L'Italia a un bivio tra popolo sovrano e debito sovrano ?
I pilastri della società moderna sono, come tutti riconoscono, la democrazia e l’economia di mercato: ci si chiede se possano essere in conflitto tra di loro e con quali conseguenze negative per la società. Stiamo vivendo in Italia un momento assai critico in cui questo interrogativo non è affatto pleonastico ed in cui le conseguenze di legittime scelte democratiche potrebbero portare conseguenze economiche devastanti su tutta la comunità.
A cura del gruppo dirigenti per l'Europa e del gruppo Cadd (Centro Analisi Dati Dirigenza)
Il 5 giugno alle 17 in Aldai si è tenuto un importante convegno su L’economia italiana nell’Europa unita, dove i dirigenti italiani hanno esposto alcune delle loro idee che qui vengono riassunte nelle linee fondamentali.
Come è stato già detto in altri articoli e convegni i dirigenti italiani sono profondamente legati all’Europa e ritengono che un'uscita dall'euro sia un enorme errore non solo per chi crede ideologicamente nell'Europa, ma anche per chi vorrebbe, in base alla volontà popolare espressa, migliorare alcune situazioni economiche richieste dai cittadini con il loro voto. Le competenze economiche che ovviamente differenziano un dirigente da un cittadino qualsiasi fanno esprimere ai primi una grande preoccupazione per il debito pubblico ritenuto, nell’indagine da noi fatta presso i colleghi sull’Europa, il problema più grave per l'Italia (insieme alla disoccupazione e alla crisi economica), mentre le risposte date dai cittadini comuni nell'indagine di Eurobarometro dimostrano che tra i problemi dell'Italia il cittadino comune non vede assolutamente ai primi posti il debito pubblico, tema che infatti non è stato oggetto più che tanto della campagna elettorale.
Anche se i dirigenti sanno benissimo che uno stato non è un’azienda (e spesso ce lo ricordano i professori che vengono a parlare da noi), la loro visione di base (che dall'azienda proiettano inevitabilmente sullo stato) è che se un ente o un'azienda è molto indebitata e non ha prospettive di sviluppo è molto probabile che finisca in amministrazione controllata e prima o poi fallisca, caso in cui il controllo di chi teneva le redini dell'azienda viene completamente sostituito da forze estranee, spesso con drammatiche conseguenze per tutti gli stakeholder dell'ente o dell’azienda stessa.
Si dirà che lo stato non può fallire e che l'azienda non può al contrario dello Stato emettere moneta, ma le drammatiche conseguenze sulle popolazioni e sulle aziende di uno stato in default che non può pagare i suoi debiti, casi purtroppo non rari negli ultimi 100 anni, sono sotto gli occhi di tutti a monito di quello che bisogna assolutamente evitare.
Per portare un contributo alla soluzione del problema abbiamo esaminato l'andamento del debito italiano nell'arco di più di 150 anni, ossia da quando è stato costituito il Regno d'Italia, in base al lavori fatti da autorevoli studiosi e sintetizzati nel grafico della Banca d'Italia che va dal 1861, anno in cui si è costituito Il gran libro del debito pubblico, fino a 2007.
Come si vede l'Italia ha affrontato e messo sotto controllo l’allora grande debito pubblico già alla fine dell'800 e all'inizio del 900 attraverso un saldo primario molto positivo e una forte crescita economica (Sonnino e poi Giolitti), ma allora non c’era la democrazia….. Successivamente, dopo la prima guerra mondiale, il debito è salito addirittura al 160% del PIL e ci ha pensato l'inflazione e soprattutto il condono del debito estero di guerra, insieme ad alcuni provvedimenti fiscali assai discussi, a fare rientrare il debito. Quasi in coincidenza abbiamo avuto però l’avvento della dittatura fascista che è ovviamente l'opposto della democrazia.
La prima evidenza è che il debito pubblico è stato quasi sempre un problema nella storia dell'Italia pur con alterne vicende e, dopo essere stato ridotto al 40% dalla fortissima inflazione postbellica, è rimasto inferiore al 60% del PIL solo negli anni dal 1946 al 1980 ossia all’avvio della democrazia. Ma proprio negli anni 80 prosegue la grande corsa all'accumulazione del debito pubblico finanziato, per così dire, sempre di più da una crescente inflazione, corsa iniziata negli anni 70 In cui l'Italia avvia un oneroso modello di protezione sociale analogo a quello vigente nei paesi europei. Si fa notare infatti, a sostegno di tale tesi di finanziamento del debito da parte dei detentori del debito pubblico, che fino al 1983 il tasso di inflazione era superiore, e talvolta in maniera consistente, al tasso medio pagato dal debito pubblico. Questa corsa ha un picco nel 1994 quando l'incidenza del debito sul prodotto lordo sale al 121% e gli interessi relativi incidono per ben il 12% del PIL.
Qualcuno si ricorderà le difficoltà nell’allocare il debito pubblico che tra i vari provvedimenti ha portato anche al fatto che parte dello stipendio venisse pagato in Bot. A salvare l'Italia da quella che avrebbe potuto essere la probabile dittatura del debito sovrano, con tutte le nefaste conseguenze, è stata come tutti sanno l’adesione al trattato di Maastricht ed alle politiche monetarie europee, nonché all’avvio di alcune riforme fondamentali avviate subito dopo, come la riforma delle pensioni del 1996, per arrivare alla fondamentale entrata nell'euro. Questi fatti hanno portato ad una discesa del debito pubblico fino al 104% nel 2007, anno in cui peraltro è ricominciato a crescere fino al 132% di ora, a causa della crisi economica, ma questa coincidenza fra crisi economiche e aumento del debito era sempre avvenuta anche in passato.
Ora il debito appare stabilizzato con un percorso previsto di graduale discesa come comunicato nei piani forniti fino ad ora dall'Italia all'Europa in un percorso abbastanza stretto ma senz'altro percorribile.
In sintesi l'Italia è riuscita finora nel periodo della relativamente giovane democrazia sia pure con grande fatica a conciliare la volontà del popolo sovrano col debito sovrano, ma la strada è segnata ed è stretta ed in salita. Invertire la tendenza ora sarebbe un disastro soprattutto se comportasse l'uscita dall'euro. Questo è il nuovo bivio che l’Italia deve affrontare in quanto a questo livello di debito sovrano sarebbe irrealizzabile e devastante per tutte le istituzioni economiche un percorso analogo a quello iniziato negli anni 70 di finanziamento del debito stesso attraverso una grande inflazione, previa uscita dall’euro.
L’euro è un affare per l'economia italiana perché a fronte del costo del 1% del PIL (che praticamente ritorna attraverso le sovvenzioni varie), ossia ad un costo inferiore ad un solo punto rispetto al costo percentuale del debito pubblico, ora drasticamente ridotto, porta anche ad altri innumerevoli vantaggi. Solo l’accenno all'uscita come si è già intravisto può avere effetti devastanti sull'economia.
Bisogna non invertire la rotta, l'euro è praticamente irreversibile, e procedere con slancio nella strada della crescita e dell’integrazione economica, politica e sociale dell’Europa, a partire dal raggiungimento della essenziale unione bancaria.
Questo è il nostro messaggio fondamentale.