Con l’APE cerchiamo di non ripercorrere la solita strada
Le proposte governative sull’anticipo della pensione comprendono riduzioni progressive all’aumentare del reddito della pensione. Emerge la solita visione distorta dell’equità offuscata dall’invidia sociale. Chi ha versato i contributi e si è guadagnato il diritto alla pensione non può essere penalizzato con l’ennesimo contributo di “solidarietà” collegato all’Anticipo della PEnsione.
Franco Del Vecchio
Consigliere ALDAI e Federmanager – franco.del.vecchio@tin.itEssere previdenti vuol dire pensare al futuro e “mettere da parte”, come le formiche, le risorse utili a superare i momenti difficili per assicurarci una vecchiaia decorosa e coerente con il tenore di vita raggiunto.
Per la previdenza versiamo obbligatoriamente un terzo dei nostri redditi e per un dirigente che percepisce quattro volte lo stipendio di un impiegato, i contributi previdenziali sono naturalmente quattro volte superiori, per poter poi beneficiare di corrispondenti risultati pensionistici: coerenti con il tenore di vita che si è guadagnato e sostenibili per il bilancio del Paese.
Nel secolo scorso il percorso di vita era distribuito in tre fasi ben distinte: infanzia-formazione a carico dei genitori, lavoro caratterizzato dalla permanenza nella stessa impresa, con responsabilità e redditi crescenti, che si concludeva con la prevista pensione.
Ora sono intervenuti numerosi fattori che hanno reso instabile tale percorso: l’allungamento della vita media, la flessione dell’ammontare dei contributi, il susseguirsi di molteplici esperienze di lavoro in diverse imprese, con intervalli di disoccupazione e precariato crescenti, nonché l’allargarsi del “baratro” fra l’ultimo lavoro e la pensione, rinviata dai ripetuti interventi governativi.
A fronte di questi radicali cambiamenti non si è avuto ancora il coraggio di ridisegnare i principi previdenziali per assicurare stabilità e certezza del diritto, preferendo invece intervenire con “manutenzioni” correttive finalizzate a salvaguardare l’impianto ideato un secolo fa.
Le esigenze di bilancio dello Stato, e un malinteso senso di equità, hanno generato negli ultimi decenni ripetuti interventi pensionistici caratterizzati da interessi populistici-elettorali, con sei blocchi della rivalutazione delle pensioni e contributi di solidarietà a carico del ceto medio, e quindi della dirigenza, ritenuti illegittimi a volte anche dalla Corte Costituzionale.
È diventata perversa abitudine del legislatore utilizzare il “bancomat” delle pensioni del ceto medio per finanziare gli interventi che richiedono copertura finanziaria. Un’abitudine così diffusa da essere presa in considerazione anche quando non ve ne è alcun bisogno, e il sospetto di trovarci di fronte ad una forma di persecuzione che trae spunto ed eccita l’invidia sociale si rafforza ad ogni episodio.
Esaminiamo nel merito il dibattito sull’APE
APE sta ad indicare la proposta di Anticipo della PEnsione, con una riduzione della stessa in funzione degli anni di anticipo. Ma attenzione, si prevede già una percentuale crescente di tale riduzione sulla componente retributiva della pensione in funzione del reddito; e qui siamo alle solite.
L’articolo del Sole 24 Ore del 9 maggio 2016 “Renzi: con «APE» in pensione gli over 63”, propone infatti: “A confermare ufficialmente che con la prossima manovra 2017 scatterà un meccanismo per rendere flessibile la legge Fornero è Matteo Renzi in persona, nella diretta pomeridiana #Matteorisponde. Un meccanismo che, sulla base delle indicazioni della cabina di regìa economica di palazzo Chigi guidata dal sottosegretario Tommaso Nannicini, dovrebbe poggiare su una penalizzazione graduata a seconda del reddito per chi decide di anticipare il pensionamento rispetto ai requisiti di legge. La penalizzazione sarebbe solo sulla parte del montante calcolata con il retributivo, poiché la quota contributiva determina da sé una penalizzazione con l’anticipo.”
