La Sanità in Italia
Riforme e interventi normativi: la direzione è quella corretta?
Roberta Lovotti
Presidente della Commissione Previdenza e Assistenza Sanitaria ALDAI
L'articolo 32 della nostra Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. In Italia, dunque, l’accesso alla cura è previsto per tutti, anche a tutela della collettività, perché una popolazione sana vive meglio e costa meno allo Stato.
Nel 6º Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) della Fondazione GIMBE, il Presidente Cartabellotta descrive il nostro SSN come un sistema al capolinea, bisognoso di riforme strutturali, investimenti e cambiamenti radicali del modello organizzativo anziché di costanti tagli.
Nel fare il quadro della situazione precisa: «Il diritto costituzionale garantito da un Servizio Sanitario Nazionale sta inesorabilmente scivolando verso 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato. Con una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata». Aggiungerei, sistemi regionali, spesso in competizione tra loro, che non consentono razionalizzazioni di spesa, investono in progetti sovrapponibili e non mettono a fattor comune conoscenze e risorse.
Il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di 23,3 miliardi di euro, in media 1,94 miliardi per anno, ma con trend molto diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023) (vedi grafico 1).
Il picco d’investimento del +5,3% del 2020 ha coperto prevalentemente costi emergenziali dovuti alla pandemia, lasciando scarsissimi impatti strutturali. I modesti rialzi dell’ultimo biennio sono ben lungi dal compensare l’erosione della capacità di spesa dovuta all’inflazione. Anche rispetto agli altri Paesi europei l’investimento in spesa pubblica sanitaria annua pro capite è passato dai 2.278 euro del 2008, in linea con la media europea di 2.322, ai 3.255 euro del 2022, ben al di sotto dei 4.128 medi europei (vedi grafico 2).
Gli effetti si vedono: le liste d’attesa per la diagnostica, la specialistica e anche i ricoveri sono diventate lunghissime e ingestibili. L’accesso in emergenza è ancora più critico, i pronto soccorso sono al collasso per diverse ragioni:
- la progressiva diminuzione di ospedali pubblici, e crescita di quelli privati, non ha mantenuto gli stessi livelli di copertura della emergenza-urgenza: sono relativamente poche le strutture private dotate di pronto soccorso;
- la carenza di posti letto nei reparti trasforma l’area destinata all’osservazione breve intensiva in una sorta di attesa per il ricovero;
- l’inadeguatezza della medicina territoriale trasforma il pronto soccorso nell’unico luogo dove il cittadino può essere visto e ascoltato in tempi accettabili;
- la popolazione extracomunitaria ha, spesso, nel pronto soccorso l’unico punto di accesso alla cura.
Se questa situazione è difficile da vivere per i cittadini, per il personale medico e paramedico il problema si sta progressivamente aggravando. La scarsità di personale, turni pesanti e contesto scarsamente motivante, oltre all’inadeguatezza degli stipendi rispetto alla media europea, stanno portando i reparti di pronto soccorso a impoverirsi sempre di più.
Sta aumentando il numero dei medici, primari compresi, che abbandonano l’area Emergenza per andare a lavorare in strutture private o in posizioni meno stressanti. Secondo il rapporto CREA (Centro per la Ricerca Economica Applicata alla sanità), nell’area Emergenza- Urgenza, che include la Terapia Intensiva, solo il 57% dei posti vacanti viene coperto dai nuovi medici. Le specializzazioni che afferiscono a quest’area non attraggono i nuovi laureati in medicina, che preferiscono discipline che offrono maggiori sbocchi verso la libera professione e il mercato privato. Per sopperire alla carenza di organico si interviene con i medici a gettone. Solo in Lombardia lo scorso anno sono stati spesi quasi 28 milioni per i “gettonisti”. Gli interventi a copertura sporadica dei turni vengono remunerati circa 1.200 euro/turno: medici interni, liberi professionisti e personale di cooperative si rendono quindi disponibili a interventi ben ricompensati. Gli stessi soldi potrebbero essere meglio spesi per il potenziamento dell’organico e l’adeguamento degli stipendi di chi opera in modo strutturale negli ospedali.
Analogo ragionamento potrebbe essere riservato all’area delle Cure Primarie dove, a fronte della prosecuzione dell’esodo per pensionamento, solo il 75% dei posti che si scoprono viene occupato da un giovane medico specializzato. Tutto ciò ha come conseguenza una sempre maggiore difficoltà per i cittadini ad avere un medico di base che riesca a seguirli adeguatamente.
Quest’anno il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) ha deciso di aumentare il numero dei posti disponibili per la facoltà di medicina, che arriveranno a 19.000. Si auspica che analogo impulso venga dato ai posti per le specializzazioni. Tuttavia, per andare a regime ci vorranno anni. Inoltre, formare nuovi medici è fondamentale ma non basta: l’investimento sociale nella formazione del personale sanitario non va perduto a vantaggio di altri Paesi che li pagano meglio.
