Riflessioni sul lavoro in piattaforma

Il cambiamento del lavoro nell'economia della conoscenza implica nuovi modelli organizzativi

Pixabay by SnapwireSnaps

Nicolò Boggian 


Giovanni Mari 

Autore del libro "Libertà nel Lavoro""

Alberto Mattei 






Qual è il futuro del lavoro della conoscenza?

Il mondo del lavoro è cambiato profondamente. È necessario che anche i processi, le regole e la cultura del lavoro si adeguino velocemente.

Una recente ricerca di Atlassian mostra come nelle aziende Fortune 500 vengono perse 25 miliardi di ore di lavoro a causa di una collaborazione inefficace. In aggiunta i manager di queste aziende ritengono che solo il 24% dei propri team sia impegnato in attività davvero critiche e creative.

Perché questo succede in aziende che dovrebbero essere alla frontiera in termini di efficienza e produttività? 

L’ingaggio dei knowledge workers su obiettivi chiari, e partecipati, con incentivi e flussi di comunicazione diretti alla produttività e all’innovazione, riducendo meeting e burocrazia improduttiva e sfruttando le potenzialità dell’Ai nell’organizzazione del lavoro, sono temi estremamente problematici senza una profonda revisione di processi e cultura del lavoro.

Nuove tecnologie, nuovi mercati e nuovi problemi e un panorama di nomadi digitali, freelance, lavoratori senior, famiglie dual earner, dipendenti imprenditori, lavoratori delle aree interne, sfidano le organizzazioni a trovare nuove soluzioni e nuove modalità di lavoro in risposta ad una complessità ormai irriducibile alle dinamiche pre-covid.

Al tempo stesso la domanda di lavori che consentano ai professionisti di lavorare a distanza senza vincoli di tempo e di spazio è aumentata vertiginosamente. Secondo LinkedIn, a gennaio 2024, il numero di candidature per ruoli di lavoro da remoto era circa il doppio rispetto alle altre offerte disponibili.

Se immaginiamo che questo problema si applica ad aziende private, ma anche ad organizzazioni e istituzioni pubbliche e alle scelte di vita e di carriera di milioni lavoratori e lavoratrici si capisce come una migliore organizzazione del lavoro possa avere un impatto straordinario su autonomia e autorealizzazione personali, produttività, competitività, economia e società.

Cosa succede in Italia e in Europa?

Il Rapporto Istat 2024, ben commentato qui da Federico Fubini, fotografa bene la resistenza all’innovazione nelle aziende italiane, in cui diminuisce la produttività nel settore dei servizi invece che crescere ( si veda analisi Unioncamere su dati Eurostat ), e dove la PA è avviata a timidi miglioramenti incrementali, ma comunque insufficienti di fronte alle attuali sfide tecnologiche, demografiche e sociali.

In Italia, a differenza di altri Paesi in Europa, la fine della pandemia ha segnato il progressivo esaurimento delle agevolazioni per lo smart working. Il settore pubblico è stato il primo ad annunciarlo con la Direttiva del Ministero della Pubblica Amministrazione del 29 dicembre 2023. Nel settore privato, a marzo 2024 sono decadute le semplificazioni per i lavoratori fragili e i genitori di minori fino a 14 anni.

In Italia, il rischio è di tornare a una logica di controllo, nonostante i processi e la cultura del lavoro siano cambiati profondamente. Così come è cambiato il modo in cui le persone si rapportano ad esso. I professionisti e lavoratori ora cercano flessibilità e riconoscimento dei propri obiettivi di vita e del proprio tempo. Non è più solo una questione di tutela dei fragili, ma di engagement e "retention" nelle organizzazioni.

Una migliore organizzazione digitale del lavoro è infatti un tema fondamentale per produrre tecnologia, evitando ad organizzazioni e società di essere solo utilizzatori passivi della tecnologia prodotta da terzi.  

Quasi nessuna delle grandi aziende italiane ha però meno di 50 anni e di conseguenza non stupisce la resistenza al cambiamento. Manca quasi totalmente, non solo in Italia, ma più in generale in Europa, nonostante decenni di iniziative di stimolo all’innovazione, una nuova leva di aziende tech, digitali, di grandi dimensioni e ad alto valore aggiunto in grado di competere su scala globale, come viene ben spiegato da un recente articolo di Wolfgang Munchau sulle aziende tedesche.  Stiamo perdendo la partita del presente e il futuro non sembra più così roseo

Sarà interessante capire allora se la nuova “agenda europea” per la produttività e competitività dell’economia nel continente europeo, che parte dal riconoscimento del ritardo tecnologico rispetto a Usa e Cina, riuscirà a stimolare un salto evolutivo nelle politiche pubbliche, magari ospitando iniziative e riflessioni inedite sul rapporto strategico tra organizzazione del lavoro, tecnologia, innovazione e società

L’impressione è che gli attuali incentivi e politiche siano inefficaci se le organizzazioni pubbliche e private hanno difficoltà così rilevanti nel trasformare risorse finanziarie e investimenti in attività di senso compiuto. Allo stesso tempo questa frontiera di innovazione nel lavoro e nelle organizzazioni può essere una grande opportunità di anticipare il mercato recuperando posizioni sui mercati internazionali.