In buona sostanza il costo dell’APE dovrebbe essere a carico del pensionato con una diversa distribuzione del monte pensionistico personale sul presunto maggior numero di anni. Per un calcolo semplicistico considerando una pensione media di 20 anni bisognerebbe accantonare un 5% ogni anno per aggiungere un anno di pensione con gli stessi risparmi senza calcolo di interessi.
Sebbene non siano ancora definite le percentuali di riduzione delle pensioni anticipate, già si sviluppa il dibattito-propaganda con finalità elettorali; naturalmente un dibattito che tende a stabilire i presupposti per l’ennesimo prelievo a carico del ceto medio con presunti criteri di equità sociale, che avrebbero poco o nulla a che vedere con i principi di equità contributiva che merita valutare in queste situazioni:
- se il lavoratore ha bisogno o desidera anticipare la pensione non dovrebbe per questo essere penalizzato oltre il calcolo attuariale che ridistribuisce la pensione su un numero maggiore di anni;
- la componente contributiva della pensione anticipata dovrebbe utilizzare il normale calcolo basato sulla contribuzione versata;
- la componente retributiva della pensione dovrebbe essere ridotta per tener conto del numero maggiore di anni di pensione e minor numero di anni di contribuzione, ad esempio 5% all’anno e tale percentuale dovrebbe essere uguale per tutti i lavoratori che abbiano versato sufficienti contributi a prescindere dal livello di pensione.
L’eventuale aumento della percentuale di decurtazione, oggetto delle varie proposte legislative, non dovrebbe essere applicato nei confronti di coloro che vantano contributi versati sufficienti a sostenere il livello di pensione retributiva con l’equivalente metodo contributivo.
In buona sostanza cerchiamo di valorizzare la contribuzione, e quindi delle risorse accantonate dalle “formiche”, nel momento della restituzione piuttosto che le “cicale” per di più a scapito delle “formiche” ; e soprattutto cerchiamo di non scaricare gli eventuali costi dell’APE sui soliti noti (leggasi dirigenti, che hanno sempre pagato tasse e contributi), come ha dichiarato il Sottosegretario alle Finanze Pier Paolo Barretta nel suo intervento all’Assemblea Federmanager dello scorso 6 maggio a Roma, riscuotendo un prolungato applauso.
Poi ci sono naturalmente le questioni finanziarie dello Stato che non ha in cassa la liquidità per far fronte all’anticipo di tali pensioni e che non può aumentare il debito oltre i parametri UE. A superare tali ostacoli provvede la finanza creativa facendo intervenire le banche, che non si faranno certo scappare l’occasione per fare il loro business. Ma questo è tutt’altro argomento.
Consiglio però agli interessati all’APE di verificare direttamente con la banca quanto costerebbe un analogo prestito ponte per arrivare alla pensione e confrontarlo con la proposta governativa; meglio informarsi prima di decidere, non si sa mai …
In buona sostanza il costo dell’APE dovrebbe essere a carico del pensionato con una diversa distribuzione del monte pensionistico personale sul maggior numero di anni. Se mai ci fossero dei costi sociali aggiuntivi dovrebbero essere: a carico delle imprese che desiderano Anticipare il PEnsionamento del dipendente, a carico del lavoratore se fosse lui stesso interessato a tale anticipo, mentre rimarrebbero allo Stato solo i casi estremi delle imprese fallite.
Non c’è alcuna logica di equità sociale che possa giustificare il taglieggiare, nel momento del bisogno, il risparmiatore che ha anticipato con i propri versamenti contributivi la sua pensione. Chi ha versato i contributi e si è guadagnato il diritto alla pensione non può essere penalizzato con l’ennesimo contributo di solidarietà collegato all’Anticipo della PEnsione.
Quel dirigente l’APE se l’è pagata da tempo.
01 giugno 2016