Cosa pensa la dirigenza della meritocrazia
La meritocrazia non fa parte del patrimonio culturale del Paese, all'ultimo posto della classifica europea secondo il "Meritometro". Per risalire la classifica è utile parlarne, condividere la percezione dei manager e sviluppare un dialogo con le rappresentanze datoriali per delineare insieme i rapporti di lavoro che permettano di valorizzare il Capitale Umano, il petrolio del XXI secolo.
Cosimo Finzi
Direttore AstraRicerche
Tra marzo e l’inizio di maggio 2020 AstraRicerche ha condotto un’ampia ricerca quantitativa per CIDA coinvolgendo più di 1.600 managers in Italia (per il 69% dirigenti, per il 14% quadri e per la restante parte liberi professionisti o in altre situazioni lavorative). Hanno risposto soprattutto dirigenti associati a Federmanager (21.9%), Manageritalia (43.7%) e, nella parte della Pubblica Amministrazione (che include i Dirigenti scolastici), gli associati a FP CIDA (17.1%).
Il ruolo aziendale (solo nel caso della dirigenza del ‘privato’) è molto vario: 31% general management, 23% commerciale/vendite, 13% produzione/logistica, 13% human resources/amministrazione/finance, 5% marketing/comunicazione. La componente femminile è ben rappresentata (29%) ed è ottimo il bilanciamento tra le aziende straniere (49%) e quelle italiane (51%, con il 35% di aziende nazionali e il 16% di multinazionali italiane). Anche la dimensione aziendale (come fatturato o come numero di lavoratori in Italia) mostra una positiva varietà: ad esempio il 22% ha meno di 50 lavoratori mentre il 29% più di 1.000.
La meritocrazia in Italia: opinioni e valutazione
La meritocrazia è tema rilevantissimo secondo gli intervistati, ma emergono da subito criticità – anche gravi – in Italia: per tre intervistati su quattro (74.5% - con un picco all’81% presso gli under40) nel dibattito pubblico si parla troppo poco di merito e meritocrazia, mentre ben l’82.8% ritiene che il merito non sia tenuto in sufficiente considerazione (presso i dirigenti della Pubblica Amministrazione (PA) si sale al 93%) tuttavia è un tema talmente rilevante e giusto che andrebbe insegnato già ai più piccoli (94.0%).
L’affermazione che più divide il campione è “una rivoluzione meritocratica è possibile da qui a 5-6 anni in Italia”: per il 30.3% è vero (molto o abbastanza), per il 35.4% - al contrario – sembra non esserci alcuna prospettiva positiva (concordano poco o per niente con l’item proposto) e il restante 34.2% indicano un moderato “così così”. Eppure, la svolta meritocratica dovrebbe essere una priorità dei governi nazionale e locali (93.8%, con il 65,1% che indica ‘molto’) anche perché il Paese avrebbe un miglior sviluppo economico e sociale (lo pensano quasi tutti – 97.4% - con ben il 74.4% che sceglie ‘molto’).
Perché non si diffonde se è così importante e utile?
Perché porterebbe svantaggi a chi è avvantaggiato dalla sua debolezza attuale (84.2%), per la presenza di reti informali di tipo familistico o relazionale (79.8%) e – meno – perché spaventa gran parte della popolazione, che si sentirebbe svantaggiata in un contesto ‘sfidante’ (59.9%).
Certo, non mancano le possibili negatività associate all’utilizzo diffuso di criteri meritocratici: per un intervistato su due (50.1%) la meritocrazia rischia di favorire chi parte da posizioni di vantaggio perché è più facile diventare eccellenti in un contesto fertile (ad esempio a livello culturale o economico). E non mancano neppure le negatività sull’applicazione attuale dei principi meritocratici nelle realtà private e in quelle pubbliche: secondo l’84.4% non è del tutto applicato nella PA, secondo il 57.6% anche nel privato la regola è la scarsa valorizzazione del merito, anche se è chiaro a tutti (95.5%) che una organizzazione – pubblica o privata – meritocratica attrae e conserva al suo interno i talenti e ha possibilità di vincere le sfide di business più di quelle che sfruttano il networking non meritocratico (86.3% - anche se tra gli under40 la percentuale scende al 79%).
