L’altro nome della TAV
Sebbene in ritardo rispetto ad altri Paesi, l'alta velocità ha modificato il trasporto in Italia con evidenti vantaggi per il turismo, gli insediamenti urbani e lo sviluppo commerciale. Ora bisogna decidere sul proseguimento dei lavori dell’asse ferroviario internazionale Torino Lione. I partener europei potrebbero avvertire l’incertezza decisionale come il segnale di un’Italia che vuole uscire dall’UE. Alla politica la responsabilità di fare chiarezza, con urgenza.
Antonio Dentato
Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
L’impressione che hai quando assisti a un dibattito sull’argomento è che la gran parte di quelli che ne discutono non abbiano mai letto le carte. Sembra che ne parlino per sentito dire e che non sappiano come e perché è nato il progetto. Certo, si tratta d’impressione, ma non è escluso che, in qualche caso, vi sia anche una parte di verità.
Parliamo della TAV o del TAV e non ci soffermeremo sull’acronimo. Ci basti dire però che quello attribuitogli non ha portato fortuna a un progetto di modernizzazione della rete ferroviaria che negli altri Paesi non è stato asservito, come in Italia, a tante vicissitudini e polemiche, e che, invece, ha avuto esecuzione secondo programma. Probabilmente a molti sfugge che questo non è un’appendice del famoso progetto per l’Alta Velocità (AV) concepito già negli anni settanta in Italia per la circolazione di treni a 180-200 km/h. È un altro progetto: è la Nuova Linea Torino–Lione il cui acronimo è appunto NL-TL. Una linea che ha caratteristiche e obiettivi diversi; di tutt’altra portata e di più ampia capacità rispetto a quella di cui impropriamente si discute. Si tratta di una linea ferroviaria con standard di circolazione e d’interesse europeo. Sono questi gli argomenti su cui cercheremo di esporre qualche nostra osservazione nel seguito.
Il quadro di riferimento
È la conclusione dell’articolo di Stefano Cuzzilla: “Il nostro sì convinto alle infrastrutture” che ci offre spunti essenziali di riflessione. Dice il Presidente di Federmanager “Per un Paese che non vuole mandare in fumo il vantaggio straordinario dovuto alla propria posizione geografica, è ancora possibile diventare il centro delle rotte commerciali che interessano l’Europa”. (Vedi "Il nostro sì convinto alle infrastrutture" in questa Rivista 1° Febbraio 2019). Un auspicio che coglie il destino ineludibile del nostro Paese nel ruolo di ponte e territorio d’interscambio di culture fra popoli, economie del Mediterraneo e Paesi del nord Europa. Purtroppo un Paese che è solo l'oggetto, il luogo geopolitico, dove si concentrano tante potenzialità, delle quali, però, non riesce ad esserne fulcro di elaborazione e motore di sviluppo. Un Paese che vive sempre in bilico sull’orlo delle incertezze. Per ovvi motivi di spazio, vuole essere, questo, solo un approccio al quadro di riferimento che poniamo come sfondo agli argomenti dell’articolo.
