Sostenibilità nella supply chain: sfide e opportunità
Sara Cattaneo
SCOPO 1: legato alle emissioni “dirette”, ovvero prodotte direttamente dai siti aziendali;
SCOPO 2: legato alle emissioni indirette generate dall’utilizzo di energia;
SCOPO 3: legato alle emissioni indirette provenienti da asset non di proprietà dell’azienda stessa, ovvero da prodotti installati presso i propri clienti e/o soprattutto dalla catena di fornitura.
La sfida (e l’importanza) della raccolta dei dati
Livelli di sub-fornitura
Disposizione geografica della supply chain.
Un altro fattore che influenza notevolmente la difficoltà di reperire i dati relativi alle emissioni di CO2 legate alla supply chain è la disposizione geografica della supply base stessa. Quelle aziende infatti che, per esempio, sono localizzate in Cina o India, o più in generale nei cosiddetti emerging market, hanno solitamente una supply chain più localizzata, da cui possiamo evincere che la maggior parte delle emissioni avverrà all’interno della nazione stessa. D’altra parte, le aziende che producono in altre nazioni, tra cui per esempio l’UE, solitamente hanno una supply base più complessa e diramata, in cui si trovano molto spesso a importare molto dal Far East o da mercati a costi inferiori, trovandosi quindi con un carbon foot print delle proprie emissioni molto più complesso e frazionato tra tante nazioni. Questo può comportare una maggiore difficoltà di raccolta dei dati, sia per la molteplicità di interlocutori e casistiche, sia per la varietà di maturità nell’approccio agli standard che le varie nazioni potrebbero presentare tra loro.Livello di maturità dei propri fornitori.
All’interno della propria supply base il livello di maturità e readiness verso i vari temi della sostenibilità non è lo stesso per tutti i fornitori.Mi aspetto quindi che probabilmente le aziende multinazionali da cui ci forniamo possano essere più “mature” sull’argomento e pronte a fornire qualche dato significativo, mentre le piccole-medie imprese possano essere più in difficoltà e ancora bisognose di supporto e di linee guida.
Unendo tutti gli aspetti sopraccitati, si delinea quindi un quadro non semplice, da cui emerge chiara l’importanza di:
- aumentare l’analisi e la comprensione dei dati relativi all’intera value chain;
- in parallelo, bisogna iniziare a inserire i requisiti relativi alla trasparenza dei dati e ai target di sostenibilità già nella fase di selezione di nuovi fornitori;
- costruire un sistema digitale di raccolta e anche monitoraggio dei dati;
- supportare i fornitori nel delineare una direzione da intraprendere;
- lavorare gomito a gomito in un vero rapporto di partnership con clienti e fornitori con l’obiettivo comune di sviluppare soluzioni sostenibili.
L’impatto sui costi
Fino ad ora forse l’accento principale è stato posto sui benefici, più che sui costi, che derivano da un approccio sostenibile, cosa più che giusta visto che il principale motore di questo cambiamento è proprio il sogno, anzi l’obiettivo, di avere una società e un ambiente con meno emissioni di CO2.La complessità dell’argomento legato alla reperibilità e alla raccolta dei dati di cui abbiamo fin qui parlato probabilmente, in realtà, non ci consente di avere un quadro già perfettamente limpido relativo all’eventuale impatto dei costi derivante dalla transizione sostenibile della supply chain.
Infine, è altresì vero che tante tecniche e approcci relativi a processi produttivi più sostenibili sono essi stessi ancora in evoluzione.
Per esempio, qualche settimana fa ho visitato una fonderia particolarmente all’avanguardia su argomenti di sostenibilità, che per la natura stessa del processo manifatturiero del proprio prodotto è altamente impattata dalle tematiche di sviluppo sostenibile. Lì ho imparato che il primo passo su cui stanno investendo è rappresentato dalla transizione al cosiddetto forno ad arco elettrico, ma questo non è di certo il solo né l’ultimo step che si aspettano in questo percorso.
Mi hanno parlato per esempio anche di un’ulteriore evoluzione, che prenderà sempre più piede, relativa alla tipologia di materiale da usare come input per il processo di fusione, che passerà da materiale di scarto da fondere a materiale parzialmente già decarbonizzato: si tratterà quindi di un materiale più “nobile”, ma anche più costoso.
D’altra parte, nel settore plastico, le stime preliminari di aumento costi relative ad alcuni materiali (pervenute circa un anno fa) sembrano in fase di miglioramento grazie alle continue scoperte e a nuovi approcci.
Tutto ciò ci porta quindi a dire che la possibile stima di impatto sui costi sarà in continua evoluzione, legata all’introduzione di nuove tecniche e materiali, e quindi andrà continuamente aggiornata.
Riassumendo però, possiamo considerare che il processo di transizione sostenibile porti mediamente a una tendenza verso l’aumento dei costi d’acquisto dei materiali. Nonostante questo, la sostenibilità dei nostri prodotti non è un aspetto su cui possiamo scendere a compromessi.
Quindi credo che ci siano tre principali riflessioni da fare:
- Le aziende dovrebbero considerare quest’occasione come un’opportunità per rivalutare il contenuto di materie prime nei propri prodotti, e investire sulla Ricerca&Sviluppo per ottimizzarlo ulteriormente. Quest’attività potrebbe naturalmente aiutare a bilanciare quell’aumento dei costi che ci attendiamo dall’altro lato.
- Dovremmo altresì interrogarci sui costi della non sostenibilità: se da un lato infatti parliamo di incentivi e investimenti legati alla transizione sostenibile, dall’altro ci saranno presto sanzioni e penali legate al mancato rispetto delle norme, o costi più alti legati allo smaltimento di materiali non sostenibili, per non citare poi la potenziale perdita delle quote di mercato nel caso in cui non si soddisfino i criteri di sostenibilità.
- L’ultima considerazione da fare è più legata a un concetto di partnership, sia con i clienti che con i fornitori, in cui ogni azienda dovrebbe investire tempo e risorse atte al raggiungimento di obiettivi comuni, questo anche a voler rappresentare il fatto che la sostenibilità non debba essere un semplice costo da ribaltare sul cliente finale, ma il risultato di uno sforzo collettivo teso in primis al miglioramento dell’ambiente in cui viviamo, e implicitamente a una visione comune che non comporti interpretazioni difformi delle norme, né spreco di tempo e risorse per lo sviluppo di soluzioni “in silos”.
Dobbiamo quindi tutti insieme iniziare a non considerare la trasformazione sostenibile come un onere, ma come un vero e proprio investimento sul futuro.