A che serve un sindacato?
Qualche considerazione sul “Che fare?” per il futuro prossimo
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Un anno dopo
L’anno scorso di questi tempi ero intervenuto sulla rivista con un contributo intitolato “C’è bisogno di sindacato, vero?”(1). Avevo concluso che occorreva togliere da quel titolo virgola e punto interrogativo.
Torno ora sul tema: qualche giorno fa, nel corso di un breve viaggio turistico-trasportistico che mi ha portato in Grecia per sperimentare la locale alta velocità da Atene a Salonicco, mi sono ritrovato ad ammirare, nella modesta ma ordinata e gradevole città della Macedonia, il lavoro dei netturbini. Una volonterosa ragazza spazzava e raccoglieva coscienziosamente le foglie in un viale pulitissimo. Ho pensato che nella mia memoria quella scena ne ricordava una analoga, nella Roma degli anni ’60, quando giornalmente gli ”scopini” tenevano pulita Via delle Egadi, a Montesacro. Oggi la pulizia di quella zona è un pianto, di scopini certo non se ne vedono più da decenni e la locale azienda “ambientale” passa alle cronache per gli arresti di dipendenti infedeli, accusati di furto di carburante.
Analoghe considerazioni potrebbero farsi per il trasporto pubblico urbano: apparentemente in Grecia gli autobus non si incendiano, anche se magari non sono nuovissimi. E la metro di Atene, a un euro e venti, regge perfettamente in confronto con quella di Milano. Con quella di Roma, neanche a parlarne, dato che in Grecia le scale mobili funzionano, per definizione.
Questa lunga premessa porta alla domanda fondamentale contenuta in queste righe. A che cosa serve un sindacato? Per inciso, è anche la domanda che un numero crescente di colleghi pensionati oppone ai miei sforzi di fare proselitismo per ALDAI.
Il tentativo di dare una risposta per me non è banale: personalmente ho sempre posseduto una tessera sindacale, nella convinzione che la partecipazione alle forme associative dei lavoratori fosse un impegno civico, se non un dovere, senza mai troppo credere all’immagine del dirigente "prometeico", che solo affronta il mondo e vince tutte le sfide. Purtroppo la realtà quotidiana è molto più banale…
Certe forme di individualismo esasperato e arrogante, care alla mitologia dirigenziale, spesso si concludono con una visita a orecchie basse in Via Larga, per trovare possibile supporto all’evento traumatico dell’espulsione dal lavoro. Il dirigente rimane un lavoratore dipendente, e spesso dimenticarsene porta a guai imprevisti.
Una negoziazione estesa a tutti, iscritti e non. E' giusto?
Una prima risposta è dunque che l’iscrizione sindacale, visto che il sindacato negozia e firma rinnovi contrattuali applicati a tutti, iscritti e non, dovrebbe servire a rafforzarne l’azione, evitando che i non iscritti godano di condizioni che altri hanno ottenuto per loro. Da questo punto di vista, personalmente, non sarei contrario a forme di supporto obbligatorio da pretendere da parte di chi fruisce del CCNL Dirigenti Industria. Certo che se l’interlocutore confindustriale, con scarsa lungimiranza, è il primo ad opporsi a questa evidente necessità, tutto si complica: il problema purtroppo è che anche nell’organizzazione datoriale finiscono per prevalere le esigenze “di carriera”, tutte interne all’organizzazione, dei professionisti del conflitto sindacale. Dirigenti come nemico da sconfiggere…
Ma tutto questo, che c’entra con il pistolotto iniziale, dedicato ad aziende che lavorano male?
Ebbene, la convinzione espressa qui di seguito è che un’associazione sindacale capace di fare bene il proprio lavoro dovrebbe anche avere occhi attenti sulle fenomenologie aziendali e, con tutte le cautele del caso, magari contando anche sul supporto dei colleghi in quiescenza, intervenire in difesa non solo dei suoi iscritti, ma dei contesti aziendali e del loro valore per così dire “sociale”.
La capacità di esprimere un punto di vista autorevole
Un sindacato coraggioso, capace di esercitare “egemonia culturale” in particolare nel settore dei servizi pubblici ma non solo, eserciterebbe il proprio ruolo in modo molto più autorevole, e utile.
Per esempio, in un grande gruppo produttivo una RSA di dirigenti dovrebbe svolgere un ruolo di controllo e stimolo coerente, cooperando nel risolvere i casi di evidenti malfunzionamenti, ma anche preoccupandosi di esprimere opinioni utili al contesto nel quale ci si muove. Certo che se, invece, ci si limita a operare come “estensione” di altre funzioni aziendali nella dismissione di dirigenti eccedentari, al massimo favorendone l’uscita più indolore possibile, forse non si svolge al meglio il proprio ruolo.
E nemmeno l’ormai onnipresente obiettivo della “formazione continua” mi sembra sufficiente a esaurire i contenuti di un’azione sindacale coerente.
Credo che, in particolare in questi ultimi anni, non si sia riusciti a realizzare questo salto qualitativo verso una dirigenza a 360 gradi, capace di rivendicare e conquistare un proprio ruolo sociale.
Forse è ingenuo pensare che i dirigenti dell’energia si facciano carico di dire qualcosa di utile a favore di un'utenza che per anni ha subito l’aggressione telefonica tesa a farli passare al “libero mercato” di gas e luce, coi risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti, che quelli dei trasporti sappiano e vogliano dire la loro su programmi infrastrutturali che si concludono con lo spreco evidente di denaro pubblico, senza benefici per l’utenza, e l’elenco potrebbe prolungarsi molto a lungo.
Un sindacato che ritrovi la capacità di svolgere questi compiti essenziali, condensabili nello slogan “Un giusto rinnovo contrattuale e il respiro strategico per collocarsi in modo costruttivo”, rimane dunque a mio personale giudizio l’obiettivo da perseguire.
Alla ricerca di progressi
A rileggere quanto scrivevo un anno fa, potrei dire che ora ho riscritto le stesse cose, seppure con parole ed esempi diversi. Il tema è però che proprio di progressi non ne abbiamo fatti, e che non è che la qualità e la dimensione dei problemi sia mutata. La situazione è semplicemente peggiorata per l’incombere delle crisi energetica, internazionale e della guerra, che si sono aggiunte alla pandemia, come bene diceva il nostro Presidente Cuzzilla in un recente Consiglio Nazionale. Ma si direbbe che le nostre organizzazioni proseguano a gingillarsi con le proprie dinamiche interne e con attività non proprio essenziali.
Forse dovremmo davvero preoccuparci di mettere maggiormente queste tematiche al centro della nostra attenzione e della nostra attività quotidiana.
(1) G. Colombi “C’è bisogno di sindacato, vero?” Dirigenti e Industria, Novembre 2021