La classe media tra ruolo di equilibrio e progressivo logoramento

La questione della classe media è stata trattata più volte in questa Rivista. Ha registrato notevole attenzione anche in recenti manifestazioni e convegni organizzati da Federmanager e CIDA, amplificata dai media

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Cronologia. Il 6 ottobre scorso: Siamo tutti lavoratori, convegno dei pensionati organizzato da CIDA e da ALDAI-Federmanager a Milano. Il 7 novembre, a Roma, nella sede del Cnel presentazione (Itinerari previdenziali/CIDA) del Rapporto sulla Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano; il 10 novembre audizione CIDA al Senato in quanto Organizzazione che rappresenta un’importante porzione del ceto medio e medio-alto; il 15 novembre Assemblea Nazionale di Federmanager a Roma. 
Tutti eventi che hanno accompagnato la preparazione della petizione indirizzata al Governo Salviamo il ceto medio che dal 20 novembre è promossa su change.org
Obiettivo della petizione: difendere il ceto medio dai ripetuti interventi iniqui che da anni colpiscono ingiustamente coloro che rappresentano il motore dell’economia e una fascia importante delle attività produttive del Paese. 
Scopo delle diverse iniziative intraprese: chiamare la politica alle sue responsabilità nei confronti della classe media – una componente sociale che da sempre svolge un ruolo cruciale nel mantenere l’equilibrio economico del Paese – e contribuire alla costruzione di una comunità basata su sviluppo ed equità. 
La linea dei commenti sviluppatasi nelle occasioni sopra elencate ha evidenziato le difficoltà sempre più stringenti con cui la classe media è costretta a fare i conti. 
Ci è parso utile richiamare, in breve, le origini della questione e il seguito che essa ha avuto nel tempo, nella convinzione che si possano ripensare anche le politiche che hanno generato storture e iniquità, e far emergere così indicazioni ed energie capaci di porvi rimedio. 

La Politica

Scritti, conferenze, dibattiti, e, sullo sfondo, dati non proprio rassicuranti. La questione ha una centralità che è tutta politica. Non nuova. Anzi, è antichissima, fino a risalire ad Aristotele (384-322 a.C.). Nell’opera La Politica troviamo, infatti, una prima sistematizzazione della “classe media”, (o, anche, “ceto medio”). Per il filosofo dell’antica Grecia è la classe dei medi proprietari terrieri e, in maniera più estensiva, la componente sociale che non è né troppo ricca né troppo povera. Premesso che, nell’opera, il termine “politica” si riferisce al concetto più ampio di polis, nel significato di città-stato o comunità politica, Aristotele delinea la collocazione sociale e la funzione della classe media: una funzione chiave nel mantenere l’equilibrio tra gli estremi della ricchezza da una parte e della povertà dall’altra. La situazione si complica, dice il filosofo, e diventa carica di rischi “a causa della frequente esiguità numerica del ceto medio”. Perché “qualunque dei due [schieramenti, n.d.r.] ha la ventura di dominare gli avversari, non stabilisce una costituzione comune e basata sull’uguaglianza, ma si prende come premio della vittoria una superiorità politica”. Come quelli che avevano esercitato l’egemonia sull’Ellade (evidente allusione agli ateniesi e agli spartani), e che guardavano entrambi ai rispettivi modelli di costituzioni “badando non all’utile degli stati, ma solo al proprio” […]1. Di qui l’esigenza di Costituzioni in grado di “neutralizzare” il conflitto fra le diverse componenti sociali. Idea che si è fatta strada nel tempo, attraverso i pensatori del Rinascimento e dell’Illuminismo.

