Quale giustizia sociale nell'era digitale?

La crescente importanza del riconoscimento del merito e della cultura manageriale. Partecipando alla riunione del Gruppo Progetto Innovazione ALDAI-Federmanager insieme al Presidente del Forum della Meritocrazia Claudio Ceper e alla Vicepresidente Maria Cristina Origlia abbiamo condiviso i cambiamenti della società e la necessità di creare prospettive per le nuove generazioni. Un appassionato dibattito si è sviluppato sui temi della presentazione “What Social Justice is possible in the digital era?”.

Mattia Adani

Consigliere e responsabile del centro studi del Forum della Meritocrazia
Il benessere raggiunto in migliaia di anni di conquiste scientifiche e sociali rischia di riportarci allo stile di vita dell’impero Romano, caratterizzato da élite e plebe, da “panem e circensis”. Non è una ipotesi remota e molti indicatori lo fanno ipotizzare: i robot sostituiranno gli schiavi, i Romani governavano i mondo globale di allora, le temperature stanno risalendo e tornando a quelle dell’anno zero e ci sono appunto similitudini nel modo di gestire la “cosa pubblica" assicurando appunto il pane per sopravvivere e i giochi per soddisfare e tenere “buoni” i cittadini. 

Ma siamo sicuri che il modello dell’impero romano rappresenti la massima aspirazione della società nell’era digitale ?

Il livello culturale e la diversa preparazione delle persone, insieme a 2.000 anni di storia farebbero auspicare un modello diverso di società, più evoluta, nella quale ciascuno possa contribuire con il proprio talento, scegliendo e sviluppando lo stile di vita preferito, per potersi realizzarsi pienamente, nel rispetto degli altri e dell’ambiente.

Ho avuto il piacere di presentare in ALDAI i temi della giustizia sociale nell’era digitale, utilizzando la presentazione, scaricabile di seguito, che riassumo negli aspetti principali.

2019 03 20 intervento sulla meritocrazia e giustizia sociale di mattia adani

2019-03-20-intervento-sulla-meritocrazia-e-giustizia-sociale-di-mattia-adani.pdf

 

Alcuni macrotrends del nostro tempo

Se nei secoli passati le generazioni si susseguivano senza differenze di rilievo, oggi i figli non ripetono più la vita dei genitori perché la società, nel frattempo in 20-30 anni, è parecchio cambiata.
Per distinguere generazioni con differenze sostanziali si sono classificate le ultime sei:
  • G.I. Generation che comprende i nati dal 1900 al 1924, caratterizzati dai regimi autoritari, dalla grande depressione e dalla seconda guerra mondiale;
  • Silent Generation, nati dal 1924 al 1945, il periodo della ricostruzione;
  • Baby Boomers, nati dal 1946 al 1964, quelli della crescita economica spinta, della polarizzazione delle idee, dei nuovi valori sociali; persone che sono oggi in posizioni di responsabilità, molti dirigenti che hanno maggiore potere rispetto alle più giovani generazioni;
  • Generazione X, costituita dai nati dal 1965 al 1980, con lo sviluppo dell’era dell’informazione, della globalizzazione e del multiculturalismo, che esercitano un crescente peso nella società e fra questi possiamo trovare i giovani dirigenti;
  • I Millennials o Generazione Y, nati fra il 1980 e il 2000, nel periodo della stagnazione e dello sviluppo delle comunicazioni e di internet, che, entrati faticosamente nel mondo del lavoro hanno anche raggiunto una discreta maturità;
  • Generazione Z, costituita dai nativi digitali nati nel nuovo millennio che sono ancora nella fase educativa-scolastica.
Negli ultimi 20 anni il mondo è molto cambiato. Fino al 1990 il dibattito era concentrato: sulla polarizzazione ideologica, paura dei “rossi”, la bomba atomica, il terrorismo. Negli anni ’90 è cambiato lo scenario: caduta del “muro” e apertura a livello politico, è cambiata la Cina, il momento di integrazione europea è stato vissuto in modo assolutamente positivo, leadership di Clinton negli Stati Uniti; insomma aria nuova e innovazioni tecnologiche in grado di alimentare speranze e fiducia in un futuro migliore.
Un periodo positivo nel quale è cambiato drasticamente il mondo della comunicazione e dei viaggi, rendendo facile e accessibile ciò che prima era difficile. 
È doveroso rendersi conto che stiamo vivendo, nonostante tutto, il periodo più ricco e di benessere della storia, nel senso che abbiamo accesso a beni inimmaginabili per le precedenti generazioni. 
L’aspettativa di vita è al massimo storico e sta crescendo in tutti i paesi del mondo. 
Siamo ai minimi storici anche per tasso di violenza e per povertà assoluta, cioè la percentuale della popolazione con meno di 1,9 dollari al giorno.
Stiamo sradicando la piaga della povertà assoluta sia in termini relativi che assoluti.
La distribuzione del reddito nel 1800 non era molto diverso fra i continenti e nascere nella classe media in Europa, in Cina o in America non faceva molta differenza. Ben diversa la situazione cinquant'anni fa.
Con la rivoluzione industriale il mondo occidentale ha accelerato la produzione di ricchezza creando sostanziali differenze fra Europa e Americhe rispetto alla Cina e Africa.
Recuperare il "gap" è stato uno dei principali obiettivi e negli ultimi trenta anni c’è stata una crescita della Cina che ha debellato la povertà assoluta con un sostanziale ricompattamento e convergenza della distribuzione del reddito dei continenti. Sulla base dei trend e dei dati di fatto incontrovertibili si era creata una narrativa positiva della società degli anni ’90, sostenuta dalla rivoluzione tecnologica e dall’automazione rendendo possibile includere praticamente tutta la popolazione mondiale nella società e nell'economia globalizzata. Le parole chiave erano: giustizia sociale, libertà di mercato, libertà d'iniziativa, inclusione, convergenza, rinnovamento. Il pensiero delle leadership mondiali negli ultimi 30 anni si è basato appunto sul concetto di “società aperte” che avrebbero favorito maggiore equilibrio, distribuendo la ricchezza, debellando la povertà e riducendo le disuguaglianze, come abbiamo potuto osservare nel miglioramento degli indicatori di benessere.

