Cronache dal 2022: la parità di genere è ancora lontana, ma forse non irraggiungibile
Viviamo ancora in una società patriarcale e maschilista
Cosa significa parità di genere? Si intende
la possibilità e necessità di pretendere lo
stesso trattamento a livello sociale, lavorativo e giuridico a prescindere dal genere;
questa definizione è stata reputata talmente
importante da diventare l’Obiettivo numero
5 nell’Agenda 2030.
Perché si parla ancora di parità di genere
quando le donne hanno sostanzialmente gli
stessi diritti degli uomini? Semplice, il fatto
che ci siano i diritti non significa che esista la parità.
La parità di genere è un concetto che, per
quanto sia ovviamente legato ai diritti, si colloca in una dimensione forse più astratta: la
mentalità collettiva o sociale di un paese.
Per spiegarlo è necessario fare una premessa: viviamo ancora in una società patriarcale e maschilista.
Niente, l’ho detto, e sicuramente si leveranno
al cielo tanti: “ma le donne possono fare tutto
quello che vogliono, hanno i diritti ecc…”.
Al di là della mia concreta voglia di rispondere “Ma dai…”, è necessario soffermarsi
sulla concezione, sia maschile che femminile (la mentalità patriarcale non ha genere),
che le donne siano libere e abbiano le stesse opportunità della controparte maschile.
CRONACHE DAL 2022: LA PARITÀ
DI GENERE È ANCORA LONTANA,
MA FORSE NON IRRAGGIUNGIBILE
Non credo ci si possa stupire della mancanza di parità, quando si vive in un sistema sociale e scolastico che persevera
nel diffondere stereotipi di genere e concezioni che ormai dovrebbero risiedere nel
medioevo.
Faccio un paio di esempi concreti: solo
il 16% delle donne è specializzato in materie STEM in Italia e a livello mondiale
solo il 20% delle donne è CEO.
In Italia si ha ancora la concezione che le
donne non siano prima di tutto portate per
le materie scientifiche, ma soprattutto che
si debbano ancora relegare nell’ambiente
familiare o in quello lavorativo di cura. È più
socialmente accettabile che le donne lavorino come infermiere, ma meno come ingegnere (forma plurale di ingegnera).
Oltre quindi all’aspetto scolastico discriminante, si ha quello sociale: le donne sono
ancora considerate come l’unico elemento
familiare che si deve occupare della cura
dei figli e della casa, mentre l’uomo è colui
che deve provvedere economicamente al
fabbisogno familiare.
Mi sono sempre chiesta perchè gli uomini
non si offendano quando vengono considerati pressoché inutili nel contesto familiare,
il cui ruolo è principalmente quello di far divertire i figli ma non di essere partecipi nella
loro crescita.
Anche questo è un concetto strettamente
legato non solo alla parità di genere, ma
soprattutto a un sistema sociale patriarcale
che limita sia le donne che gli uomini.
Ritorniamo alle donne. A loro viene chiesto
di lavorare e di gestire tutto l’ambiente familiare. Credo sia chiaro anche a voi quanto
impossibile sia far conciliare perfettamente i due aspetti, non è possibile “lavorare
come se non si avessero figli, avere figli
come se non si lavorasse”.
È uno dei motivi per cui la parità di genere e
le attiviste si incentrano molto sulle politiche
di welfare in quanto, se queste esistessero, sarebbe possibile per entrambi i generi conciliare tutti gli aspetti della propria vita
senza doversi limitare.
Immaginate la costruzione di un asilo all’interno di un’azienda, chi ne gioverebbe?
La risposta è semplice: tutti.
L’asilo, per esempio, sarebbe comodo non
solo alle donne, ma anche agli uomini che
avrebbero la possibilità di lasciare in un
luogo sicuro e accessibile i propri figli.
Chiedo scusa, mi sto focalizzando sulle
famiglie etero e composte da due genitori,
ma questa non è la realtà. Dalle politiche
di welfare padri e madri single potrebbero
giovarne dando loro modo di concentrarsi
sul lavoro senza doversi preoccupare costantemente.
