Internazionalizzazione, innovazione e sostenibilità, aspettando la ripresa
Intervista ad Anna Lanzani, Socia ALDAI-Federmanager, 43 anni, dopo un’esperienza quasi ventennale in aziende leader internazionali del largo consumo che l’ha portata a lavorare, vivere e studiare in Europa, Asia e America, nel 2019 ha aperto uno studio di consulenza in internazionalizzazione e innovazione. Tra i progetti futuri, un possibile ritorno in Europa
Internazionalizzazione e innovazione: queste sono state le parole chiave della sua carriera. Oggi si può dire siano ‘di moda’?
In realtà credo che questi fattori siano importanti da anni. O meglio, da secoli. Il “genio italiano” ha sempre dato il meglio di sé quando ha trovato una certa spinta verso l’estero, fonte appunto di ispirazione e innovazione. Speriamo di essere agli albori di una nuova ondata espansiva, di una prosperità sostenibile e concreta.
Da quanto tempo si occupa di mercati internazionali?
Da prima della laurea. Ho studiato economia e gestione delle imprese a Pavia, Strasburgo e New York. E dopo, già lavorando, ho avuto la possibilità di specializzarmi a Londra, Singapore e Buenos Aires. All’Università di Pavia, e ai suoi collegi, erano legati anche mio padre e la sua famiglia; già nella chiesa del Carmine ci sono le opere quattrocentesche di un Bernardino Lanzani di San Colombano, ma io desideravo vedere anche “un po’ più in là”. Con l’appoggio dell’Università e del Collegio Nuovo ho potuto completare gli studi di “International Management” alla Grande Ecole dell’Università di Strasburgo, dove mi sono diplomata. Ho scritto la tesi frequentando il Baruch College di New York. Negli anni successivi ho potuto realizzare un mio sogno e lavorare per una grande marca del Made in Italy sui mercati internazionali: Bruxelles, Londra, Tokyo, Pechino, Shanghai, Sydney, e poi anche l’India e il Sudafrica. Nel 2013 sono stata chiamata a fare il direttore marketing di un gruppo food “multilatino” e mi sono trasferita in Sud America.
C’è un “filo conduttore” in questi 20 anni di lavoro?
Certo. In un processo di innovazione, è appunto grazie a un metodo e una meta che il caos creativo diventa humus produttivo. Mi sono sempre occupata di marketing, innovazione, comunicazione prevalentemente in contesti internazionali, per sedici anni all’ interno di grandi aziende e più recentemente, da quando lavoro come consulente, con una maggior varietà di soggetti sia privati che istituzionali. Ora collaboro anche con diverse università. In questo ambito ho approfondito in particolare - ma non esclusivamente - le tematiche del food e della promozione del Made in Italy.
Peculiarità e chiavi di successo in America Latina?
Questa regione nasconde insidie specifiche. Rispetto per esempio alla Cina o alla Russia, più apertamente impenetrabili, l’America Latina sembra a portata di mano, ma è solo una parvenza. Ogni Paese dell’area presenta peculiarità legali, logistiche, produttive ma anche profonde differenze politiche sociali e valoriali. È indispensabile appoggiarsi a esperti della zona. Esportare è un lavoro ben più sofisticato che cercare di smaltire all’ estero quel che non va sul mercato locale. I consumatori, anche nei Paesi emergenti, hanno una loro complessità che va studiata, sempre alla ricerca di opportunità.
Punti di vista sul Made in Italy?
Marca portentosa, può veicolare valori di innovazione e sostenibilità. Tracce di tradizionalismo in alcuni contesti rischiano di impedire alla Marca Paese di evolversi. Bisogna accompagnare le aziende, soprattutto le meno attrezzate ai linguaggi del marketing. Anche sul target c’è un gran lavoro da fare. Gli “Italy Lovers”, i nostri consumatori potenziali, sono spesso trattati come stolti da rieducare invece che come una meravigliosa fonte di ispirazione e innovazione. Pretendiamo che i cinesi, oltre a un pacco di pasta da mezzo euro, si comprino anche un pentolone da 10 litri d’acqua per cuocerla. Ci scocciamo con i brasiliani che mangiano panettone “nel mese sbagliato” e con i giapponesi che non amano i formaggi. Forse un ribaltamento di prospettiva ci farebbe arrivare ad un bacino di clienti immenso, con prodotti anche nuovi. Senza perdere il nostro posizionamento, che è quanto di più prezioso ha una marca.
Parlando di Italy Lovers, lei lavora molto con le scuole di lingue.
Si, penso ci siano grandi sinergie nella promozione delle nostre eccellenze. Gli studenti di Italiano sono i primi fan del nostro lifestyle e chiedono ben di più che corsi di grammatica. Le scuole di lingue, anche quelle private, si stanno attrezzando per questo. Per esempio, nei giorni scorsi ho concluso un ciclo di lezioni sul cibo italiano all’università di Novosibirk, in Siberia: gli studenti erano avidi di particolari. A breve, con la Camera di Commercio di Vancouver lanceremo un ciclo, sempre di Italiano come lingua straniera, sulle stiliste che hanno rivoluzionato la moda italiana. Credo ci sia uno spazio per lavorare in questa direzione, ma bisogna lavorarci, creare i materiali e le esperienze.
Leadership femminile, è un tema superato?
Assolutamente no. C’è ancora molto, tutto da fare. E in questi mesi, rischiamo di aver perso anni di progresso. Ho avuto la fortuna, a 19 anni, di essere ammessa al Collegio Nuovo, a Pavia. Grazie alla spinta della rettrice Paola Bernardi, una donna visionaria, organizzavamo “women leader forum” internazionali, in collaborazione con college americani ma anche di Dubai, Tokyo, Seul e Pechino, fin da tempi in cui la tematica in alcuni Paesi era ancora tabù. Più tardi ho avuto una mentor meravigliosa, Cristina Bombelli, il suo libro “Alice in the Businessland” mi ha aperto gli occhi. Aborro, anche per via di questa formazione, i toni aggressivi e rivendicativi. Non si può ridurre la questione all’ esercizio di meri diritti genere. Sarebbe più propizio parlare di stile di gestione ‘al femminile’, secondo la definizione classica di Hofstede: inclusivo, empatico, fertile, giusto e aperto al futuro. Possiamo farcela, tutti insieme.
Cosa offre alle aziende?
Concretezza, conoscenza dei mercati, un esteso network di partner nei mercati internazionali e un approccio innovativo.
Come vede il suo sviluppo professionale?
Mi piacerebbe approfondire la collaborazione con consulenti e aziende italiane: credo nelle reti professionali e credo ci sarà molto da fare nei prossimi anni in termini di internazionalizzazione e innovazione. Sto anche valutando un rientro in Europa, penso che il momento sia propizio.
01 giugno 2021