Data science e green: il “linguaggio” vincente
La quarta rivoluzione industriale è realtà e con l’AI siamo ormai prossimi se non già alla quinta. Stiamo vivendo una fase di cambiamento radicale passata la quale il mondo produttivo non sarà più lo stesso.
Bruno Villani
Presidente ALDAI-Federmanager
Per l’industria è una questione vitale. Le aziende sono chiamate ad attrezzarsi e a farlo in fretta. Una risposta che però non sembra tardare ad arrivare se osserviamo il mercato italiano dei Big Data Analytics che appare, secondi alcuni risultati della ricerca dell'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, dinamico e sempre più maturo, con imprese che mostrano un livello avanzato di utilizzo delle tecnologie, sperimentazioni complesse e competenze di Data Science. Si tratta di realtà più virtuose affiancate, a detta del vero, anche da altre che, seppur in ritardo, si stanno attivando aumentando gli investimenti e puntando su progetti di integrazione dei dati. Solo nel 2019, recita l’indagine, il mercato Analytics ha raggiunto un valore di 1,7 miliardi di euro, in crescita del 23% rispetto allo scorso anno e oltre il doppio rispetto al 2015 (790 milioni). Se da un lato resta evidente il divario fra le imprese di grandi dimensioni e le PMI in termini di investimenti e competenze di Data Science – il 93% delle grandi imprese investe in progetti di Analytics, contro il 62% delle PMI –, dall’altra è proprio nelle piccole e medie imprese che si registrano un interesse sempre più crescente verso il tema e nuovi investimenti, seppur in uno scenario di complessivo ritardo dal punto di vista di risposta delle competenze adeguate e disponibili. Un gap quello formativo che necessita di misure e soluzioni efficaci.
Lo sanno bene anche gli atenei italiani che, a giudicare dall’andamento dei corsi istituiti nell’ultimo decennio e dall’aumento delle richieste di attivazione (+38%) che le nostre università hanno inviato al CUN (Consiglio Universitario Nazionale) in vista del prossimo anno accademico, sembrano scommettere sull'Intelligenza Artificiale. In un contesto generale che vede crescere l’offerta formativa complessiva, il primo dato che balza agli occhi riguarda il notevole incremento e recente sviluppo delle lauree dal titolo “intelligenza artificiale” o “artificial intelligence”, unitamente a una maggiore attenzione verso i corsi denominati “green”. Segno questo di una seria presa di consapevolezza dei tempi e delle necessità di figure sempre più specializzate da inserire in un’industria che evolve e vuole crescere. Cambiano le aziende, cambiano i Manager e anche il mondo accademico si presta a cogliere in modo sensibile e proattivo questo cambiamento. A fare la differenza oggi sono soprattutto le soft skill, le competenze trasversali, una combinazione di capacità cognitive, sociali, emotive. La capacità di adattarsi ai cambiamenti, di viverli senza subirli, l’attitudine a gestire dilemmi e risolvere situazioni delicate e conflittuali, sono tra le abilità più importanti richieste ai giovani che si approcciano al mondo del lavoro e non solo. Se da un lato quindi le parole chiave legate alla sopravvivenza e al rilancio del sistema imprese per le smart factory sono automazione, robotica, Internet of Things, Intelligenza Artificiale e Big Data, dall’altro non bisogna però dimenticare l’intelligenza umana. Perché la trasformazione che stiamo vivendo è anche e soprattutto un’opportunità e spetta a ciascuno di noi raccoglierne la sfida e dare il proprio contributo.
Il tutto è maggiore della somma delle singole parti e tutti, uniti verso un unico obiettivo, possiamo e dobbiamo fare la differenza per portare le nostre imprese, e il sistema Paese, a quell’eccellenza a cui siamo abituati e che è parte del nostro patrimonio culturale ed umano.
01 marzo 2020