Le imprese digitali a piattaforma

Una possibile strada da percorrere per aumentare produttività e recuperare competitività tramite una migliore organizzazione del lavoro è quella delle “imprese digitali a piattaforma”.

Una nuova tipologia emergente di ecosistemi digitali e globali caratterizzata da processi, tecnologia e cultura, abilitata dall’ Ai, che consente livelli maggiori di produttività e innovazione, grazie ad una peculiare capacità di favorire l’autonomia di team periferici e indipendenti, mantenendo però coerenza e controllo sui risultati partecipati e sostenibili

Molti sono i casi internazionali di aziende che negli ultimi decenni dominano la competizione nei settori più disparati utilizzando alcune caratteristiche di questo modello. Pensiamo alle Big Tech o ad Haier, Handelsbanken, Novartis, Burtzwoorg, Unilever, Michelin, Thales, Vinci per citare alcuni casi. Queste aziende stanno superando la concorrenza risolvendo i problemi di coordinamento, gestione e ingaggio della forza lavoro più qualificata offrendo prodotti e servizi migliori ai loro clienti e utenti.

La nuova infrastruttura di queste piattaforme riduce infatti al minimo la burocrazia, ovvero quelle attività a cui non è associato un valore chiaro da parte di clienti, utenti e stakeholders, ed evita la cristallizzazione dei conflitti di interesse, ovvero quelle dinamiche di interesse individuale e di resistenze interne alle organizzazioni potenzialmente contrarie all’interesse aziendale.

L’organizzazione a piattaforma abilita infatti una struttura del lavoro che massimizza e valorizza il contributo dei singoli e dei gruppi di lavoro su attività il cui valore è riconosciuto esplicitamente da clienti, utenti e stakeholders.

Inoltre la struttura delle piattaforme consente di minimizzare i costi di recruiting, outsourcing e acquisizioni, migliorando l’accesso a competenze tecniche, aumentando l’inclusività dell’organizzazione e favorendo la continua ri-generazione di capacità interne.

Infine le piattaforme, se ben regolate, consentono a lavoratori e lavoratrici una forte stabilità del rapporto di lavoro associata ad una maggiore flessibilità nello scegliere incarichi, tempi di lavoro, percorsi formativi e servizi di supporto.

Questi vantaggi nascono però da un forte impegno al cambiamento organizzativo e dalla presenza di un management, di azionisti e di istituzioni con esperienza e competenze nell’introdurre e gestire questi nuovi modelli organizzativi. 

Da dove partire per portare le imprese digitali a piattaforma a sistema in Italia e in Europa?

Sicuramente questa via non si può percorrere con politiche e competenze tradizionali di cui conosciamo le virtù ma anche i limiti in termini di dinamismo e innovazione.

Alcuni esperimenti interessanti, anche se un po' superficiali, di network tra grandi aziende possono portare un contributo di esperienza (si veda ad esempio Open Italy) insieme ad alcuni pregevoli centri di competenza ed esperienza (si veda Platform Manifesto/ Kopernicana / L’osservatorio Platform Thinking, tecnologia e test di Whitelibra).

A questi si deve aggiungere una revisione del sistema di regole, contratti e regolamenti sul Lavoro, pensati in un contesto pre-digitale, adattandoli al presente e al futuro prossimo con un approccio insieme sistemico ed operativo.

Se infatti in Europa ci sono circa 28 milioni di lavoratori su piattaforma, di cui il 72% impegnato in attività online e il 28% in attività “on location”, il 92% di questi lavoratori è inquadrato come autonomo e lamenta scarse tutele.

Oltre al tema della classificazione c’è poi l’emergente intervento del management algoritmico che impone anch’esso un ripensamento di regole e processi amministrativi.

Su questo tema si può partire da un recente Emendamento al Collegato Lavoro, su cui si riscontra un’apertura da parte del Ministro del Lavoro Calderone, e da una proposta di Ccnl per il Lavoro Digitale su piattaforma, discussa approfonditamente da Italian Tech Alliance, Manageritalia, Cna, Associazione Nomadi Digitali e SLC Cgil e da un nutrito gruppo di giuslavoristi e professionisti.

Secondariamente, una volta recepita la “Direttiva su Platform Work” negli ordinamenti nazionali, la Commissione Europea dovrà trovare il modo di scavalcare i confini burocratici fra 27 mercati del lavoro ancora gestiti a livello nazionale che rendono l’organizzazione e cooperazione su scala Europea estremamente complessa.

Un nuovo settore europeo di imprese digitali a piattaforma sarebbe molto utile per aumentare produttività, inclusione, innovazione e rivitalizzare una società e una prospettiva di futuro all’altezza delle altre aree del mondo

Forse di fronte a nuovi problemi e ad un contesto geopolitico nuovo, serve partire dall’innovazione nel Lavoro piuttosto che da politiche monetarie e fiscali.

Per paesi come l’Italia, stretti nella morsa di alto debito, calo delle nascite, fuga dei talenti, skills mismatch e posizionamento competitivo che scivola verso settori a basso valore aggiunto, le “imprese digitali a piattaforma” sono probabilmente l’unico antidoto ad un declino altrimenti inevitabile.
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