Scampoli di fine estate

I nuovi frequentatori della montagna e le offerte turistiche (compreso l'elisoccorso)

Gianni Soleni

Gianni Soleni Federmanager Venezia

“Settembre andiamo, è tempo di migrare”… 
L’estate è agli sgoccioli, tutti siamo “tornati a baita” dopo la pausa estiva. Ecco alcune “Riflessioni e Opinioni”, come sollecitano queste pagine della rivista: non riguardano Mobilità elettrica, Innovazione, Sostenibilità, sono solo semplici spunti dettati dal buon senso (almeno ritengo), sorti durante il periodo di permanenza in montagna. 

RICHIESTE DI SOCCORSO IN MONTAGNA
Da sempre è attivo il benemerito Soccorso Alpino, dapprima quello “a terra” (che permane ed è fondamentale) oggi integrato da quello con elicottero, che si è raffinato e diffuso tanto da essere ormai considerata attività normale (ma normale non è). 

Ma mai come quest’anno si sono moltiplicate le chiamate al 118 da parte di persone che si sono trovate in difficoltà sulle nostre montagne. 

Un sentore c’era già stato in primavera: un gruppo di “temerari” scialpinisti, evidentemente piuttosto dilettanti ma già in età adulta, aveva risalito una montagna innevata, e si era gettato in discesa in neve fresca. 

L’obiettivo, come è di moda oggi, era auto-riprendersi e mettersi in rete in diretta sui cosiddetti social. “Guardate dove siamo, guardate come scendiamo, qui nessuno ci può fermare!” sono le parole dette dall’incauto sciatore-regista. 

Le ultime. Pochi istanti dopo una slavina (probabilmente provocata da loro stessi), aveva già sepolto gli sciatori provocando morti e feriti. 
Fine del video, Qualcuno li aveva fermati. 

Nel successivo periodo estivo, dicevo, una marea di richieste di soccorso. Ma, chi sono i richiedenti? 

Lasciamo fuori coloro che si sono effettivamente trovati in difficoltà (a volte sono deceduti) per cause oggettive (distacchi di roccia, cadute massi, etc). ma gli altri? 

Bene, tra loro si sono ben distinti: 
  • gli “Esausti”, partiti per una escursione senza avere conoscenza delle loro potenzialità e dell’impegno richiesto: accertato che non riuscivano a concludere il percorso perché stanchi (non per motivi di pericolo) ed essendo, appunto, esausti (!?!?) non trovavano di meglio che ricorrere al 118 per un rientro tipo taxi; 
  • gli “Sprovveduti” e gli “Incapaci”, partiti senza sapere bene cosa stanno facendo, dove stanno andando (una escursione in quota non è una passeggiata sul bagnasciuga), che sentiero percorrere, e raffinatezze/inutilità varie (che “una volta” si era usi verificare). Dopo aver sbagliato percorso, vedendo che le ore passano senza soluzione, o trovandosi di fronte a difficoltà non previste, eccoli pronti a ricorrere all’elisoccorso (meglio, “smart-elisoccorso”); 
  • i “Sandalisti”, che affrontano ghiacciai (per quanto ridotti), rocce o ghiaioni con infradito, sandali da spiaggia, al massimo con scarpette “fighette” da passeggio. Trovandosi in difficoltà, ritengono un loro PIENO DIRITTO chiamare il soccorso, scaricando magari la colpa sull“azienda di soggiorno” che doveva provvedere a facilitare e mettere “in sicurezza” il sentiero o il percorso; 
  • i “Tecnici high-tech” che affrontano una gita studiandola su internet ma guardandosi bene da chiedere informazioni ai locali (aziende di soggiorno, guide, albergatori, etc); 
  • gli “Allergici al Meteo”, che affrontano scalate tipo parete sud della Marmolada o simili senza consultare il meteo, che proprio per quel giorno e in quel luogo garantisce nel pomeriggio un peggioramento del tempo con vento e pioggia. Poi si trovano in parete nel mezzo della bufera ed (ovviamente) chiamano il 118, per farsi aiutare da persone che rischiamo la vita (e a volte la perdono) per soccorrerli.

Mi fermo qui, ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo, come certo sa chi tra i lettori frequenta la montagna. 

Una nota: il 40% delle persone soccorse NON paga l’importo richiesto per il soccorso, quando dovuto.

L’OFFERTA DI ACCOGLIENZA. 

