I Miti e le idee sbagliate che frenano l’economia
Questo il titolo dell’articolo di Roger Abravanel per il Corriere della Sera di domenica 24, che ritiene assolutamente necessario cambiare il paradigma per evitare di perdere le opportunità della rivoluzione economica del digitale.
Franco Del Vecchio
Consigliere ALDAI-Federmanager - franco.del.vecchio@tin.it
Cliccando “I Miti e le idee sbagliate che frenano l’economia” è possibile leggere la versione digitale dell’articolo che richiama l’opinione pubblica e la dirigenza del Paese alla responsabilità sugli aspetti che determineranno il nostro futuro, piuttosto che crogiolarsi su idee e miti che frenano l’economia e lo sviluppo sociale.
Come nell’articolo “Non si guarisce la polmonite con l’aspirina”, nel quale ho riportato l’analisi del Prof. Dominck Salvatore, Abravanel ricorda le potenzialità del Paese che meritano una crescita ben superiore agli zero virgola e una posizione prossima ai fanalini di coda europei.
Un articolo che merita la lettura e la riflessione perché c’è molto da imparare e disintossicarsi dalle Fake News che circolano in abbondanza.
È arrivato il momento di guardare la realtà per cercare senza tanti alibi, nel patrimonio di cultura professionale e d’impresa che ci distinguono e ci fanno apprezzare, le risorse per competere nel contesto europeo e internazionale. La dirigenza costituisce un capitale umano di competenze, valori e logiche meritocratiche utili al rilancio. Anche i pensionati attivi possono contribuire con adeguati programmi di "long life working".
Guardare in faccia alla realtà non vuol dire passare da un "opinion leader" all’altro, ma seguire un proprio ragionamento e costruire un proprio pensiero.
Nell’articolo di Abravanel ci sono molti spunti interessanti, condivisibili e ci sono al tempo stesso tre aspetti che meritano approfondimento.
Che la spesa pubblica italiana sia comparabile ad altri Paesi ho qualche dubbio, a prima vista e in termini percentuali forse, ma se consideriamo gli investimenti utili a sviluppare efficienza e competitività del sistema Paese ho forti dubbi, sia perché in Italia non si investe seriamente da decenni in infrastrutture, sia perché le infrastrutture in Italia continuiamo a pagarle, mentre in altri Paesi sono gratuite, come ad esempio in Germania le autostrade. Se facessimo i conti delle tasse e delle spese per l’utilizzo dei servizi pubblici, perderemmo il confronto con gli altri Paesi europei. La digitalizzazione ha aumentato l’efficienza e la produttività di numerose volte, penso almeno dieci volte nel mio caso. Conoscendo i sacrifici delle imprese private e dei loro dipendenti, in alcuni casi fino a perdere il posto di lavoro, penso necessario un equo impegno di tutti per l’efficienza e la competitività del sistema Paese.
Il secondo aspetto che merita riflessione è il contributo della attività produttive al PIL. In Italia non abbiamo petrolio e nemmeno altre materie prime da esportare. La cosiddetta valuta pregiata arriva dall’estero per la vendita di prodotti agricoli, prodotti industriali e turismo, ma il terziario, importantissimo per l’economia del Paese, non genera export rilevanti. I servizi aumentano in tutti i Paesi se funzionano le attività produttive che generano lavoro che alimenta il terziario e i servizi un tempo gestiti all’interno delle imprese. Quindi pensare di sostituire l’economia dell’industria 4.0 con una economia di soli servizi potrebbe rivelarsi una pericolosa utopia. Ciò non esclude però il dovere di conseguire migliori risultati con il turismo perché non è accettabile essere superati da Spagna, Francia, Grecia e Berlino con più turisti di Roma.
Terzo aspetto è il desiderio di avere in Italia un maggior numero di grandi imprese, assolutamente condivisibile, ma per conseguire tale risultato bisogna associare alla volontà una coerente politica industriale di lungo periodo offrendo condizioni di tassazione e semplificazioni nei rapporti di lavoro che possano attrarre investimenti internazionali. Fino ad oggi è accaduto l’esatto contrario. Quarant’anni fa l’Irlanda e la Sardegna erano note per gli allevamenti di pecore e il reddito pro-capite fra i più bassi d’Europa, con tutto il rispetto per la Sardegna e per l’Irlanda. Con un piano ambizioso di lungo termine l’Irlanda è diventata un punto di riferimento per le multinazionali Hi-Tech, ora con un reddito pro-capite fra i più alti d’Europa. Da Fiat a FCA e poi l’accordo con PSA rappresenta un significativo caso di allontanamento dall’Italia delle grandi imprese al quale si aggiungono le delocalizzazioni di molte altre; risultato della mancanza di politica industriale; una beffa per il patrimonio di genialità leonardesca del Paese oppresso da mancanza di lungimiranza.
Per dare una svolta radicale e concreta c'è bisogno di molti giovani Abravanel.
01 dicembre 2019