Ma viviamo veramente nell’era del benessere per tutti ?
Se analizziamo la distribuzione del reddito con l’indicatore Gini riusciamo a capire quanto la ricchezza è totalmente concentrata (Gini=1 o 100%) rispetto alla ricchezza uniformemente distribuita (Gini=0 o 0%). 

Il paese con la distribuzione più uniforme è, al momento, l’Ukraina con il 25%, dove la maggioranza è diffusamente povera, la Finlandia ha un Gini al 27% ma con Pil pro-capite ben superiore, l’Italia era al 35,4% nel 2017, gli Stati Uniti al 41,5%, il Sud Africa con il 63% è il paese che presenta le maggiori disuguaglianze.

La media delle disuguaglianze dei paesi (linea blu) è rimasta sostanzialmente costate per circa un secolo dal 1820 al 1910 per poi ridursi nei successivi 40 anni, fino al 1950 circa, per effetto delle rivoluzioni sociali e industriali che generarono la crescita economica. Dopo circa trent’anni di stabilità l’indice Gini è tornato a crescere e quindi sono gradualmente aumentate le disuguaglianze a partire dagli anni ’80.
Come indicato in precedenza la disuguaglianza tra paesi (linea rossa) è invece cresciuta progressivamente dal 1820 per effetto del diverso sviluppo industriale e solo negli ultimi 30 anni c’è stato una inversione del trend verso l’allineamento e quindi minori disuguaglianze fra i Paesi.
La combinazione della media delle disuguaglianze interne dei paesi e delle disuguaglianze fra paesi (linea verde) costituisce un indicatore complessivo di disuguaglianza, in continua crescita dal 1820, con una significativa inversione di tendenza solo negli ultimi trent’anni. Negli anni ’80 si sono verificate le maggiori disuguaglianze nel mondo con un indice Gini del 85% progressivamente ridotto a circa l’80% nei giorni nostri, per effetto della globalizzazione.
Naturalmente le disuguaglianze e le società aperte alimentano flussi migratori, delocalizzazioni, etc. sia da parte dei poveri verso i paesi più ricchi, sia da parte delle persone con aspettative di crescita che preferiscono vivere e lavorare in contesti meritocratici dove funziona l'ascensore sociale.
Le giovani generazioni che non hanno vissuto le conquiste sociali e il pensiero positivo che ha favorito la globalizzazione, ma vedono solo le difficoltà e la crescita delle disuguaglianze, sviluppano un atteggiamento critico. Quindi i poveri migranti arrivano in Italia e i giovani laureati italiani scelgono di andare all'estero sperando in migliori opportunità e prospettive.
Analizzando la mobilità sociale (ascensore sociale) di 24 paesi europei si nota una riduzione della crescita rispetto al passaggio a livelli sociali più bassi e la formazione costituisce il miglior attivatore dell’ascensore sociale. Per inciso fra i 24 paesi esaminati non c’è l’Italia i cui dati non sono ritenuti sufficientemente attendibili e completi. Quando la probabilità di scendere è più alta della probabilità di salire scatta la paura sociale.
La tecnologia sta favorendo la concentrazione del business e le società Fortune 500 sono cresciute dal 60% a più del 70% del business complessivo in 15 anni. Si sta anche creando una concentrazione del business e del PIL nelle metropoli, come ad esempio Londra e Parigi rispetto ai territori limitrofi. Si stanno ricreando le condizioni delle città stato del medio evo e la ricchezza si sta concentrando. Sebbene la ricchezza del nord Italia sia abbastanza distribuita, Milano sta crescendo e trainando il business italiano. La Lombardia rappresenta il 16% della popolazione il 22% del PIL, il 25% dell’export, l’80% dei posti di lavoro creati negli ultimi 5 anni. Milano è l’unica città che cresce in Italia e ringiovanisce per il flusso continuo di giovani che vi studiano e lavorano.
Quando c’è diversità e paura di perdere ricchezza si irrigidiscono le politiche e si alzano i muri come avvenne nel medioevo con il fenomeno dell’incastellamento e che si cominciamo a notare con la chiusura delle frontiere, il muro con il Messico, la Brexit, le migrazioni e i barconi nel Mediterraneo.
I recenti segnali sono significativi dei possibili sviluppi: minori diritti per i lavoratori, controllo degli scambi commerciali e aumento dei dazi doganali, la monetizzazione della partecipazione sociale a prescindere dall’impegno lavorativo (reddito di cittadinanza) … 
Quello che Tertulliano, disprezzando la società romana, sintetizzava in “Panem et circensis” per indicare che per rafforzare il potere e tener buono il popolo bastava assicurare il pane e i giochi circensi. Politiche demagogiche che sembrano oggi tornare in auge.

