Post Covid: sostenibilità, managerializzazione e people centricity

Lo scorso marzo, la Corte costituzionale tedesca ha definito la questione climatica, tramite una sentenza “radicalmente innovativa”, un’assoluta priorità dell’agenda politica.

 

Bruno Villani

Presidente ALDAI-Federmanager

Dichiarando parzialmente incostituzionale la legge del 2019 che prevede una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030 – considerate insufficienti per l’accordo di Parigi che richiama a una neutralità climatica entro il 2050 –, la normativa avrebbe l’effetto di scaricare sulle generazioni future gli impegni più onerosi per portare quasi a zero le emissioni di anidride carbonica, traducendosi in un sacrificio eccessivo per le prossime generazioni. La sentenza non solo garantisce una maggiore giustizia intergenerazionale, ma ripartisce lo sforzo più equamente, anche cioè lungo l’asse verticale del tempo, non tenendo quindi conto solo di quello orizzontale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, che pure comunque non va dimenticato. 

La pandemia altro non è che una crisi, come il cambiamento climatico, ma le pandemie diventeranno più problematiche se non assesteremo il cambiamento climatico. Ecco allora che lo sviluppo sostenibile non è più solo una questione ambientale, bensì un cambiamento profondo, culturale che necessita di una visione integrata, olistica e sistemica. L’Agenda 2030 fissa grandi e ambiziosi traguardi e i 17 obiettivi che la costituiscono rappresentano un piano per cambiare il mondo, ma affinché si concretizzi è fondamentale un cambio di mentalità e un decisivo cambio di passo nella sua realizzazione per tutti gli attori coinvolti. Mai come adesso, è necessario avere il coraggio di saper prendere decisioni anche impopolari, non basate sulla mera ricerca del consenso, svincolandosi dal relativismo e avendo sempre come obiettivo finale il bene comune e l’interesse generale. Secondo uno studio Asvis, le imprese che scelgono la sostenibilità hanno performance di produttività nettamente superiori con differenziale che arriva al 15% per le grandi realtà e al 10% per le medie. Economia e sostenibilità sono dunque legate positivamente. Ma questa tendenza continuerà anche dopo il Covid?

La crisi è stata una wake up call per capire come Manager, imprenditori e aziende devono agire ed investire con maggior consapevolezza. Ancora non sappiamo che tipo di ripresa avremo, se orientata alla crescita economica come quella dopo il 2008/2009 oppure se sarà una crescita green o a macchia di leopardo o, al contrario, invece se sarà comune sia dei territori che dei diversi settori. Da questo quadro, ancora incerto e in divenire, dipende non solo il nostro futuro ma anche il nostro presente: sono le nostre stesse aspettative infatti a determinare le decisioni sui nostri consumi e investimenti. Se anche prima che il Covid colpisse il mondo si trovava già in una situazione complessa che vedeva una minore cooperazione internazionale sullo sfondo di crescenti sfide globali – basti pensare al divario nella sfida digitale, per dirne una –, è stata proprio la crisi pandemica a far emergere ulteriormente criticità latenti e ataviche inefficienze. 

Pensiamo al nostro Paese: nel 2020 con l’effetto pandemia, il nostro export, che sostiene la nostra bilancia commerciale e rappresenta quasi un terzo del nostro Pil, ha registrato il dato peggiore dalla crisi del 2009 con un –9,7%. Il commercio globale si è fermato e interi settori hanno risentito più di altri degli effetti della riduzione della domanda estera. Ma in un tessuto industriale come quello italico, dove le piccole e medie imprese rappresentano oltre il 97%, perché una piccola o media impresa sia competitiva all’estero e non solo, necessita di essere “managerializzata”. In questa direzione va anche il progetto Sviluppo PMI attualmente in corso. Per conquistare un mercato e poterci dare obiettivi ambiziosi ma realisticamente raggiungibili, occorre partire da una corretta pianificazione strategica e da un piano di business all'altezza che abbia tempistiche, responsabilità e compiti ben definiti. Bisogna avere competenze strutturate e i Manager sono quindi le persone che possono traghettare le imprese su un terreno competitivo oltre i confini nazionali. Mai come ora necessitiamo di una forte, sana e concreta politica industriale da troppo tempo vera assente. Il Covid è stato uno tsunami che ha investito aziende e organizzazioni è vero, ma ciò che ne è gradualmente emerso è il valore intrinseco della persona all’interno delle imprese. 

La people centricity si conferma come uno dei driver fondamentali di crescita e sviluppo in questa fase di riorganizzazione del lavoro. È necessario tenere conto dell’humus valoriale e dell’apporto che ciascuno porta con sé e da lì, proseguire e ripartire. Il 2020 è stato un anno di sperimentazione per certi versi, ma sono fermamente convinto che il 2021 di tutto questo ne stia facendo tesoro. Ieri come oggi, i Manager sono in prima linea, giocano e devono giocare un ruolo guida ed essere punto di riferimento e esempio positivo da emulare.
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