Per chi suona la campana?

La campana di oggi suona per tutti

 Michele Carugi

Socio ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
Ogni morte d’uomo mi diminuisce, 
perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere 
per chi suona la campana:
Essa suona per te

Questo verso di John Donne (Londra, 1572-1631), ripreso da Ernest Hemingway nel suo romanzo omonimo e poi nel film di Sam Wood del 1943, è un invito perentorio a non chiamarsi fuori dalle vicende altrui, ma a considerarsi parte di un tutto.
Meno drammatico e più utilitaristico è il passo attribuito al pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller (1892-1984):

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. 
Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. 
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. 
Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. 
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

In questo caso, l’invito a opporsi a misure che non ci coinvolgono personalmente, per evitare di subirne in futuro senza che nessuno ci aiuti, è chiarissimo.

La dinamica dei tagli riservati alle pensioni negli ultimi 30 anni è un esempio pratico di come il disinteresse o, peggio, una sottile soddisfazione nel vedere decurtate le pensioni altrui più alte, portino a conseguenze che ampliano la platea dei colpiti, dando per una volta concretezza a quella che in logica viene condannata come fallacia del piano inclinato, ragionamento con cui, partendo da una tesi, si trae una sequenza di conseguenze presentate come inevitabili ma, in realtà, del tutto arbitrarie.

Chi, nel 1983 – anno nel quale per la prima volta venne introdotta la rivalutazione ridotta per fasce di importo, mantenendo tuttavia l’indicizzazione trimestrale – avesse preconizzato che ciò era il grimaldello che avrebbe aperto la porta a successivi peggiori maltrattamenti e all’allargamento progressivo della platea dei colpiti, sarebbe stato probabilmente tacciato di allarmismo immotivato e deriso, appunto, per carenza di argomentazione logica.
Invece, alla legge del 1983, che passò senza opposizioni, fece seguito già nel 1986 il passaggio a indicizzazione semestrale, il ché potrebbe sembrare poca cosa, ma in periodi di inflazione galoppante rappresenta una penalizzazione significativa; nel 1992 il Governo Amato (quello del prelievo notturno sui c/c) pensò bene di passare a indicizzazione annuale (tuttora vigente) il ché significa che per tutti i 12 mesi precedenti, mentre i prezzi aumentano costantemente, le pensioni restano invariate. 

L’appetito, però, vien mangiando e infatti, nel 1997 il primo Governo Prodi stabilì che la platea dei “ricchi” pensionati da penalizzare andasse ampliata a tutti coloro che avevano un assegno superiore a 5 volte il minimo (in termini odierni circa 2.500 € lordi) e, detto fatto, bloccò loro del tutto la perequazione per l’anno 1998; per il 1999 e 2000, invece, azzerò la rivalutazione solo dopo 8 volte il  minimo; in termini odierni 4.000 € lordi.

A quel punto, anche i meno inclini a predire disgrazie avrebbero dovuto allarmarsi un po’, invece… nessuna reazione, né composta né scomposta.

In assenza di opposizione, perché fermarsi? Così nel 2003 venne introdotto per la prima volta il “contributo di solidarietà”, ma sugli importi superiori all’equivalente di circa 12.500 € lordi di oggi, per cui tutti pensarono: “si portano via gli zingari… non ci riguarda”. 
Il contributo fu replicato nel 2006 per gli importi superiori a 1,5 milioni di € e qui “gli zingari portati via erano ancora meno…”.
Nel 2007 tornò al governo Prodi, il quale sembrava avere una repulsione per le pensioni superiori a 4.000 € lordi di oggi; infatti prontamente bloccò integralmente la loro rivalutazione per il 2008.
E, piano piano, siamo arrivati all’accoppiata Monti/Fornero che nel 2011 blocca totalmente  per il 2012 e 2013 la rivalutazione alle pensioni superiori a 3 volte il minimo (1.500 € lordi di oggi) così stabilendo il record di allora per la dimensione della platea dei pensionati ricchi; nell’occasione, en passant, il Governo Monti mette anche un contributo di solidarietà (ormai sdoganato come rituale e non eccezionale) del 3% su alcuni pensionati di ex fondi speciali. 

Reazioni? Quasi non pervenute. 

Forti della sostanziale impunità (e fregandosene delle sentenze della Consulta), i Governi iniziano a prenderci gusto, così nel 2013 viene allargata la platea degli “zingari da portare via”, stabilendo un tributo sulle pensioni superiori a 7.000 € lordi, mentre nel 2014 viene legiferato che coloro che erano passati al sistema contributivo con la legge Fornero non avrebbero potuto farlo se il loro assegno fosse salito rispetto al retributivo; quest’ultima cosa avrebbe dovuto spalancare gli occhi a chi crede che le riforme pensionistiche ecc. vengano fatte ispirandosi a un principio di correttezza ed equità.

Nonostante nel 2015 la Corte costituzionale dichiari illegittimi i blocchi ripetuti della non indicizzazione, il Governo di allora mantiene il blocco per gli importi superiori a 3.000 € lordi concedendo qualcosa solo a quelle tra 3 e 6 volte il minimo, mentre nel 2018 viene reintrodotto l’immancabile contributo di solidarietà e bloccata nuovamente la rivalutazione per gli importi sopra a 2.500 € lordi.
Dopo la parentesi del Governo Draghi, che aveva ripristinato il sistema di rivalutazione per scaglioni con le 3 percentuali originali (100%, 90% e 75%), sistema mai andato in vigore a causa della caduta del Governo, si arriva alla peggiore situazione mai verificatasi. 

Con l'inflazione al 10% nel 2022 e, probabilmente, nel 2023, il Governo Meloni ristabilisce la rivalutazione per fasce e concede una rivalutazione del 7,5% fino a importi di circa 2.100 € lordi, del 6% per importi fino a 2.600 € lordi, 4%  fino a 3.100 € lordi, 3,4 % fino a 4.200 € lordi, 2,7 fino a 5.250 € lordi, 2,3% per gli importi superiori.
In pratica siamo arrivati, per scivolamenti successivi, a stabilire che tutti i pensionati con assegni superiori a 2.100 € lordi (al netto siamo intorno ai 1.700 €) debbano perdere in due anni quote significative del loro reddito reale, con decurtazioni dell'ordine del 15% secco in due anni e per sempre, per le pensioni più alte.

Sarebbe interessante sapere cosa pensano ora coloro che nel 1983 fecero spallucce alla prima misura penalizzante sulle pensioni e che cosa sia successo nel frattempo alla loro previdenza.

Non si venga a dire che tutti questi accanimenti sono stati necessari per tenere in piedi un sistema altrimenti insostenibile, perché la previdenza, a sé stante, starebbe ancora in piedi da sola, ma è l’assistenza pletorica e cresciuta in modo ipertrofico a scassare i conti delle pensioni, per scelte populiste ed elettorali.

Con tutto ciò, chi oggi sta accantonando (forzatamente) contributi per la propria previdenza deve essere consapevole che fare spallucce a quello che accade alle pensioni oggi significa lasciare che la discesa sul piano inclinato delle misure draconiane continui, che i contributi che oggi egli versa potranno essere considerati tributi da esigere retroattivamente e che la sua previdenza potrà essere aggredita a piacimento di chi governerà, mentre non sarà rimasto più nessuno a protestare, per dirla con Niemöller.

La campana di oggi suona per tutti.


Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013.

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