Passiamo ora al tanto scandaloso tema delle liste d’attesa, per l’abbattimento delle quali la Legge di Bilancio 2024 ha destinato una porzione dei tre miliardi aggiuntivi per la Sanità. In particolar modo tramite i seguenti articoli:
- Art. 42 – Incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive per il personale medico e per il personale sanitario del comparto sanità operante nelle Aziende e negli Enti del SSN (nota: non si parla di potenziamento dell’organico).
- Art. 45 – Misure per l’abbattimento delle liste d’attesa. L’articolo dà facoltà alle Regioni di utilizzare gli incrementi tariffari previsti dall’art. 42 per il coinvolgimento anche delle strutture private accreditate.
- Art. 46 – Aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati. Il tetto verrà innalzato di 8 punti percentuali nel triennio 2024-2026.
Appare chiaro che, in assenza di interventi strutturali per il potenziamento del personale del SSN, il finanziamento destinato alla riduzione delle liste di attesa andrà a beneficio delle strutture private accreditate, con un progressivo inevitabile spostamento delle prenotazioni sulle stesse strutture.
La cooperazione pubblico-privato è un valore importantissimo per il nostro sistema salute (il periodo pandemico ne è stata una dimostrazione palese). Ma il costante impoverimento del SSN a favore della sanità privata non porta vantaggio a nessuno (esclusi ovviamente i benefici economici per gli investitori del business sanitario). Sussiste inoltre il rischio che l’aumento della domanda verso i privati non porti al miglioramento della qualità del servizio e renda ancora più difficile per i malati ottenere le prestazioni di minor interesse per i privati, in quanto a bassa marginalità.
Sulla base dei dati ISTAT di giugno 2023, la spesa sanitaria per il 2022 è stata di 171.867 milioni, ripartiti per il 75,9% (pari a 130,4 miliardi) per le prestazioni SSN; per il 21,4 % (pari a 36,8 miliardi) per prestazioni pagate direttamente dai cittadini e per il restante 2,7% (pari a a 4,7 milioni) per prestazioni intermediate da Fondi e Assicurazioni sanitarie. Ciò significa che un quarto dei costi per la cura risulta direttamente o indirettamente a carico dai pazienti. Laddove la situazione del SSN dovesse restare senza interventi di miglioramento radicale, aumenterà il numero di persone che si autofinanzierà, in modo diretto o intermediato, tutte le cure e, soprattutto, crescerà ulteriormente il numero di cittadini che rinunceranno a curarsi (vedi grafico 3).
Infine, credo valga la pena una considerazione sulla sanità integrativa. I cittadini che possono e vogliono permettersi di investire sulla propria salute si affidano a Fondi e Assicurazioni sanitarie, con l’obiettivo di poter accedere a prestazioni di prevenzione, diagnostica precoce e cure più innovative. È indiscutibile che, vista la situazione demografica in Italia, il contributo della sanità integrativa, il cosiddetto terzo pilastro, risulta importante per lo Stato, perché contribuisce a migliorare la condizione di salute delle persone che vi aderiscono e assorbe alcuni costi che andrebbero totalmente a carico del SSN.
Purtroppo, il progressivo peggioramento del SSN sta trasformando la sanità integrativa in una sanità sostitutiva del SSN, mettendo a dura prova la sostenibilità di lungo periodo della spesa sostenuta dai Fondi e dalle Assicurazioni.
Da molto tempo chi si occupa di sanità integrativa chiede di partecipare attivamente alla progettazione di un sistema sanitario più efficiente, anziché essere considerato come mero soggetto pagatore.
Nella speranza che il triennio 2024-2026, periodo di attuazione dei progetti legati al PNRR, risulti l’occasione per dare una svolta nella giusta direzione, concludo questa sintesi con le parole usate dal Presidente della Fondazione GIMBE per chiudere il suo rapporto presentato il 10 ottobre 2023 al Senato: «Il preoccupante “stato di salute” del SSN impone una profonda riflessione politica: il tempo della manutenzione ordinaria per il SSN è ormai scaduto, visto che ne ha sgretolato i princìpi fondanti e mina il diritto costituzionale alla tutela della Salute. È giunto ora il tempo delle scelte: o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al SSN la sua missione originale, oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello di SSN. In questo (non auspicabile) caso la politica non può sottrarsi dal gravoso compito di governare un rigoroso processo di privatizzazione, che ormai da anni si sta insinuando in maniera strisciante approfittando dell’indebolimento della sanità pubblica. La Fondazione GIMBE, con il Piano di Rilancio del SSN, conferma che la bussola deve rimanere sempre e comunque l’articolo 32 della Costituzione: perché, se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la sanità deve essere per tutti».
01 dicembre 2023