è grazie al loro lavoro che si arriva al risultato finale. Il leader, in tal senso, non ha più solo il compito di far funzionare la macchina ma deve saper osservare quelle che sono le risorse umane interne, valorizzandone capacità e potenzialità. 

Solo così è possibile delineare progetti lavorativi efficaci e capaci di resistere quanto più possibile ai naturali contraccolpi economici e sociali che caratterizzano la realtà odierna. 
Il mondo lavorativo contemporaneo è in costante e veloce divenire, in bilico tra ciò che è e ciò che sarà, trasformato rispetto al passato e a tratti quasi trasfigurato, ed è al leader che viene richiesto di guidarci e accompagnarci attraverso questo complesso reticolato.

Per riuscire nell’impresa sono indispensabili consapevolezza, realismo, coscienza, lungimiranza, attenzione all’altro ma, in primis, è fondamentale che a governare la nave sia un leader umanista. Come sostiene Nathalie Rodary, nel suo libro Il nuovo mondo cerca nuovi leader, un leader umanista “sa che l’essere umano è al centro della trasformazione, che è lo strumento stesso della trasformazione” e investe su di sé e su quanti lo circondano. 
Sebbene associare un principio umanista all’ambito del lavoro possa apparire quasi un ossimoro, la realtà dei fatti è che in un mondo mutato come quello in cui ci troviamo a operare, non è proficuo scindere le due sfere. 

Essere leader significa saper leggere i cambiamenti contingenti, interpretarli alla luce degli scenari nazionali e internazionali, delineare un progetto d’impresa su medio-lungo termine e, cosa non meno importante, agire. 

Va da sé che l’azione non deve essere fine a se stessa ma deve prendere forma a partire da un ragionamento che tenga conto di ciascun attore coinvolto nel processo. 
Al leader umanista è richiesto di dare spazio agli individui, quali motore di trasformazione, ma ancor prima di conoscersi e riconoscersi. 

Senza la consapevolezza del sé non è pensabile divenire guida né condurre l’impresa in qualsivoglia direzione. 

Lo scopo principale di un leader è quello di coinvolgere tutti sulla base delle esperienze e potenzialità individuali, valorizzando il capitale umano attraverso un piano di lavoro strutturato ma capace di modellarsi a seconda delle necessità. 

In quest’ottica, ad avere un ruolo centrale per il manager, sono la duttilità e la capacità di prendere ciò che si ha a disposizione e trasformarlo in concreta risorsa. 

A rendere tale il leader di oggi e domani è, inoltre, il superamento di quel preconcetto sociale e culturale che distingue uomo e donna in termini di capacità, rendimento e potenzialità
Una dualità che ancora pare fare capolino in determinati contesti, a giustificazione di una non meglio precisata superiorità dell’uno sull’altro e quasi sempre a sfavore della componente femminile, ma che non poggia su basi e spiegazioni concrete. 

La distinzione di genere permane nella nostra società e nella sfera lavorativa come lascito di una tradizione passata che nulla ha a che vedere con il mondo in cui oggi ci muoviamo. 

Superare tali pregiudizi non solo è necessario, da un punto di vista etico e morale, ma è quanto mai doveroso in termini professionali e di sviluppo per perseguire l’obiettivo di una società in cui a prevalere sia il giusto merito

La parità di genere porta in seno il principio di uguaglianza che si realizza solo ed esclusivamente se ci si libera da credenze e preclusioni mentali tipiche del “si è sempre fatto così”.

E noi, in quanto classe dirigente, possiamo e dobbiamo fare sempre meglio.