Abbiamo evidenza degli effetti di cambiamenti nella storia, anche se lo shock tecnologico è avvenuto e continua a produrre trasformazioni continue e in tempi sempre più brevi. Tali cambiamenti avranno effetti positivi sulla ricchezza complessiva mentre la globalizzazione e la polarizzazione potranno influire in modi diversi sulle disuguaglianze.

Le fonti del potere e della ricchezza stanno cambiando e lo scenario offre visioni diverse fra chi conserva un atteggiamento di fiducia nel futuro, ed altri che non vedono prospettive.

Quale giustizia sociale è possibile nell'era digitale?

L’era digitale impone nuove regole e relazioni sociali, nuovi modelli di tassazione e ridistribuzione e nuove regole del lavoro.
Se è relativamente facile tassare le immobilizzazioni (terreni, abitazioni) e il consumo (pane, benzina, etc.) risulta molto più difficile tassare beni mobili immateriali (ad esempio persone con know-how, capitale). Il passaggio da un'agricoltura e un'economia manifatturiera a un'economia digitale basata sul servizio, sul know-how e sull'economia di capitale intangibile sta rendendo meno efficace il sistema di tassazione tradizionale.
Analoghe considerazioni si possono fare sul lavoro. Mentre è relativamente facile regolare la manodopera in un'economia vicina, risulta molto più difficile regolare la manodopera in un'economia globalizzata e aperta dove è quasi impossibile applicare la stessa regola/norma in tutti i Paesi. La transizione verso un'economia digitale, che consente catene di approvvigionamento globalmente integrate e la fornitura a distanza di servizi persino sofisticati, può rendere la competizione incrociata ancora più facile e più difficile da prevenire.

Il reddito ai cittadini, in sostituzione dei vari sussidi, teorizzato dal libro “Utopia for Realists” – “Universal basic income” rischia di creare nuove “plebi” e degenerazioni sociali che possono essere superate solo con una visione e prospettiva lungimirante delle élite e dei cittadini più colti e preparati del passato.

La sfida della Meritocrazia

Il termine Meritocrazia identifica un sistema nel quale la ricchezza, le opportunità e il privilegio sono distribuiti secondo i talenti, l’impegno e il merito degli individui e non per la loro fortuna, conoscenze o ceto sociale.
I dirigenti d’azienda, che sono élite, devono essere consapevoli dei concetti di meritocrazia che consiste nell’allocare responsabilità e meriti in modo che siano percepiti come socialmente giusti e che quindi si lavora sui concetti di concreta uguaglianza ed opportunità in un contesto nel quale le decisioni sono prese nel merito oggettivo, in modo etico e trasparente, evitando di esercitare un potere solo per il ruolo svolto.
L’Italia è un paese caratterizzato dall’elevato senso democratico, ma con una morale superata. Si analizza, si dibatte e poi si decise come ci pare o come si è sempre fatto.

Il meritometro, basato su sette pilastri di valutazione e i relativi risultati descritti nell’articolo di Giorgio Neglia "L’Italia nella palude della mediocrazia" ci pone all’ultimo posto in Europa con ben 10 punti di distacco dalla Spagna, penultima in classifica. L’analisi dei singoli indicatori offre spunti di riflessione educativi per focalizzare le aree di miglioramento.
Per le aziende private e pubbliche il Forum della Meritocrazia ha sviluppato anche il Meritorg che permette di mappare le condizioni e le pratiche meritocratiche esprimendo un indice di valutazione.
 
Se l’Italia vuole competere nel mondo globale deve accettare il confronto meritocratico, assumendo, come paese, il coraggio di superare stereotipi dannosi e varare iniziative correttive per ridurre il gap meritocratico con gli altri paesi europei. Ne va del nostro futuro e soprattutto delle giovani generazioni.
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.