Impiantistica, questa sconosciuta
Le 5.000 società del settore impiantistica sviluppano un fatturato di 190 miliardi di € e rappresentano, con l'11% del PIL, un settore essenziale per l'economia del Paese. Il convegno ANIMP ha delineato le nuove priorità per l’industria dell’energia e la necessità di un piano industriale.
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del comitato di redazione Dirigenti Industria
Il Convegno della sezione componentistica di ANIMP, la cui 25a sessione si è tenuta presso Assolombarda il 15 ottobre 2019, costituisce da sempre il momento in cui le imprese del settore si ritrovano per condividere la situazione e le prospettive di mercato, elaborate e presentate da Daslav Brkic Consulente, DB Business Development e Giacomo Franchini Direttore SupplHi.
Anche quest’anno l’evento è stato caratterizzato da una partecipazione ampia e qualificata e da una disamina approfondita dello “stato dell’arte”. In questo momento storico, con la crescita della sensibilità ambientale e la caduta tendenziale del prezzo del petrolio, i grandi progetti chimici, petrolchimici ed energetici vedono il progressivo evolvere verso il tramonto del carbone e la sostituzione dello stesso petrolio con il gas naturale, in parallelo con lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
Le dimensioni del settore
È forse utile ricordare ai non addetti ai lavori che, quanto a dimensioni, l’impiantistica pesa complessivamente per l’11% del PIL italiano, e costituisce un settore primario ed essenziale della nostra economia. Facciamo qualche semplice comparazione:
- l'Italia è nota al mondo per il patrimonio artistico e 358 musei occupano poco più di 100 mila persone e generano € 27 miliardi di fatturato;
- la moda occupa circa 500 mila addetti e genera € 78 miliardi;
- l'industria agro-alimentare occupa circa 385 mila addetti e genera € 132 miliardi;
- quanti sanno che le aziende dell'ingegneria impiantistica occupano 332 mila persone in Italia, complessivamente circa 600 mila nel mondo, generando € 190 miliardi di fatturato? Un settore nel quale le imprese italiane hanno sviluppato competenze distintive che merita salvaguardare e valorizzare.
Lo scenario
Le proiezioni dei fabbisogni energetici indicano sinora una crescita costante, superiore al 15% ogni 10 anni, che porterà nel 2040 a raddoppiare la produzione di energia rispetto al 2000. Il petrolio, che rappresenta la maggiore fonte di energia, perderà di importanza relativa e la percentuale scenderà dall'attuale 33% al 27% circa nel 2040. Più drastica la caduta di rilevanza del consumo di carbone che passerà dal 27% al 20% circa. Nello stesso periodo è invece prevista una crescita del gas dal 23% al 26% circa dei consumi. Stabili le fonti energetiche nucleare e idroelettrica al 5% e 7% circa rispettivamente. Nel contempo invece si assisterà alla crescita delle energie rinnovabili dal 5% al 15% circa entro il 2040. Ma questo trend di crescita ininterrotta è oggi messo in dubbio e alcuni ipotizzano che si raggiunga un picco nella domanda di energia, a cui farebbe seguito una fase di stabilizzazione e addirittura di caduta dei consumi globali.
Nell’immediato si assiste, dopo il difficile biennio 2016-17 ad una certa ripresa degli investimenti energetici (il cosiddetto CAPEX, Capital expenditure). Ma la dimensione media dei progetti è in fase di significativa contrazione, drastici sono i recuperi di efficienza richiesti, più stringenti i vincoli normativi e in particolare ambientali.
Se petrolio e materie plastiche hanno costituito i motori della seconda metà del Novecento, e con loro l’automobile individuale la chiave di lettura di quel periodo storico, oggi è evidente il cambio di paradigma.
In Italia tra pochi anni difficilmente avremo ancora un parco di oltre 30 milioni di auto private, parcheggiate ferme ad arrugginire per il 95% del loro tempo di vita. Certamente siamo agli inizi di una “transizione energetica” i cui impatti sulle abitudini della vita quotidiana, sui consumi, sul lavoro stesso, sono difficili da prefigurare compiutamente. La stessa urbanistica e la forma dell’abitare non saranno più le stesse.
Tutto questo impatterà pesantemente sull’industria impiantistica, costringendola ad ulteriori sempre più rapide trasformazioni. E’ facile dunque preconizzare che la capacità di navigare in acque tempestose e mutevoli diventerà sempre più essenziale per tutti gli attori.
Le nuove sfide
Gli investimenti dunque sono condizionati da vincoli economici, tecnologici e temporali sempre più stringenti. E’ fortemente cresciuto il rischio, dando origine ad una vera e propria disciplina di “risk management”, divenuta essenziale come mai prima.
In parallelo, anche a causa dei margini più ridotti, si è assistito ad un certo impoverimento “culturale” del settore: se negli ultimi decenni del Novecento questo dell’impiantistica era un contesto innovativo largamente ambito dalle giovani generazioni, si direbbe che oggi abbia per così dire perso di appeal e che molte competenze, giunte alla fine del loro ciclo professionale, stentino ad essere adeguatamente sostituite, almeno nei paesi europei, e in particolare in Italia.
Abbiamo dunque bisogno di alimentare il personale competente e di arginare la "fuga di cervelli".
Siamo l'unico paese europeo con un saldo negativo di tre mila dottorati PhD. Il 63% dei giovani impegnati all’estero non è interessato a tornare in Italia, anche a causa del ritardo nel digitale e dell’insufficiente impegno in Ricerca e Sviluppo.
La formazione di laureato costa circa 300 mila euro e gli emigrati rappresentano un perdita di circa € 14 miliardi di ricchezza per il paese corrispondenti a 1% del Pil.
Abbiamo bisogno di politica industriale e lungimiranza
Morale della favola …
Dovendo trarre qualche conclusione dall’evento dell’Animp, non si può non rilevare come questo comparto, ancorché piuttosto misconosciuto, rimane centrale ed insostituibile per il paese. Le aziende dell'impiantistica hanno compiuto un radicale sforzo di recupero di competitività, uno sforzo che ha causato in molti casi “lacrime e sangue”, ma che ha permesso di mantenere significative posizioni di mercato. La sfida è ora quella di garantire la continuità di medio termine, e questo implica forte determinazione imprenditoriale.
E qui si pone il tema delle risorse umane: i giovani tecnici devono essere formati ed accompagnati nel loro cammino professionale, magari riscoprendo quella fedeltà aziendale che molti hanno invece troppo frettolosamente dimenticata. Non sempre il mercato è in grado di surrogare professionalità interne che possono rivelarsi quasi insostituibili.
Su questa rivista poi non possiamo non richiamare il valore delle nomine dirigenziali, che hanno segnato per molti il raggiungimento di una meta esistenziale insostituibile.
Bisogna dare atto all’amico Marco Pepori, delegato della sezione componentistica e storica bandiera di Animp, vero e proprio motore di questo ormai classico convegno annuale, che il lavoro di promozione e confronto da lui sviluppato negli anni è stato davvero prezioso: si ha tuttavia la sensazione che la sua sia un po’ “vox clamantis in deserto”, stante la difficoltà a creare le necessarie sinergie nel comparto.
Si tratterà infatti di ragionare maggiormente in termini di filiera, orientandosi verso quei rapporti di partnership tra imprese complementari del settore di cui tutti continuano a parlare ma che ben pochi praticano con convinzione. “Mors tua vita mea” non funziona bene: alla fine ci si aggira tra rovine, e alla lunga non sopravvive più nessuno.
01 dicembre 2019