Recovery Plan e codice degli appalti: una convivenza possibile?
L'editoriale della rivista DIRIGENTI nordest del Presidente Federmanager Padova e Rovigo richiama l'attenzione sulle concrete possibilità di utilizzo delle risorse per il Recovery Plan.
Giampietro Rossi
Presidente Federmanager Padova e Rovigo
Per far ripartire l’Europa dopo la pandemia da Coronavirus, come a tutti noto, l’UE ha approvato il Next Generation EU, noto in Italia come Recovery Fund o “Fondo per la ripresa”. Si tratta di un fondo speciale volto a finanziare la ripresa economica del vecchio continente nel triennio 2021-2023, fondo che servirà a sostenere progetti di riforma strutturali previsti dai Piani nazionali di riforme di ogni Paese: i cosiddetti Recovery Plan, chiamato pomposamente in Italia “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Tra i progetti che saranno finanziati ci sono quelli per le infrastrutture per la mobilità sostenibile, efficientamento energetico degli edifici, specie quelli pubblici, infrastrutture sanitarie, idriche, tanto per citarne alcuni.
Adesso che si parla di Recovery Plan e delle opere infrastrutturali che si dovrebbero rapidamente realizzare per non perdere i finanziamenti europei, come si può sperare che questi vengano realizzati quando la più recente legislazione in materia è stata causa non ultima del rallentamento del settore e delle complicazioni procedimentali?
Come rendere tutti questi progetti rapidamente cantierabili e iniziare al più presto i lavori nonostante la palla al piede che gli addetti del settore conoscono bene e si chiama Codice degli Appalti?
Che le opere pubbliche possano essere “motore dell’economia” è indiscutibile, in particolar modo in questo momento in cui l’intervento della mano pubblica potrà fare da innesco della “ripresa” che sarà tanto più rapida ed efficace quanto più celere sarà l’avvio del “motore”, salvo poi accorgersi che il motore ha il freno tirato per colpa della burocrazia e delle complicazioni legislative e normative, di cui il nuovo Codice degli Appalti rappresenta un esempio illuminante. Anche gli ultimi interventi aventi lo scopo di “semplificare” non fanno ben sperare nell’attuazione di norme veramente efficaci che dovrebbero ripartire da un’analisi critica dei fallimenti fin qui verificatisi e da una radicale revisione dei meccanismi normativi.
È utile ricordare che l’attuale Codice prevede per la sua applicazione l’emanazione di una sessantina di linee guida (sul loro numero esatto neanche tutti i commentatori concordano) che dovevano essere emanate entro due o tre mesi; a distanza di quattro anni ne sono state emanate (con più versioni, rimaneggiamenti e ripensamenti) una ventina. Ci si stupisce che ci sia lo sconcerto e il vuoto normativo?
Il settore dei lavori pubblici oggi è in ginocchio, ma anche prima non stava tanto bene, costretto in vincoli operativi incomprensibili ai più; e quando una norma non è compresa, quando non ne è condivisa la sua utilità e finalità, quando non fa parte del bagaglio culturale degli operatori, quando è sentita come un inutile fardello, la sua applicazione è subìta e non porta esiti favorevoli.
Che l’attuale norma dei lavori pubblici sia sentita come un inutile e incomprensibile fardello lo dicono in molti, anche se non tutti lo dichiarano apertamente perché lo ritengono politicamente scorretto; quel che sorprende è che oggi lo dicano anche i “politici” che quelle norme hanno approvato.
Una possibile soluzione? Affidare gli interventi previsti dal Recovery Plan ad aziende notoriamente efficienti, capaci, tecnologicamente in grado di soddisfare quanto richiesto dai capitolati d’appalto: il successo dell’impresa di ricostruzione del ponte di Genova lo sta a testimoniare. Si tratta, è vero di interventi strutturali utilizzando la metodica dell’urgenza, che opera quasi sempre con la tecnica della “deroga” per cui le regole a regime restano le stesse e si consente invece la loro disapplicazione per un periodo temporaneo o per interventi specifici o settoriali, bypassando le regole che vincolano l’operatività.
Non è certo la soluzione ottimale: il rimedio non è disapplicare la norma, ma è modificarla correggendone le storture: siamo però in un momento “straordinario” e come in maniera straordinaria abbiamo rinunciato a libertà che fino all’anno scorso ci sembravano intoccabili, forse per ripartire bene e rapidamente occorre anche questa volta operare d’urgenza, anche se, come diceva un noto giornalista, occorre di tanto in tanto “turarsi il naso”. Il cosiddetto “Decreto Semplificazioni” ha individuato le opere commissariabili da realizzare, peccato che sulla scelta dei 40 commissari si sia subito iniziato a litigare tra Governo, Parlamento, Regioni e il tutto si è fermato e non si vede la fine del tunnel: i più informati stimano che occorra ancora un anno!
Di aziende versatili, solide, efficienti, capaci di portare a termine le opere previste in Italia dal Recovery Plan ne abbiamo molte, cosi come abbiamo manager pubblici capaci di gestire in maniera efficiente opere complesse, che possono avvalersi di società di ingegneria di prim’ordine: non abbiamo solo quella di Renzo Piano!
Un solo esempio! Pochi sanno che una nostra multinazionale delle costruzioni, la Cimolai Spa di Porcia (PN), si è aggiudicata la costruzione di un’opera straordinariamente complessa: quella dell’E.L.T., l’Extremely Large Telescope, commissionato da E.S.O., European Southern Observatory, che, una volta ultimato, sarà il più grande telescopio ottico al mondo, in costruzione sul Cerro Armazones, ad una altitudine di 3046, in pieno deserto di Atacama in Cile.
Anche nel Nord-Est non siamo secondi a nessuno!
22 febbraio 2021