Sri Lanka lucciole a Matara
L’isola, vasta circa un quinto dell’Italia, fino al 1972 si chiamava Ceylon, è s l'ottantacinquesimo Paese che ho conosciuto.
di Renato Ganeo
Associato Federmanager Vicenza
L’Asia “gialla”, specie quella di Sud-Est la conosco piuttosto bene, mentre quella “scura”, cioè il medio-oriente e il subcontinente indiano, molto meno. Per questo ero un pò emozionato sul volo Venezia-Dubai e poi fino a Colombo, capitale dello Sri Lanka.
Sarebbe stato l’ottantacinquesimo Paese che andavo a conoscere. L’isola, vasta circa un quinto dell’Italia, fino al 1972 si chiamava Ceylon, nome datole dagli inglesi dai quali si rese indipendente nel 1948; prima ancora, sotto i portoghesi, era chiamata Ceilão.
Sri Lanka deriva dal sanscrito e significa “isola risplendente”, ma è anche soprannominata, per la sua forma particolare e la vicinanza alla costa indiana, “lacrima dell’India”. All’arrivo all’aeroporto di Colombo, la capitale, i trentadue gradi si sentirono subito e rapidamente sostituimmo gli abiti invernali con maglietta e bermuda che avevamo messo nel trolley a mano.
L’auto dell’hotel, ovviamente con aria condizionata, percorse veloce i 150 chilometri che ci separavano da Matara, la nostra destinazione a sud. L’hotel, situato ai bordi di una spiaggia bianchissima in riva all’Oceano Indiano, era costituito da una dozzina di bungalow immersi in un giardino tropicale sovrastato da palme altissime.
Ogni abitazione era dotata di tutti i confort e fu una bella sorpresa scoprire che sopra il tetto vivevano una famiglia di scoiattoli ed una coppia di pavoni innamoratissimi. Lo spiazzo centrale comprendeva una bella piscina ed il ristorante, dove il pesce (che assortimento!) la faceva sempre da padrone.
Furono giorni di sole e mare, ma anche di puntate nelle località circostanti, prima fra tutte la città di Galle, con la storica fortezza eretta dai portoghesi nel 1600 e completata dagli olandesi dopo averli cacciati. All’interno un reticolo di stradine in un alternarsi di edifici bassi, un tempo poveri ma oggi ben ristrutturati, storici palazzi coloniali, negozietti, caffè e alberghi per tutte le tasche. Qui sono in molti a ricordare al visitatore lo Tsunami del 26 dicembre 2004, tre ondate che causarono 45mila vittime e distrussero un numero incalcolabile di abitazioni.
Matara e la vicina Mirissa sono le località riconosciute quale paradiso dei surfisti ed era bello vedere giovani e meno giovani che si cimentavano con le loro tavole sopra le creste spumeggianti delle onde oceaniche.
Alla sera si andava a letto presto, questi non sono luoghi da movida ed anche gli alcolici (vino e birra inclusi) sono difficilmente reperibili. La sera prima della partenza la natura ci fece un regalo bellissimo, ci trovammo interamente circondati da lucciole, una miriade. Da quanto tempo non ne vedevamo!
Dopo il mare ci spostammo verso le alture dell’interno, dove le temperature sono più fresche, specie alla sera, accompagnate da una gradevole brezza.
Questa è la zona delle piantagioni di thè, forse il prodotto più noto dello Sri Lanka, senza peraltro dimenticare gli smeraldi e gli zaffiri, i vestiti in batik, le spezie o i prodotti della medicina ayurvedica. Scendendo dalla Hill Country (la zona collinare) giungemmo a Kandy, capitale dell’ultimo regno singalese prima della caduta sotto la colonizzazione inglese nel 1815.