E, in effetti, ha preso corpo a partire dal XVIII secolo in poi (America, Francia), nelle Costituzioni dove troviamo, con differenti modalità di applicazione, il principio organizzativo della gestione del potere, diviso, sotto costante vigilanza di pesi e contrappesi. 
Nella descrizione del filoso si legge la composizione tripartita della società del suo tempo: “In tutti gli Stati esistono tre classi di cittadini [i] molto ricchi, i molto poveri, e, in terzo luogo, quanti stanno in mezzo a questi”. Quella che oggi diciamo “classe media”. Precisiamo: la tipologia di “classe media”, come le altre considerazioni di Aristotele, vanno contestualizzate al suo tempo. Va aggiunto che il modello di Costituzione di cui egli parla non è stato mai applicato concretamente, in nessun luogo. Questi richiami alla corretta lettura dell’opera del filosofo nulla tolgono al valore del suo pensiero. Perché quelle riflessioni hanno avuto un’ampia estensione nel tempo. Hanno attraversato epoche ed eventi di grande portata, influenzando filosofia, economia, diritto, sociologia; un filo di approfondimenti e studi di molti secoli giunto fino a noi. E, infatti, molti altri pensatori hanno esaminato e discusso la questione della classe media o, comunque, delle classi sociali, ciascuno con prospettive diverse e in contesti storici specifici. Fra quelli vissuti negli ultimi secoli ne citiamo solo alcuni, tra i più noti: John Locke (1632-1704), Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), Karl Marx (1818-1883), John Maynard Keynes (1883-1946), Vilfredo Pareto (1848-1923). E, per venire ai nostri giorni, merita segnalare l’economista francese Thomas Piketty (nato nel 1971). Il suo saggio “Capital et Idéologie” ha influenzato in maniera significativa il dibattito sulle disuguaglianze sociali e sulla perdita di reddito della classe media a livello mondiale (teorie condivise, ma anche molte osservazioni critiche). Egli illustra come gli appartenenti alle classi medie e lavoratrici dei Paesi ricchi siano stati in gran parte tagliate fuori dalla crescita globale nel periodo 1980-2018. Per contro, ne hanno fortemente beneficiato altri gruppi sociali, situati al di sotto e al di sopra di essi. Mostra il fenomeno in un grafico che sembra la silhouette di un elefante e perciò l’autore lo ha intitolato “La courbe de l’éléphant des inégalités mondiales, 1980-2018”. In breve, osserva Piketty: se la distribuzione globale del reddito fosse rimasta sempre in equilibrio, allora, piuttosto che una flessione della curva vedremmo una linea piatta. In altri termini, conclude: “Il fatto che ci si trovi così lontani da una curva piatta dimostra la portata delle trasformazioni in atto” (ns. trad.).

Ricerche e studi sulla classe media

L’OCSE, per parte sua, informa che da circa trent’anni le famiglie della classe media sono sotto pressione. Le sue analisi dicono che la classe media sta perdendo slancio; che il suo tenore di vita, in molti Paesi aderenti all’Organizzazione, è peggiorato o comunque non è cresciuto. La percezione più diffusa è che l’attuale sistema socioeconomico è ingiusto e che la classe media non ha beneficiato della crescita economica in proporzione al contributo che essa ha dato e dà per realizzarla. Altro dato: la classe media sta diminuendo, in ragione del fatto che i posti di lavoro finora da essa occupati stanno scomparendo; essa percepisce la continua riduzione dei suoi redditi.3

Questo breve excursus su analisi e documentazioni economiche dei giorni nostri ci riporta alle riflessioni del filosofo greco a proposito delle conseguenze che derivano dalla “frequente esiguità numerica del ceto medio”. Esiguità non solo numerica, ma anche in termini di perdita di ruolo. Analisi attualizzate ci vengono da noti sociologi moderni. Sono illuminanti alcuni passaggi che si leggono nei loro saggi. 
Già qualche decennio fa, il sociologo Armando Bagnasco diceva: “Se in passato l’immagine che trasmetteva era quella di un corpo assestato, oggi il ceto medio sembra confrontarsi sempre più con una condizione di disagio e polarizzazione sociale […]. Lungi dall’essere solo un insieme informe e passivo, il ceto medio può frapporre pesanti ostacoli, oppure offrire risorse fondamentali, alla costruzione di una società capace di sviluppo ed equità. È qui che si gioca la possibilità di una democrazia sana, ed è qui che possono maturare minacciose derive reazionarie, come già altre volte in passato”.4 

Giuseppe De Rita (sociologo, fondatore del Censis, Centro Studi Investimenti Sociali) segnalava, intanto, la prospettiva su cui si stava incamminando il nostro Paese. Diceva che il ceto medio italiano sebbene avesse subito “il colpo durissimo dell’introduzione dell’euro (in pratica, un dimezzamento del valore reale della moneta)”, si era poi rialzato. Purtroppo – aggiungeva – da quindici anni l’Italia aveva smesso di crescere. Ed era “l’unico Paese industrializzato che nello stesso arco di tempo [aveva, n.d.r.] visto diminuire la produttività”. Di conseguenza, osservava: “L’impoverimento è vissuto piuttosto come paura e incertezza sul futuro dei propri figli, che potrebbero vedere regredire gli standard di vita conquistati dai genitori. E fare così un passo indietro rispetto a decenni di crescita costante, alla rete di copertura del welfare, alla certezza del lavoro attraverso le garanzie del posto fisso. Da qui l’insicurezza, e lo spaesamento”.5 
Istituti di ricerca in materie economiche e sociali stanno fornendo continuamente, in questi anni, studi corredati da puntuali informazioni numeriche ed elaborati grafici. Nelle “Considerazioni generali” del 55º Rapporto del Censis (Ed. FrancoAngeli, 2021) troviamo il richiamo alle continue crisi ed emergenze attraversate dalla società italiana; e l’avvertenza che “Senza una coscienza collettiva, coscienza di coscienze, capace di guardare dall’alto e lontano quel che la società chiede o attua, senza un’unitarietà di approccio agli investimenti sociali, senza immaginare una politica di sviluppo, il Paese rimane prigioniero delle sue fragilità”. Considerazioni riprese nel Quinto Rapporto Auditel-Censis (2022) sui consumi mediatici. “Sono i consumi – si legge – lo specchio della società e ne riflettono trasformazioni e orientamenti”. Sulla base di questi parametri “Si assiste […] ad uno scivolamento verso il basso della classe media, che da medio-alta si fa media e da media diventa medio-bassa: il prossimo scalino, se non interverranno efficaci misure a sostegno del reddito, sarà la povertà”.6 

