Una nuova classe dirigente
Il dibattito intorno alla necessità di una nuova classe dirigente si fa ogni giorno più acceso, tutti o quasi manifestano anche con toni e soprattutto con proposte di contenuti diversi il loro accordo in merito, ma non pare che succeda nel Paese qualcosa che possa far pensare che la nostra società ha iniziato un percorso verso tale traguardo.
Gianni Di Quattro
Socio ALDAI co-fondatore dell’associazione Nel Futuro
La necessità di una nuova classe dirigente, ora e con urgenza, non è il normale avvicendamento che è insito nel percorso di una società attenta e sensibile all’aggiornamento continuo come presupposto per il benessere di tutti i suoi cittadini. Nel caso del nostro Paese il momento attuale è la conseguenza di eventi straordinari che stanno sconvolgendo il mondo e nello stesso tempo di tante trascuratezze del passato.
Gli eventi straordinari sono principalmente rappresentati dallo sviluppo incredibile della tecnologia in tutti i campi, compresi quelli che si pensava fino a poco tempo fa immuni, almeno con tale ritmo, da questa dinamica come quello domestico e sociale. Inoltre, la concentrazione della stessa tecnologia nelle mani di poche aziende riduce poteri decisionali e spazi politici, i poteri del mondo sempre più distribuiti su tre principali paesi e cioè Stati Uniti, Russia e Cina toglie possibilità di configurare società diverse, la globalizzazione finanziaria che toglie autonomia alle imprese e ai paesi in tutto il mondo erodendo i valori della democrazia, peraltro messi in crisi da fenomeni populisti e sovranisti che illudono popoli e protagonisti.
Le trascuratezze del passato sono molto gravi e riguardano in primo luogo la formazione e la cultura che rendono oggi il popolo del Paese mediamente impreparato e non all’altezza della competitività internazionale e spesso non in grado di scegliere i valori sociali che più possono garantire libertà e democrazia, seguendo capi popolo che lo conducono come una foglia al vento verso gli angoli dove per loro è più facile esercitare potere a prescindere da valori e interessi diffusi.
Nella formazione una scuola mai veramente riformata, con governi che hanno dimostrato attenzione verso di lei solo per le problematiche sindacali dei docenti e perché rappresenta, data la massa degli addetti, un serbatoio di voti assolutamente in prima fila e senza mai affrontare il tema dei contenuti e dei metodi, senza mai aggiornare i valori con le esperienze internazionali ed i contributi di maestri del pensiero.
Per non parlare delle università distribuite per motivi clientelari sul territorio quando andrebbero concentrate e potenziate ed inoltre sono state arricchite di corsi di laurea non giustificabili se non per sistemare amici e allargare gli organici. L’assenza infine di scuole postuniversitarie, se si eccettuano le iniziative di alcune università private soprattutto nel campo dell’economia e della medicina, penalizza il sistema delle imprese che ai tempi del boom degli anni 60 poteva contare su due scuole indipendenti come l’IPSOA di Torino e l’ISIDA di Palermo che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo del Paese in quel periodo.
La cultura, è una cosa seria, non è un’arma di distrazione di massa, può dare beneficio economico se si pensa alle attività museali e al teatro per esempio, serve soprattutto a creare quell’ambiente intelligente che rappresenta un sistema di sviluppo intellettuale di tutto un popolo. Naturalmente si tratta di finanziare musei e iniziative, teatro e sistemi di conferenze nelle scuole e nelle università, spingere da parte dello Stato anche con incentivi fiscali le aziende ad organizzare incontri in primis tra il personale di direzione e poi con tutto il personale per raccontare culture, civiltà, esperienze, saperi.
In altri termini, la conoscenza serve a sviluppare curiosità, la curiosità serve a sviluppare professionalità, la professionalità istiga a fare in modo serio e più approfondito e cosciente il proprio lavoro e tutto questo si traduce in un plus di grande valore per tutte le aziende e, in definitiva, per il sistema economico del paese.
Certamente una nuova classe dirigente più cosciente e colta potrebbe e dovrebbe godere di maggiore autonomia non solo nei confronti dell’azionista, ma anche nel sistema della distribuzione delle competenze all’interno delle aziende. Dovrebbe essere più attenta alla società civile in cui l’azienda o il suo ramo di attività è inserito, dovrebbe soprattutto curare la formazione e l’ambiente culturale che con lei collabora, dovrebbe disegnare un sistema di relazioni e un modello economico moderno e avanzato, molto distaccato da un passato che non c’è più.
Ma come si fa a disporre in breve tempo di una nuova classe dirigente? Più colta, più responsabile, più autonoma, più attenta ai problemi del territorio e della società in cui il loro business si trova, più coraggiosa, più internazionale. Come si fa?
Intanto e prima di tutto sarebbe opportuna una grande opera di sensibilizzazione dello Stato centrale e delle sue propaggini periferiche, dei corpi sociali intermedi, del sistema delle imprese a partire dagli imprenditori e del mondo accademico. Senza questa sensibilizzazione che faccia capire a tutti che questa è la vera emergenza del Paese cui tutti dovrebbero collaborare a prescindere da ideologie, appartenenze politiche e slogan elettorali. Per esempio quello di "uno uguale uno" tende a dire che il merito non conta, mentre invece è solo il merito che può consentirci di recuperare e competere.
E poi stabilire da parte di una conduzione politica avveduta e lungimirante (per quanto possa esserlo la politica in un sistema democratico con traguardi ravvicinati) un piano di sviluppo che coordini la formazione con gli investimenti industriali, il territorio con il lavoro del settore economico prevalente, la libertà di operare con l’indirizzo economico del Paese, la semplificazione con il controllo per garantire equità e giustizia sociale (evasione fiscale, tempi e condizioni dei servizi collettivi).
Certo per avere una simile prospettiva ci vuole una democrazia matura, colta e non prigioniera di avventurieri ambiziosi di potere, che in questo momento nel nostro Paese non c’è. Ma bisogna lavorare ed operare da parte di tutta la comunità perché si crei come premessa indispensabile allo sviluppo e ad un benessere abbastanza equo e solidale. Il ruolo dei corpi intermedi come si definiscono le aggregazioni che non sono lo Stato, ma non sono solo cittadini e che hanno responsabilità sociali precise, diventa fondamentale. Sindacati di tutte le categorie dei lavoratori, organizzazioni sociali di tipo imprenditoriale o di difesa dei diritti dei cittadini, associazioni di categoria devono inserire nelle loro agende questa attività di sensibilizzazione, supporto e diffusione di una cultura e di una conoscenza.
Una nota a margine: in questa fase molti manager, politici e protagonisti sociali come magistrati o docenti per esempio, non più operativi per motivi di età o per altri motivi personali potrebbero essere utili e utilizzati in questa attività. Loro potrebbero facilmente capire la necessità del futuro, interpretare e disegnare per loro un nuovo modo di essere attivi e di grande importanza per la società. Il problema dunque è fare, non aspettare, capire che il ruolo di tutti nella vita cambia anche con l’età e che è bello, a prescindere da tutto, pensare al futuro anche di quello che la natura ci dice che non può essere nostro.