Per applicare correttamente principi meritocratici serve impegno e intelligenza: per il 74.1% un limite è la mancanza di cultura in merito da parte del top management, per il 58.6% ci si scontra con la mancanza di strumenti di misurazione/valutazione davvero validi, per il 37.1% è quasi impossibile definire MBO corretti per alcune funzioni/ruoli, per il 32.6% un rischio concreto è quello di focalizzare l’attenzione dei lavoratori sugli obiettivi premianti e non sull’interesse generale dell’azienda e, infine, per il 30.5% la definizione dei MBO crea tensioni interne all’azienda. Tanti “ma” non cambiano l’idea ampiamente condivisa: per l’89.5% il concetto di MBO andrebbe esteso nelle aziende e nelle organizzazioni pubbliche il più possibile e non prevederlo è una grave mancanza (89.4%) anche perché aiuta a migliorare la partecipazione, i risultati del team e dell’intera organizzazione.
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Ma quanto è applicato il concetto di MBO attualmente?
Quasi due terzi degli intervistati hanno un MBO (66.2%), con forti differenze tra i sub-campioni, innanzitutto tra Privato (73%) e Pubblico (45%), ma non solo: molto di più per i dirigenti giovani (fino ai 50 anni è il 74%), per chi - nel privato - lavora nel commerciale/vendite (78%) o come general manager (73%), presso gli uomini (71% - con le donne ‘ferme’ al 55%).
Molti dirigenti hanno avuto esperienza di MBO nell’azienda in cui sono attualmente o in aziende precedenti (19.0%) mentre il 14.8% non ne ha mai avuto esperienza diretta (45% nella PA, 7% nel Privato).
Tra chi attualmente ha un rapporto di lavoro che non prevede MBO solo l’11.1% preferirebbe restare nella situazione attuale.
Gli obiettivi
Concentriamo la nostra attenzione su chi attualmente ha una retribuzione variabile/MBO.
A proporre gli obiettivi è quasi sempre l’azienda (solo per il 18.9% degli intervistati è il dirigente): in metà dei casi (40.6%) definendoli unilateralmente, nell’altra metà (un identico 40.6%) discutendoli e quindi co-decidendoli con il diretto interessato. Nel Privato la co-decisione (45%) è molto più diffusa che nel Pubblico (18%) dove, invece, prevale nettamente la decisione dei superiori (66%) senza discussione. Nelle aziende nazionali c’è una maggiore apertura al confronto (o persino alla proposta da parte del dirigente) rispetto a quelle multinazionali. Il dirigente è primo propositore degli obiettivi soprattutto nelle aziende con fatturato minore (fino a 10 milioni €).
Gli obiettivi da raggiungere sono molto difficili, particolarmente sfidanti per il 10.8% dei rispondenti; per quasi due terzi sono difficili (65.1%) mentre per uno su quattro sono abbastanza facilmente raggiungibili (22.7%) o persino molto facili da ottenere (1.4%). Anche in merito a questa domanda le differenze tra Pubblico e Privato sono notevoli: nel pubblico quasi un intervistato su due ritiene gli obiettivi facilmente raggiungibili, nel privato meno di uno su cinque.
D’altra parte, secondo il 12.0% la misurazione del raggiungimento degli obiettivi è essenzialmente soggettiva e un ulteriore 28.0% dice che è intermedia tra soggettività e oggettività; di nuovo, il Pubblico ha percentuali molto diverse dal Privato: nella PA, infatti, la soggettività arriva al 28% e il mix soggettivo-oggettivo supera il 40%.