La parità di genere è questo: aiutare o
trovare una soluzione che sia favorevole
per tutti i generi, senza discriminazione.
Vorrei fare un appunto sulla questione di
parità di genere e lingua.
È necessario che la lingua evolva nel tempo e questo significa utilizzare, quando la
grammatica lo permette, il femminile delle
professioni; utilizzare il termine ingegnera,
non è offensivo e non è scorretto, ma dà
modo alle persone di sentirsi rappresentate.
La lingua è rappresentazione e, se non la
si usa correttamente, limita un genere a
dispetto dell’altro.
Pensateci bene, quando sentite parlare
qualcuno e vi dice che una persona che
conoscono è ingegnere, il vostro pensiero
va direttamente a collegare ingegnere con
uomo, non con donna. Se ci si sforzasse
a modificare la lingua, si modificherebbe
conseguentemente anche il pensiero; è
sempre stato così.
Un’ultima cosa: è facile dire alle donne “dovete alzare la voce, farvi sentire, prendere il
vostro destino tra le mani”. Certo, non serve
mica che un uomo ce lo dica, le donne hanno combattuto per i propri diritti a differenza
degli uomini.
È facile e scontato scaricare di nuovo il fardello sulle spalle della minoranza e dei discriminati, così non vale; anche gli uomini
hanno un ruolo in questa faccenda che è
quella di capire il proprio privilegio e cercare di condividerlo.
La realtà e la teoria sono molto diverse
però dalla pratica, perché chi ha un privilegio non vuole condividerlo, e perché
mai dovrebbe?
Pensiamo alle pratiche ancora condivise e
diffuse in contesti prettamente aziendali, in
cui le donne che fanno carriera sono spesso
vittime dei colleghi. Esperienza condivisa è
quella di sentirsi dire, dopo un avanzamento di carriera, “certo, lei fa carriera perché
va a letto col capo”. Questa tecnica viene
utilizzata prevalentemente dagli uomini in
quanto è il modo più efficace ed efficiente
di svalutare il lavoro della collega e di far
leggere tra le righe il concetto che gli uomini sono lì perché se lo meritano, perché
sono preparati, mentre le donne no, sono lì
perché sono carine e utilizzano il loro corpo
per raggiungere determinate posizioni.
Oggettificare il corpo delle donne e svalutare il loro lavoro sono ancora delle
pratiche in voga; qui bisognerebbe aprire una parentesi estesa sull’interesse degli
uomini di controllare il corpo delle donne e
della loro incapacità di venire a patti con la
propria coscienza e del fatto che le donne
sono preparate quanto o più di loro.
Altra pratica da tenere in considerazione
nel contesto lavorativo è il mobbing, specialmente quando le donne rientrano dalla
maternità. E proprio parlando di maternità è
necessario far notare come nei colloqui ci si
focalizzi molto su di essa, ovviamente solo
per le donne.
Alle donne al momento dell’assunzione viene richiesto di firmare ancora oggi, nel 2022,
le dimissioni in bianco e non credo che io
debba spiegarvi per che motivo.
Qualche settimana fa ho seguito il convegno
Oltre il Genere: Stili manageriali a confronto,
organizzato dal Gruppo Minerva di Federmanager Vicenza, che verteva per l’appunto
sulla parità di genere nel contesto aziendale e vorrei riportare alcune frasi che ritengo
problematiche sperando di farvi riflettere.
Oltre a tutte le iniziative che si sono organizzate e istituite per far entrare le donne in determinati contesti, qui si potrebbe discutere
sul fatto che le donne siano sempre una sorta di panda in via d’estinzione e che hanno
la necessità di crearsi spazi appositi per essere rappresentate, ma non ho intenzione di
focalizzarmi su questo aspetto. L’unica cosa che voglio dire è che per quanto le quote rosa siano offensive e facciano sentire le
donne come una specie in via d’estinzione,
sono altrettanto necessarie per vedere delle
donne in determinati contesti.
Ritorniamo sul convegno.
La prima frase che onestamente mi ha dato fastidio è stata detta ovviamente da un
dirigente uomo, il quale ha definito lo stile
manageriale femminile come più “emotivo”.