Un sistema di trasporto al servizio delle politiche di organizzazione e sviluppo del territorio
Chi ha seguito e letto il processo formativo del progetto TAV sa come è nato. Sa che, nell’ambito comunitario, quando fu prospettata la visione di un’Europa unita, tenuta insieme anche da adeguate infrastrutture di comunicazione (anni ‘80/90 del secolo scorso), il progetto era anche un altro. Lo sostenevano forze economiche e anche settori politici che avrebbero visto meglio il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto a nord delle Alpi, in considerazione dei maggiori flussi di scambio tra Paesi del nord Europa e i Paesi dell’Est. E, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), si faceva rilevare che, in quelle aree geografiche, gli operatori stradali erano in grado di reagire più rapidamente alle nuove esigenze di mercati bisognevoli di essere rapidamente sostenuti. Nascondendo, ovviamente la congestione di traffico e il relativo inquinamento che ne sarebbe derivato; oltre ai costi di ricostruzione del sistema stradale e l’aumento dei costi di trasporto. Non detta, in alcuni dibattiti, traspariva una certa tendenza a escludere l’Italia dai vantaggi finanziari, economici, sociali che portano i traffici di transito. Ed erano gli anni in cui si parlava di un’Europa “a due velocità”. Un concetto emerso negli anni ‘60 e ‘70 ma che fu molto utilizzato nel linguaggio comunitario a fine anni ‘80, mentre avvenivano cambiamenti geopolitici all’Est Europa. Anche il nostro Paese veniva relegato fra quelli che si sarebbero dovuti accontentare di una velocità più modesta (anche nello sviluppo economico e sociale). Fu solo a seguito di una serie d’intese con i Paesi circonvicini che la spuntò l’Italia. Forte anche di una capacità di pressione interna a difesa degli interessi nazionali, la politica fece la sua parte nel quadro di una visione nuova dell’Europa Unita. Prevalse, per il nostro Paese, la politica del trasporto su ferro. E non prevalsero, invece, le forze che insistevano per un corridoio europeo al disopra delle Alpi. Per decisione comunitaria, dunque, nelle Reti trans europee di trasporto fu iscritto l’asse ferroviario internazionale passante per l’Italia.
Gli obiettivi delle reti trans europee
L’Unione Europea previde 14 collegamenti prioritari di Reti trans europee (Consiglio di Essen: dicembre 1994). Poi ridefiniti (n.9), e modulati per importanza con successivi provvedimenti. Con queste decisioni fu confermato da tutti gli Stati europei che la Rete trans europea dei trasporti ha la funzione di consolidare gli assi forti Nord-Sud, e offrire più ampie opportunità ai territori non integrati del Sud e a quelli dell’Est entrati nella nuova dimensione europea (Vedi Decisione n. 884/2004/CE Parlamento europeo e Consiglio,29 aprile 2004). In questa visione si inserisce il collegamento ferroviario Lione–Torino (ripetiamo NL-TL) come asse fondamentale dell’intera Rete trans europea dei trasporti, funzionale alle politiche di sviluppo del territorio di attraversamento: insediamenti urbani, localizzazioni di poli industriali, commerciali, interporti, piattaforme logistiche, interconnessioni locali e intermodali. E, in questa visione, l’Italia aderisce e sviluppa anche i progetti tecnici di interoperabilità ferroviaria. Regole concordate con gli altri partener europei per far circolare treni moderni e veloci, passeggeri e merci, in tutta Europa. Specifiche Tecniche di Interoperabilità (STI), vale a dire condizioni di trazione e di circolazione uniformi. La Direttiva n.2001/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001 ha promosso una serie di iniziative e progetti intesi a creare l’interoperabilità del sistema ferroviario trans europeo. (Vedi Attuazione della direttiva 2001/16/CE in materia di interoperabilità del sistema ferroviario trans europeo convenzionale, G.Uff. del 30 settembre 2004, n. 268). Un precedente storico, precursore della nuova interoperabilità ferroviaria, si trova nella Convenzione intergovernativa dell’Unité Technique firmata a Berna il 21 ottobre 1882. Primo esempio d’integrazione territoriale e di servizi “comunitari” dell’Europa.
La complessità delle analisi
Dopo sette analisi costi/benefici (ma forse ne sono otto, e anche nove), dopo aver sottoscritto e ratificato impegni di livello internazionale (Vedi Legge 27 settembre 2002, n.228), dopo aver coinvolto nei finanziamenti le casse dell’Unione europea (finanziamento al 40% del nuovo tunnel di base perché la tratta italiana assicurerà il link ferroviario tra l’Est e l’Ovest Europa, ecco una nuova “Analisi costi-benefici del nuovo collegamento ferroviario Torino–Lione” accessibile cliccando tale titolo. Saranno gli esperti economici, tecnici e giuridici a formulare osservazioni al riguardo. Per parte nostra intendiamo solo esprimere osservazioni per quanto attiene alla politica e ai doveri che le spettano.