Il peso degli obiettivi individuali mediamente è inferiore alla metà (41.4%) del totale: la restante parte è più relativa all’intera organizzazione (mediamente 35.5%) che al team/funzione/divisione (23.1%). Ma anche in questo caso si hanno soluzioni molto differenti, basti pensare che il 10.8% degli intervistati è valutato solo in merito a obiettivi individuali e, al contrario, l’8.0% solo in base a obiettivi aziendali. Nella PA gli obiettivi individuali contano molto più rispetto al mondo del ‘privato’.
Il tipico periodo di valutazione è quello annuale (mediamente conta per il 71.4% dell’MBO) seguito dal breve termine (media: 18.2%) mentre il lungo termine si ferma al 10.1%.
Quasi un intervistato su due (46.6%) ha definito l’MBO dopo l’inizio del periodo di riferimento, ma di solito è stato almeno definito un perimetro chiaro per l’applicazione dell’MBO (‘molto’ per il 35.5%, abbastanza per il 43.9%: più del 20% lamenta una definizione non chiara).
Per poco meno di un rispondente su due (47.8%) tra gli obiettivi non c’è il miglioramento delle competenze; quando c’è si tratta spesso di soft skills: 33.8% personali e 29.5% del team; ‘pesano’ molto meno le hard skills: 19.9% personali e 19.3% del team. Da notare che il miglioramento delle soft skills personali è molto più indicato nella PA (46%).
L’MBO
Il valore dell’MBO è considerato adeguato agli obiettivi da raggiungere (65.5%) e un effettivo incentivo per l’impegno (65.6%). Non mancano i dirigenti che criticano il valore dell’MBO: per il 18.8% non è un vero sprone a dare il massimo. Sotto questo aspetto la differenza tra il privato (72% di apprezzamento) e il pubblico (28%) è davvero enorme.
Spesso al raggiungimento degli obiettivi si ottiene un variabile compreso tra il 20% e il 39% della retribuzione fissa (54.2% del campione) o inferiore (33.9%); la media è il 23.6% del ‘fisso’.
In realtà l’MBO è spesso (65.6%) a scaglioni (non “on/off"): per il Pubblico, al contrario, predomina nettamente il modello “tutto o niente” (63%).
L’MBO è ‘aggiornabile’ se il contesto muta: è avvenuto per il 31.0%, è previsto che sia modificabile (ma non è stato modificato) per un ulteriore 27.2%. Per il 41.9% non è modificabile (e la percentuale sale al 62% presso i dirigenti della Pubblica Amministrazione).
Negli ultimi due anni mediamente sono stati ottenuti i due terzi del valore dell’MBO corrispondente al raggiungimento del 100% degli obiettivi (ma la varietà è altissima: il 40% dei dirigenti ha ottenuto il 100% o più dell’MBO stabilito, il 33% meno del 50% del valore-target).
Proposte
Fra le proposte dei manager per rendere più efficace il riconoscimento del merito:
- Valutarlo in maniera più oggettiva tramite KPI
- Trasparenza nei criteri di valutazione
- Estendere il più possibile il riconoscimento del merito anche ai livelli più bassi: il ritorno per l'azienda sarebbe puntuale
- Maggiore cultura manageriale orientata al riconoscimento del merito
- Far comprendere agli imprenditori che la meritocrazia, oggettivamente misurabile, migliora il rendimento delle persone e delle performance aziendali
- Non solo MBO, ma anche percorsi di carriere con opportunità di crescita
- Dare seguito alle valutazioni con percorsi formativi ad hoc sulla base dei punti di debolezza riscontrati
- Avere obiettivi chiari, realmente perseguibili, comunicati per tempo e non variabili in corso d'opera
Conclusione
Questa la percezione della dirigenza. Un Paese competitivo ha bisogno di maggiore cultura manageriale per misurare in modo efficace i risultati dei rapporti di lavoro, meno sulle ore lavorate e più sui risultati attesi.
08 giugno 2020