Nebbia in Valpadana
Convegno ANIMP: l’impiantistica italiana si confronta con i problemi di una fase complessa
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI Federmanager
Il più tradizionale e riconosciuto evento milanese sull’impiantistica oil & gas e industriale, organizzato con la consueta intelligenza e passione dal Vice Presidente di Animp e Consigliere Aldai Marco Pepori, nel 2017 ha cambiato nome.
Se infatti normalmente il suo titolo si riferiva alle “Previsioni di mercato” del settore, quest’anno ci si è limitati ad un più generico “Trend di mercato”: la cosa non è casuale.
Il mondo dei grandi progetti internazionali, “EPC” (Engineering, Procurement, Construction) per gli addetti, sta vivendo una fase non facile: la prolungata caduta del prezzo del petrolio, le turbolenze internazionali, la crescente sensibilità ambientale, insomma tutti gli elementi che caratterizzano la presente congiuntura mondiale non aiutano a prefigurare distintamente il futuro del settore.
Daslav Brkic, che sempre fornisce un quadro di grande lucidità sul contesto del mercato, valuta il momento presente attraverso la metafora del “bicchiere mezzo pieno”, il che si configura come un modo elegante per classificare una fase di grande incertezza.
Partendo dal settore dell’estrazione on-shore ed off-shore, il basso prezzo del petrolio ha determinato una forte caduta degli investimenti e la conseguente riduzione di numero, e soprattutto di dimensione, dei progetti. I cosiddetti “megaprogetti”, lavori superiori ai 5 miliardi di dollari, non sono più “di moda”: troppe le difficoltà di gestione, i ritardi e gli extra-costi fuori controllo per la presente epoca di ristrettezze.
Stessi problemi per la raffinazione petrolifera, dove gli impianti, spesso obsoleti e problematici dal punto di vista ambientale, attendono da tempo interventi di ristrutturazione che li adeguino alle nuove esigenze.
Prosegue nel suo cammino il settore petrolchimico, ma anche qui sono lontani i tempi dello sviluppo irrefrenabile. Le plastiche poliolefiniche rimangono un settore essenziale per dimensione ed impegno tecnologico, ma le iniziative che procedono si sono ridotte, gli impianti di fertilizzanti azotati trovano limiti di sovracapacità dopo decenni di sviluppo. Nel gas ci sono meno progetti grandi ed anche gli impianti di liquefazione e rigassificazione sembrano segnare il passo.
Così, si direbbe che anche per i maggiori attori nazionali del settore, in ordine alfabetico Maire Tecnimont, Saipem, Technip FMC e Wood, che ha comprato recentemente AMEC Foster Wheeler, la visione prospettica del futuro sia sempre più difficoltosa. Saipem non ha cambiato nome, ma ha modificato l’organizzazione in cinque divisioni e GE Oil&Gas/Nuovo Pignone adesso si chiama BKGE cioè Baker Hughes a GE Company e la sede si sposta a Houston.
Queste grandi aziende possono mostrare soddisfazione per un carico di lavoro più o meno accettabile e in qualche caso addirittura eccellente, ma nessuna di esse sfugge al clima di generale incertezza.
E’ la prima volta che si parla di difficoltà a trattenere il personale specialistico anche per problemi contrattuali e che la formazione dei tecnici è sempre più un problema di difficile soluzione. Nel mercato internazionale, venute meno per ragioni diverse aree un tempo trainanti, la Cina, l’India, lo stesso Medio Oriente del Golfo, le regioni più promettenti come Russia ed Iran trovano limiti nelle politiche di sanzioni: l’America Latina è ricaduta in una delle sue ricorrenti crisi locali, forse con l’eccezione di un qualche fervore in Messico. Qualcuno rincorre, anche con successo, progetti negli Stati Uniti, l’area storicamente più rischiosa, caratterizzata dal più feroce protezionismo a livello mondiale.
Più in generale, crescono le esigenze di dare ai progetti un contenuto locale di peso crescente che rafforza la necessità, estesa anche a componentisti e sub-contractors, di costituire specifiche società produttive in loco.