Gli economisti e studiosi dei trasporti fanno la loro parte. E la fanno bene, in relazione agli strumenti e ai dati di traffico disponibili, sempre in evoluzione. Pertanto incerti. Studiano aspetti problematici di enorme complessità. Come fa la “Relazione tecnico-giuridica” allegata all’analisi appena presentata dalla Commissione tecnica al Governo che, con onestà intellettuale, dice infatti: «I molteplici profili evidenziati non consentono di determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento». Che poi, guarda caso, è questione che sta nel cuore degli aspetti dirimenti del dibattito. Come difficile è la quantificazione dei cosiddetti costi esterni (es. danni ambientali, decessi per malattie e minore gettito da accise, ecc.). E si confrontano con teorie economiche per molti versi tra loro non convergenti. Il più delle volte contrastanti. Espongono previsioni che sono difficili, visto che le proiezioni guardano a un orizzonte temporale lungo e a movimenti di persone e merci su un corridoio (n.5) di centinaia di chilometri, che percorre territori di diversi Paesi. Non per questo vanno sottovalutate. Anzi. Ma….
Il compito della politica
Ma la politica ha un altro compito e precise responsabilità. Deve scegliere in funzione degli obiettivi strategici, e quindi politici, posti a base del progetto. Deve tenere conto di come il progetto ha avuto origine, e scegliere in relazione alla convenienza politica di tenere l’Italia agganciata all’Europa con la “maglia” della Rete ferroviaria europea passante per l’Italia. È la convenienza politica l’altro nome della nuova TAV, ovvero la Nuova Linea Lione–Torino (NL-TL). È in funzione dell’obiettivo di questa nuova linea che la politica deve scegliere: l’obiettivo dell’integrazione dei popoli e delle economie dell’Europa, al cui sostegno sono programmati anche i più adeguati sistemi di trasporto.
Strano che tutto questo trapeli appena, quando non è del tutto omesso, nel dibattito. Ancora più strano che tutti si lascino distrarre da questioni che sono fuori dal cuore del problema. Senza nessuna ferma opposizione all’ambiguo dilemma, chi ne discute si lascia intrappolare dall’antitesi che fa leva sulla rivalsa sociale. Di chi dice, niente TAV: piuttosto effettuare interventi su strade, scuole, miglioramento del trasporto pendolare. Tutte opere assolutamente necessarie, ma che solo l’artificio polemico può opporre come alternativa alle ragioni per cui i governi italiani, tutti, succedutisi nei decenni passati, impegnarono risorse e decisioni politiche perché un’asse della Rete trans europea attraversasse l’Italia.
Si può cambiare idea
Nessuno nega che si può cambiare idea. Anche i governi, e le relative politiche. Per fare tutto questo non è necessario munirsi di nuove analisi. Che possono aiutare la politica, ma non sostituirsi ad essa. È la politica, con l’assunzione di tutte le relative responsabilità, attuali e future, che decide. Si possono fare scelte nuove e non tenere conto che:
- Sono stati costruiti circa 30 chilometri di gallerie, strutture che costituiscono già una parte del tunnel o gallerie di servizio: circa 10 chilometri sono le parti del tunnel che hanno una sezione già di oltre 10 metri (che sarà quella definitiva dell’opera), mentre altri 20 sono con gallerie ampie sei metri che saranno utilizzate per le interconnessioni. (Cfr. audizione dinanzi alla Commissione Trasporti del Commissario straordinario del Governo per l’asse ferroviario Torino-Lione, 16 Gennaio 2019).
- Si rischia di pagare indennizzi alla Francia e restituire all’Ue i fondi ricevuti.
- Anche «l’alternativa zero» nel senso di non fare più niente e revocare decisioni già prese non è senza costo. A parte quelli legati alla chiusura dei cantieri e a tutte le conseguenza sul piano economico e occupazionale, c’è da considerare l’ulteriore congestione del traffico stradale che si determinerà via via che si esauriranno le residue capacità della linea storica (1871). E, quindi, ulteriore inquinamento ambientale.