Il nostro albergo era posto proprio all’incrocio delle due strade principali, vicino a tutti i luoghi di interesse e in particolare allo Sri Dalada Maligawa, il tempio che custodisce la più preziosa reliquia dello Sri Lanka: un dente di Buddha. Kandy offre una incredibile visione complessiva che potrebbe definirsi anomala dato il luogo; a prima vista viene in mente qualche paesaggio della Svizzera, con il bel lago, la passeggiata sotto gli alberi e le verdi colline circostanti punteggiate di case bianche e su una cima la gigantesca statua del Buddha che veglia sulla città. È la caratteristica di Kandy l’essere così diversa dalla capitale Colombo, piccola ed intima dove tutto e raggiungibile a piedi e alla sera il piacere di gustare un gin and tonic al bar del Queens Hotel, vera icona storica dove l’atmosfera riporta all’epoca coloniale di metà ‘800. I tuk-tuk sono dappertutto, ne fermammo uno per farci portare al Hantane Tea Museum, una tappa imperdibile.
Il vecchio stabilimento, ora museo, che ebbe tra i suoi dirigenti anche Thomas Lipton, un nome che dice tutto parlando di thè. Il piccolo negozio interno fu l’ideale per acquistare confezioni di thè di ogni gusto e misura.
L’ultima tappa del nostro viaggio era prevista a Colombo, distante da Kandy circa 130 chilometri, ma le condizioni della strada (un po’ in tutto lo Sri Lanka) imponevano non meno di tre ore oltre al tempo della prevista sosta a Pinnawala. Là c’è il centro di accoglienza per elefanti malati, feriti, molto vecchi o cuccioli abbandonati. L’area ha una superficie di circa dieci ettari tra jungla, prati e un lungo tratto di fiume e vi sono mediamente ospitati poco meno di cento elefanti. Il centro, nato nel 1975 ha fino ad oggi salvato e rimesso in libertà centinaia di elefanti, ma vi sono voci critiche che lo accusano di essere divenuto un’attrazione turistica.
È vero che si paga un biglietto d’ingresso, che c’è un albergo, bar e ristorante oltre a negozi di souvenir, ma non sembra che gli elefanti soffrano perché attorno gira un po’ di economia e va ricordato che la gestione della struttura costa molto e da qualche parte i soldi devono arrivare. Noi ne conserviamo comunque un bel ricordo, anche fotografico.
Ci accolse infine Colombo che è grande, ma non una megalopoli come altre capitali asiatiche, il traffico però è decisamente caotico, ma i piccoli tuk-tuk a tre ruote passano dappertutto e sono la scelta ideale. Non esiste un vero centro, l’asse portante è su Galle Road, la strada litoranea che va dall’area del vecchio forte coloniale, ora completamente portata a nuovo, fino al quartiere satellite di Mount Lavinia, alcuni chilometri a sud.
Alloggiamo in un albergo ricavato da una vecchia villa, confinante con l’ambasciata italiana, con sei stanze enormi, un giardino stupendo con piscina e intorno dei gazebo dove veniva servita la colazione. Il primo orientamento lo facemmo con un tour di due ore su di un autobus rosso a due piani, noto come hop-on hop-off, ovvero sali e scendi quando vuoi nel corso dell’intera giornata. Questo ci servì a mettere a fuoco i punti di interesse da approfondire e che segnammo su una mappa della città.
Nei giorni successivi ci servimmo sempre di tuk-tuk, visitando luoghi, monumenti e parchi di cui la città è ricca, fermandoci a pranzo e a cena dove ci capitava e gustando piatti delle cucine più diverse, con prudenti assaggi di quelli al curry, forse troppo piccante per i nostri gusti.
Anche lo shopping ci prese tempo, non acquisti importanti, ma piccole e numerose cose da regalare agli amici, oltre all’irrinunciabile quadretto per la mia collezione.
Il nostro volo di ritorno verso Dubai decollò alle due di notte e mano a mano che il grosso Boeing 777 si alzava le luci di Colombo divenivano sempre più piccole, fino ad apparirmi proprio come le migliaia di lucciole di Matara, in riva all’Oceano Indiano.
24 maggio 2024