Alcuni esempi (tra i tanti) tutti realizzati nell’area dolomitica che mi era vicina. 
  • Una nuova funivia, che collega un fondo valle alle pendici (inoltrate) del Catinaccio-Rosengarten, scorrendo su enormi piloni di acciaio con altezze di multipli interi rispetto agli abeti che una volta costituivano una foresta bellissima e quasi “vergine” dal punto di vista dell’intervento umano. Piloni installati forse come rimboschimento della zona colpita dalla tempesta Vaia, tramite nuove essenze a base di acciaio e cemento armato. Cabine con posti interni (tipo coupè) o esterni sul tetto (tipo spider). Funivia vista non più come mezzo di trasporto, ma come soggetto centrale della gita. Le foto panoramiche (??) che vengono fatte in zona evidenziano non più boschi verdi e ristoratori, ma treppiedi metallici e piloni stratosferici. Bel segno di modernità
  • Un nuovo rifugio, strutturato su tre piani, in sostituzione del vecchio in legno ad un solo piano: poco male se nel panorama della montagna la parte del leone la fa lui e non più il gruppo dolomitico su cui si innalza, e se la leggendaria “enrosadira” diviene solo un patetico ricordo. Importante è poter accogliere a quasi 3mila metri un numero molto maggiore di persone, in un ambiente più confortevole (perché no una futura SPA?), anche se poi i rifugi soffrono di carenza di acqua. Una spinta subdola ai turisti che poi si sentono autorizzati a chiedere la cameretta a due letti con doccia e servizi, e se ne vanno (dove?) se l’offerta non li soddisfa. 
  • Rifugi (??) gourmet che offrono, a quasi 3mila metri, menù a base di pesce raffinato (scartando ovviamente le plebee trote di montagna) come “tortelli all’astice” e “grigliate di pesce” a turisti “intenditori” (che salgono fino là per gustare non la montagna ma una mangiata di pesce). Probabilmente, in caso di una futura gita a Jesolo o a Forte dei Marmi, gli stessi chiederanno per pranzo un piatto tipico da mare come “gulasch con polenta” o “canederli allo speck”. Turisti che probabilmente rientrano nelle categorie succitate di richiedenti soccorso. A pensare che, come ripete un amico redattore di questa rivista, che “una volta in rifugio per mangiare la scelta era tra pastasciutta e minestrone”.
TURISMO “DA CANI”
Mai come quest’anno si sono viste tante persone (giovani o anziane che fossero) a spasso tenendo per mano non figli o nipotini (cos’è ormai un “bambino”? una rarità), ma amici cani. 

Sembrava quasi un obbligo, tanto da far pensare “se non hai un cane, non sei nessuno”. E di conseguenza cani anche nelle piste ciclabili, racchiusi e soffocati dentro rimorchietti o trasportini di biciclette (normalmente e-bikes che sembrano delle moto Guzzi) teoricamente studiati per bambini ma che si adattano a (mal) contenere rottweiler, labrador e amici simili. 

Con questi poveri esseri viventi costretti ad una silenziosa tortura, che al passaggio ti guardano tristi e rinunciatari, dicendoti con gli occhi “guarda cosa mi tocca sopportare per tenermi un padrone”.

I MOTOCICLISTI
Ogni giorno sui giornali della zona l’elenco dei decessi e dei ricoveri all’ospedale per incidente: molto spesso, incidente “autonomo” (si usa dire così) ovvero provocato dallo stesso motociclista che perde da solo il controllo del mezzo. 

Generalmente, motociclisti che soffrono di “allergia” collettiva allo stare in fila o ai limiti di velocità (le forze dell’ordine infatti fanno “strike” ogni qualvolta si posizionano per controllo sui passi dolomitici). 

Con conseguente inquinamento acustico (in prima linea le amate moto tipo chopper o con scarichi racing – ma come faranno con le silenti moto elettriche?) deleterio specie verso gli animali selvatici delle vallate. Motociclisti che ricordano i turisti giapponesi di qualche decennio fa, che in una settimana dovevano visitare tutta l’Europa: stamattina a Venezia, pomeriggio a Firenze, domattina a Roma, pomeriggio a Napoli, sera partenza per Parigi etc: e poi a casa a guardare le foto per cercare di capire dove erano stati). 

Un'ultima constatazione.
Non è tanto da preoccuparsi per l’AVANZATA dell’Intelligenza ARTIFICIALE, quanto piuttosto per la RITIRATA dell’Intelligenza NATURALE.