- L'attuale tunnel non consente il passaggio di treni con semirimorchi ribassati e grandi container (high cube).
Eppure, a nostro avviso, non sono questi i parametri (ne abbiamo elencato solo alcuni) su cui formulare decisioni per decidere se continuare o no l’opera. Ovvero non sono questi gli aspetti che devono condizionare la politica nella decisione: continuare o bloccare l’opera.
La responsabilità di una scelta
Il tunnel di 57 chilometri sotto le montagne non può essere il feticcio intorno al quale accapigliarsi per difenderlo o abbatterlo. In fondo esso rappresenta solo la plastica applicazione di un’idea. La realizzazione di un asse importante della Rete ferroviaria europea in funzione dell’integrazione economica e sociale dell’Europa. È su questo ed è esclusivamente su questo che la politica deve pronunciarsi e deve assumersi la responsabilità di dire chiaramente se vuole o non vuole che l’Italia continui a partecipare alle sfide, in comune, lanciate dall’UE ormai da 40 anni e più, concretizzate già in numerose realizzazioni e riepilogate nel Libro Bianco sui Trasporti (2011). Questo aggiorna il progetto dello spazio unico europeo dei trasporti per facilitare gli spostamenti di persone e merci, per ridurre i costi e migliorare la sostenibilità dei trasporti europei; definisce un dettagliato cronoprogramma: Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti — Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile.
In particolare, per quanto riguarda il progetto di cui parliamo, non bisogna dimenticare che il 20 ottobre 2010 la Camera dei Deputati approvò all’unanimità (all’unanimità!) 4 mozioni con le quali il Governo veniva impegnato a confermare la valenza strategica della realizzazione della nuova linea Torino-Lione (NL-TL) come asse decisivo per i collegamenti europei.
Obbedisce a questo indirizzo il progetto NL-TL le cui performance si ritrovano poi nel Regolamento (UE) n. 1315/2013 che fissa disposizioni per lo sviluppo di una Rete trans europea dei trasporti in “ragione del loro grado di maturità, dalla conformità con le procedure giuridiche dell'Unione e nazionali”. Come l’asse ferroviario Torin-Lione, appunto, decisivo nella strategia di un equilibrato sistema d’infrastrutture finalizzate a politiche di sviluppo e governo del territorio dell’Unione e dei singoli Paesi che la compongono. E su queste basi, a firma del Presidente della Repubblica, è stato ratificato l’accordo internazionale Italia-Francia (24 febbraio 2015) per l'avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione (Legge 5 gennaio 2017, n. 1).
Il costo politico
Tutto il progetto può essere accantonato, perché infine è la politica che deve decidere. Ancora una volta, dopo la recente analisi. Può decidere di non farne più niente. Ma deve mettere nel conto, a parte quelli considerati nell’analisi, l’altro costo: il costo politico della rinuncia: l’isolamento. Quale Stato, d’ora in poi, potrebbe fidarsi di un Paese con una tale volatilità di comportamento, anche dinanzi a impegni internazionali da tempo sottoscritti e opere d’ingenti investimenti già avviati? E l'Unione Europea potrebbe essere coinvolta, un giorno, in finanziamenti di altri progetti internazionali in cui sarebbe presente anche l’Italia? Sarebbero disponibili gli altri Stati ad esprimere il loro consenso?
Conclusioni
Ci riportiamo, per concludere, al discorso con cui abbiamo cominciato; dalle considerazioni sulle potenzialità del nostro Paese, che restano compresse da ricorrenti vicende e da decisioni sempre rinviate. E, se prese, poi sconfessate.
Vale la pena guardare agli obiettivi politici da cui è nato il progetto strategico originario detto TAV (ma è NL-TL), quello avente caratteristiche e obiettivi definiti a livello europeo; e decidere se l’Italia deve restare o non sulle rotte commerciali che attraversano l’Europa. Favorevoli e sfavorevoli all’opera dovrebbero almeno convenire che questo è il tema di fondo. Sul quale ragionare, discutere. E, infine, decidere di decidere.