Change Management o Change the Management?

La tanto chiacchierata “rottura” (intesa come cambiamento repentino che conduce a nuovi modi di operare, pensare, ecc.), comunemente definita anche disruption, ha toccato in modo pervasivo e indistintamente tutti gli ambiti professionali, anche quelli più distanti dal classico abbinamento tecnologico, e come più volte si è letto e sentito “il Digital è tutto ma non tutto è Digital”!

Francesco Vallone

International Business Development Manager - Componente del Comitato di redazione Dirigenti industria
Arriva la cosiddetta Business Transformation ma, se da una parte tutti abbiamo capito gli effetti della parte business, ancora pochi (anche tra i più illustri) hanno compreso quelli relativi alla transformation. Il cambiamento culturale e generazionale, unito agli effetti e alle conseguenze della pandemia, ha di fatto messo a nudo quelle che i più visionari avevano compreso essere le nuove competenze necessarie per affrontare il cambiamento, le famose soft skills. 

Siamo nell’epoca dei RE

Recovery Fund, Reciclying, Resilience, Restart, Reskilling e allora la domanda che mi pongo è: come può un giovane manager riuscire a inserirsi in modo sereno e aperto nelle organizzazioni attuali in cui si sta vivendo una vera e propria “rivoluzione” data dalla trasformazione a 360°?! Provando a interpretare le diverse opinioni provenienti da esperti, accademici, teorici e “virologi” del management, mi sono imbattuto in un interessante articolo de Il Sole 24Ore che riportava come nel lavoro, la vera svolta nella formazione per un’azienda su due sia stata il processo di reskilling (acquisizione di nuove competenze) dei dipendenti. Personalmente, sono rimasto colpito nel leggere come questo si riferisse ai junior manager (28-38 anni) e quasi per nulla toccasse la sfera dei senior, forse perché la competenza “fa dama” con «lo status di dirigente», o forse perché “fa scopa” con la «saggezza», o ancora forse perché “fa briscola” con «esperienza»!? 

Ebbene sì, dirigenza/saggezza/esperienza non sono necessariamente dei meriti ma degli status, condizioni che non sono assolutamente assimilabili a una competenza, e probabilmente non andrebbero discriminate da un punto di vista salariale. Risultati di people management, di business, di sostenibilità, di innovazione, sono meritevoli di riconoscimento. Il tutto ci porta a porre un punto importante sul tema del reskilling, in quanto in alcuni casi dovrebbe essere considerato un upskilling (sviluppo delle competenze) o un vero e proprio skilling per tutti; compresi coloro che hanno gli uffici grandi come dei monolocali, 2 segretarie a disposizione (di cui 1 per annaffiare le piante), auto presidenziali che ogni 2/3 anni sono 15 centimetri più lunghe ecc… 

“Espe(ranza)”

È davvero questo il futuro promettente che ci hanno fatto intravedere? Prima di rispondere, mi permetto di ricordare un aneddoto, disturbando un illustre Professore di Matematica che un giorno, durante una prova in classe, diede quello che ritengo un vero insegnamento di vita. Nel disperato tentativo di rispondere all’ultima domanda, un alunno cercò il supporto della compagna di banco, la più brava della classe. Il Professore assistette a tutta la dinamica in silenzio, alla fine sorrise e disse all’alunno: «non farti suggerire perché sei capace di sbagliare anche da solo»! Questo piccolo aneddoto spiega in qualche modo, ciò che nel tempo è diventato un divario incolmabile, anni durante i quali si è fatto poco o nulla per preparare e integrare i cambi generazionali, proteggendo troppo la parte conservatrice e incentivando poco la parte progressista, ma perdendo così la vera essenza del management, che mi sono permesso di tradurre in unico un termine: (ESPE)RANZA! 

Esattamente, l’Esperienza forgiata all’interno della Speranza. Per evitare che il Belpaese continui a mantenere l’abituale posto come fanalino di coda nelle classifiche UE, è necessario spostare il focus dall’anagrafica alla leadership, che dovrebbe essere davvero la competenza da allenare, passando dalla tecnica alla forza. 

Il famoso Change Management, definito come la costruzione di un percorso di trasformazione che dalla situazione attuale (dove siamo) fissa un obiettivo (dove vogliamo arrivare) e una transizione (come ci arriviamo), per essere efficace deve contemplare tutti gli elementi in gioco. Si tratta quindi di riuscire a passare da una leadership di comando e controllo a una leadership di servizio (servant), in cui il senior manager non è semplicemente un ruolo di comando, bensì si posiziona accanto ai junior, con il solo grande obiettivo di guidare e al contempo abilitare tutti ad essere dei piloti e non semplici passeggeri. 

In conclusione, giocando con una semplice sostituzione di consonante del titolo da «chanGe o chanCe» auspico un vero cambiamento di significato e di senso. 

Ritengo che l’Italia, l’Europa, tutto il Mondo abbiano l’opportunità (e la necessità) di preservare, difendere, nutrire e alimentare il popolo dei giovani manager, non come esercito sostitutore di una classe manageriale senior esperta e detentrice di conoscenze, ma come fonte di ispirazione per competere in mercati sempre più fluidi, dove il vero carburante per gareggiare nel new normal è rappresentato da un cambio di paradigma tangibile e visibile: dal know how al know 
where. Iniziamo ad allenarci!

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