Si direbbe che l’EPC, come alcune persone, stia passando quella fase della vita in cui la raggiunta maturità sembra richiedere l’individuazione di nuovi settori di impegno e nuove mete esistenziali.
Queste, per ora, appaiono abbastanza avvolte nella nebbia. Detto del settore oil & gas, non è che i settori adiacenti forniscano prospettive brillanti.
Nel campo energetico la diffusione delle energie rinnovabili non può fornire occasioni di lavoro significative: si tratta di un settore a contenuto tecnologico sostanzialmente basso (questo vale sia per il fotovoltaico che per l’eolico) , con impianti piccoli e delocalizzati. Qualcuno attende un risveglio del settore nucleare, ma questo appare sempre più problematico e probabilmente destinato al tramonto.
La crescita delle rinnovabili ha anche mandato in crisi gli impianti turbogas a ciclo combinato, costretti ad una complicata marcia a singhiozzo, mentre gli impianti a carbone, pure destinati ad una lunga permanenza in attività, trovano crescenti limitazioni ambientali.
Qualcuno guarda con interesse alle “bioraffinerie”, ovvero alla produzione di carburanti liquidi di origine vegetale, ma si tratta di impianti di limitatissime dimensioni, la cui realizzazione è vincolata al permanere di robuste sovvenzioni pubbliche, e che comunque costituiscono solo una piccola nicchia di mercato..
Pensando all’isola delle plastiche nel Pacifico, centinaia di milioni di tonnellate di polimeri non degradabili flottanti a tempo indeterminato , forse avrebbe senso prepararsi alla riconversione ecologica del mondo, alle tecnologie di chiusura del ciclo dei rifiuti ed alla loro trasformazione da problema in risorsa. Potrebbe essere il settore di domani, ma anche questo è vincolato a strategie pubbliche e di lungo termine che si fa fatica a scorgere, sia a livello internazionale che, tantomeno, in Italia.
In questo contesto non proprio esaltante si aggiunge un altro tema significativo: si direbbe che i giovani guardino ormai all’impiantistica con un interesse assai minore rispetto al passato, per cui diventa sempre più difficile il ricambio generazionale delle competenze. Chi scrive ricorda come negli anni ottanta, posti di fronte alla necessità di studiare uno zuccherificio da canna, non fossero disponibili sul mercato che pochissimi ultra-sessantenni inglesi ed olandesi, fortemente vocati allo spirito di-vino, ultimi testimoni esperti di un settore al tramonto.
Così oggi i contractors lamentano la crescente difficoltà a reperire giovani tecnici motivati, disponibili a crescere nel settore, e quella ancora maggiore nel fidelizzarli e trattenerli in azienda per i tempi necessari allo sviluppo di professionalità adeguate. Nella mobilità degli specialisti sempre più ci ci stiamo avvicinando agli Stati Uniti, pur non avendo un mercato del lavoro comparabile.
Qui forse potrebbe aiutare una visione più legata al nostro associazionismo sindacale: se si considerano le persone come numeri, se si rinuncia alla difesa di storiche culture aziendali, se ci si affida ad una arcigna gestione delle risorse umane in pura logica di contenimento dei costi, se si trascura persino il gratuito rapporto con i propri pensionati, non ci si deve poi stupire, in aziende in cui il principale asset è la competenza delle persone, che queste vivano in modo precario ed esclusivamente utilitaristico il proprio lavoro.
Prepariamoci dunque, almeno per dirigenti ed alte professionalità ma non solo, a ricordare che il loro costo economico è un investimento: se qualche spirito ameno ritiene per esempio che sia essenziale “ridiscutere per cancellare l’indennità di trasferta”, queste alzate d’ingegno vanno respinte.
Verrebbe da ricordare che “Chi semina vento, raccoglie tempesta“; già il supporto delle istituzioni sui temi dell’impiantistica è insufficiente, se poi le stesse imprese del settore perdessero attenzione su questi temi il rischio è che si contribuisca a distruggere un comparto essenziale per la tanto evocata internazionalizzazione del paese.
01 dicembre 2017