Ancora un progressivo logoramento, se il 1° dicembre 2023, nel 57º Rapporto sulla situazione sociale del Paese il Censis, descrive l’Italia come un Paese di “sonnambuli: ciechi dinanzi ai presagi”. Fenomeno non “imputabile solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella «maggioranza silenziosa» degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società.” 7 
Descrizioni spesso ricorrenti, e moniti che avrebbero dovuto indurre la politica a una riconsiderazione storica di eventi sopravvenuti negli ultimi 30-40 anni (cambiamenti strutturali dell’economia, globalizzazione, crisi economiche, innovazioni tecnologhe, deficit demografico, ecc.); e disporre, quindi, un’ampia partecipazione di tutte le componenti sociali allo sforzo di rinnovamento e sviluppo del Paese. Ma, come abbiamo detto altre volte su questa Rivista, i decisori politici, spesso, sono presi da altre urgenze; inseguono altre priorità, tali che, sul breve termine, assicurino “un consenso «popolare diffuso»”. 8
 

L’area del rischio

Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali offre continue analisi aggiornate su numerose questioni in materia economica e sociale. In particolare, avverte che “Un Paese senza una classe media rappresentata politicamente non ha futuro, anzi è il terreno di coltura degli -ismi: estremismi, nazionalismi, populismi, e così via”. […]. Aggiunge che “in questi 20 anni si è molto ridotta, […]” e che “sotto il profilo elettorale non interessa a nessuno: sono solo cittadini da «spremere» quando serve”. Infine, che “la classe media, quella dai 35mila euro in su – compresi i pensionati con una rendita pari o oltre 5 volte il minimo (cioè 2.580 euro lordi al mese, 36.500 lordi e 27mila netti) – è rappresentata da circa 5 milioni di soggetti che pagano il 60% di tutte le imposte ma sono esclusi dalla totalità di bonus, agevolazioni e così via”. 9 
Più recentemente nell’Assemblea Nazionale Federmanager del 15 novembre scorso, svoltasi a Roma sotto l’emblematico titolo A gran voce, il Presidente Stefano Cuzzilla ha denunciato ciò che non è più sopportabile. Ha detto: “Anche il gettito Irpef non smentisce l’andazzo, rivelando che un italiano ogni due si dichiara nullatenente e non versa nemmeno un euro di imposte. E viene da vergognarsi per il sommerso che c’è”. E, a proposito degli interventi che penalizzano la classe media dei pensionati, ha aggiunto: “Nessuno si senta in diritto di ledere l’aspettativa verso le pensioni che ci siamo pagati di tasca nostra, quando una pletora di assistiti e di evasori e di criminali non dichiara nemmeno un euro in tutta la vita”

Conclusioni

Esistono rimedi per fermare la deriva verso cui è spinta sempre più la classe media? Esistono strumenti per dire alla politica che la classe media è stanca di sentirsi continuamente sotto attacco? La risposta è sì, sempreché la classe media sappia trovare unità e occasioni per far sentire “a gran voce” la sua voce.

Mentre scriviamo è in corso la sottoscrizione della “Petizione” lanciata da CIDA Salviamo il ceto medio
È una iniziativa pubblica che chiama a una forte partecipazione collettiva. I numeri contano: meglio essere in molti.

NOTE
  1. Cfr. Aristotele, Politica, p. 138 e sgg.,  Laterza.
  2. Cfr. T. Piketty, Capital et Idéologie, pp. 39 e sgg.   Éditions.  du Seuil, 2019. Visualizza il grafico La courbe de l’éléphant des inégalités mondiales, 1980-2018
  3. (OCSE) OECD, Under Pressure: The Squeezed Middle Class (2019).
  4. Cfr.  A. Bagnasco, Ceto medio. Perché e come occuparsene: Una ricerca del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Premessa, 2012, Ed. il Mulino.
  5. Cfr. G. De Rita – A. Galdo, L’eclissi della borghesia, pp. 56 e sgg., Laterza, 2012.
  6. Cfr. Quinto rapporto Auditel-Censis, 19, dicembre 2022.
  7. Cfr. 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2023, Comunicato stampa Censis 1 dic.  2023.
  8. I. Guardiancich e D. Natali, Tra disintermediazione e concertazione: la difficile alternanza del policy making sulle pensioni in Italia, in Stato e mercato, Fascicolo 2, agosto 2019, il Mulino, pp. 271 sgg.
  9. Cfr. A. Brambilla, Senza classe media non c’è futuro, Il Punto, Itinerari Previdenziali, 27/2/2023.


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