Di stili manageriali ce ne sono molti, nessuno lo mette in dubbio. Certamente ci
sono delle differenze di genere, ma principalmente ci sono delle differenze di
personalità; non sarebbe l’ora di sfatare
il mito che le donne siano più emotive?
Pensiamo a come vengono percepite le
donne quando si pongono con gli stessi
atteggiamenti degli uomini. L’uomo viene
considerato forte, il boss, mentre la donna
un’isterica e quindi bossy.
Scusate, qui ho utilizzato dei termini inglesi
che rendono però bene l’idea della differenza, da una parte boss e dall’altra un aggettivo bossy, da una parte degno di rispetto e
dall’altra no.
Insopportabile è poi l’utilizzo della parola
contaminazione in quanto si parte dal presupposto che ci sia un gruppo, composto
da uomini, a cui si debba aggiungere una
componente femminile per rendere il tutto
più petaloso? O inclusivo?
Altra cosa, tipicamente maschile, è buttarla
sempre sul “ritengo che uno debba essere
assunto per le proprie capacità e non per il
genere”.
Certo, sarebbe desiderabile ciò, ma potrebbe avvenire solo in un contesto in cui
gli uomini non detengono tutto il potere e il
privilegio.
Di nuovo, è sempre facile scaricare il fardello sulle spalle di qualcun altro e non
prendersi mai la responsabilità della società in cui si vive.
In un intervento si è parlato di evoluzione
naturale della società che porterà le donne ad avere più peso, io personalmente
non concordo. La società non è naturale, non è nata con la natura, ma è nata in
quanto c’era bisogno di trovare delle regole comuni che potessero far funzionare
fra di loro degli esseri viventi. Pensare che
questi cambiamenti a favore delle donne
avverranno a prescindere e che noi possiamo solo definire in quanto tempo, è
ingenuo. Come ho già detto prima è solo
una questione di privilegio e di condivisione di tale privilegio, se non c’è interesse
non avverrà mai. Dall’altra mi inchino quando questo dirigente afferma che quando
parlano le donne gli uomini non ascoltano,
a prescindere dall’età. Questo rende il problema della parità di genere un problema intergenerazionale, ma è scontato in
quanto se si vive in una società discriminante l’unica cosa che si conosce è la discriminazione. Questa non è una scusante,
ci si potrebbe istruire.
Altra frase, sempre maschile: “io ho sempre
collaborato con donne e ci sono sempre
andato d’accordo”. Questa è una sintesi
spiccia del discorso, ma vorrei focalizzarmi
sul concetto che permette al retore di collocare uomini e donne su due piani diversi
e soprattutto di considerare le donne come questi esseri con cui bisogna andare d’accordo. Ma non dovrebbe valere per tutti gli
esseri umani?
Ultima osservazione: perché, e nel particolare gli uomini, ci si offende quando viene
fatto notare che si è molto lontani dall’avere la parità di genere? Buttarla sul “le nuove generazioni sono migliori, quindi quando ce ne andremo i problemi spariranno” è
ingenuo. Le nuove generazioni sono sì in
parte migliori, perché vivono in una società che sta cercando di cambiare o che
alcune persone stanno cercando di cambiare, ma dall’altra sono state cresciute
dalle vecchie generazioni e quindi hanno
quasi sempre le stesse idee. Di nuovo,
non era già stato fatto notare che a prescindere dall’età nei contesti aziendali le donne
ricevono meno rispetto? Come si può uscire con un’affermazione del genere?
Vorrei concludere con un’osservazione.
In alcuni discorsi è stato detto che le donne
tendono essere più proattive a scuola, che
mangiano sulla testa degli uomini a livello
di competenza, ecc…
Bene, ma questo non dovrebbe far riflettere
sul fatto che le donne però non riescono
ad accedere a determinate posizioni e
in molti casi ad ottenere il rispetto della
controparte maschile? Non è evidente il
problema e la discriminazione in atto?
La sintesi di questo convegno credo sia:
tante parole poco aderenti alla realtà.
Ne abbiamo ancora di strada da fare.
12 aprile 2022